The Maze Runner è una serie di fantascienza distopica – una delle tante che stanno avendo successo in questi ultimi anni – nata dalla penna (dalla tastiera) dell’autore americano James Dashner.
Non ho letto i libri, che al momento sono tre per la prima trilogia, e uno per la trilogia prequel in corso di lavorazione. Sì, perché fin quando un filone piace e procura soldi, lo si può spremere fino all’inverosimile, tra prequel, sequel e spin-off. Non che ci sia nulla di male in questo. Del resto ci sono precedenti illustri, vedi – su tutti – Star Wars.
Ho visto però la trasposizione cinematografica del primo romanzo, Maze Runner – Il Labirinto, una produzione 20th Century Fox, con la regia di Wes Ball, un quasi esordiente totale.
Di solito nutro molti pregiudizi nei confronti del genere distopico orientato alla fascia di pubblico young adult, tuttavia Il Labirinto è un film con qualche aspetto interessante e con altri un poco inquietanti.
Un sedicenne si risveglia all’interno di un ascensore arrugginito, chiamato la Scatola. Al termine della salita si trova in un cortile erboso, la radura, circondato da alte pareti grigie, dove viene salutato da altri ragazzi. Il giovane non riesce a ricordare nulla; ma Alby, il leader della radura gli dice che è successo a tutti e che l’unica cosa che potrà ricordare sarà il proprio nome. Alby mostra al ragazzo la radura e gli spiega come tutto viene interamente gestito dai Glader, come si autodefiniscono. Il ragazzo, estremamente curioso, chiede cosa ci sia oltre l’apertura nella parete adiacente alla radura; gli viene intimato di non oltrepassarla: si tratta dell’accesso a un pericolosissimo labirinto. In seguito incontra Chuck, un ragazzo molto giovane; i due diventano amici.
Il ragazzo apprende che, ogni mese, la scatola porta nella radura una nuova persona, insieme ad alcuni rifornimenti. Newt, secondo in comando e intendente, spiega che i glader più abili diventano velocisti: si tratta degli unici del gruppo a cui è consentito entrare nel Labirinto. Lo esplorano alla ricerca di una via di fuga durante il giorno, ma devono essere di ritorno prima di sera, perché l’ingresso del labirinto chiude al tramonto, e nessuno è mai sopravvissuto nemmeno una notte nel labirinto. Il ragazzo, durante una festa la prima sera di permanenza nella radura, rimane coinvolto in una rissa con un altro glader di nome Gally, durante la quale si ricorda improvvisamente il suo nome: Thomas.
Mentre Thomas sta raccogliendo rifornimenti nei boschi, viene violentemente attaccato da Ben, uno dei velocisti, che è stato punto da uno dei dolenti, mostri mortali che si nascondono nel labirinto. (Fonte: Wikipedia Italia)
Questo è solo l’inizio di una trama che si rivela più complessa del previsto.
In Maze Runner ci sono eco di altre opere. Ne ho individuate facilmente alcune: Il Signore delle Mosche, Lost (sì, il noto serial televisivo) e The Village, il controverso film di M. Night Shyamalan, forse la sua ultima opera pienamente riuscita.
La storia vive su un gioco di scatole cinesi: cos’è il Labirinto? Chi lo governa? Chi sono i ragazzi intrappolati nella radura oltre le sue mura?
Le risposte arriveranno poco a poco ma, trattandosi del capitolo uno di una trilogia, il finale risulta monco e la soluzione del mistero viene rinviata ai due film che avremo modo di vedere nei prossimi mesi (se avete fretta, leggete i romanzi).
Questa incompletezza a molti non piace, ma oramai il cinema va sempre più spesso in questa direzione, complice il successo dei serial televisivi, che fidelizzano il pubblico con plot twist e improvvisi cliffhanger.
Tra gli aspetti positivi di Maze Runner – il Labirinto c’è un’interessante costruzione delle atmosfere e dell’estetica del labirinto medesimo. I segreti che l’enorme struttura cela, compresi gli orrendi mostri noti come Dolenti (che si ispirano a creature già viste in giochi quali Quake e Doom), sono affascinanti e tengono vivo l’interesse dello spettatore fino alla fine.
Uno degli elementi che ho trovato fastidiosi riguarda invece la scelta – comune nel genere young adult – di un cast di attori 18-20enni, tutti bellocci, praticamente intercambiabili, con ruoli che ricalcano scolasticamente i cliché: l’eroe predestinato, la sua fidanzata, il secondo maschio-alpha, la spalla comica cicciottella, il saggio, il braccio destro, i sacrificabili etc etc.
Anche se sono molto, molto lontano da certi tetri individui che venerano attori morti da decadi, come se bellezza e bravura siano cose appartenenti necessariamente solo al passato, trovo disturbante la moda hollywoodiana di utilizzare dei teenager come unici modelli vincenti.
In questo c’è un’esaltazione della giovinezza e della competitività che inquieta un quasi quarantenne come me, ma c’è anche un rifiuto della “vecchiaia”, come se sopra i 30 anni uomini e donne debbano essere destinati a essere trattati solo come coo-protagonisti o come “cattivi”.
Ma questo è lo young adult, bellezza.

Una cosa interessante che caratterizza il genere, e che riguarda senz’altro anche Maze Runner, è la scientifica e mirata creazione di un pubblico di riferimento.
Ciò è accaduto per Twilight, per Hunger Games, per Harry Potter, per Percy Jackson e per altri franchise minori (ma comunque di un certo successo).
Offrendo dei personaggi in cui il lettore/spettatore può immedesimarsi, vuoi per affinità anagrafiche, vuoi per una certa, semplificata presentazione dei problemi legati alla post-adolescenza, queste saghe ottengono facilmente un pubblico partecipe e attivo.
Gli incassi sono garantiti, anche sul lungo periodo, e tali franchise si trasformano quasi subito in macchine per far soldi.
A volte, come succede per questo Maze Runner, il livello qualitativo si eleva sopra la mediocrità (anche se è davvero difficile trovare qualcosa di veramente notevole), ma nella maggior parte dei casi si ricorre a strutture narrative intercambiabili, spesso ricalcate l’una con l’altra.
In questi ultimi tempi il genere distopico ha sostituito il paranormal romance come genere di tendenza. Basta entrare in una libreria per accorgersene.
Sarà un bene? Sarà un male?
Per il momento lascio il giudizio in sospeso.
– – –
(A.G. – Follow me on Twitter)
Segui la pagina Facebook di Plutonia Experiment
Lo young adult sembra essere un “genere” chiave oltreoceano: creato per un target di adolescenti, se ha delle buone qualità finisce per piacere anche ai bambini (che spesso vogliono essere più grandi della loro età per avere più libertà personali) e agli adulti – che hanno quasi sempre dei conti in sospeso col periodo dell’adolescenza.
Praticamente un asso pigliatutto, anche se forse non così scontato nel suo successo: non tutte le storie del genere finiscono per piacere a un target così ampio e trasversale, non è facile piacere a target tanto diversi tra loro…
E ora, mi ritiro a fustigarmi per eccesso di gergo in inglese 😛
Sì, il YA vince facile sempre, almeno a livello economico.
Inoltre non è difficilissimo da utilizzare, come genere trasversale. Certo, forse ora esagerano un po’, con questo abbondare di eroi 13-18enni 😛
Leggermente meglio del previsto, pur con tutti i limiti del young adult. Se non altro ci è stata risparmiata la storia d’amore. Una cosa è certa, da adolescente amavo i film feroci, crudeli, e detestavo i prodotti “per ragazzi”, e come me tanti coetanei. Oggi ho l’impressione che non sia più così
Da ragazzo (sono del 1975, fai tu i conti), non c’era questa suddivisione dei film per fascia d’età, tranne forse per i cartoni animati.
Io a 14 anni mi godevo Predator, Rocky, Robocop, senza necessità di dovermi immedesimare. Quindi non avevo bisogno di protagonisti miei coetanei, se non in rari casi (La Storia Infinita, per esempio).
Si tratta di un processo di semplificazione – della scrittura, e della fruizione.
Nel momento in cui si codifica un prodotto (pubblico di riferimento, personaggi-tipo, temi, situazioni e struttura) l’autore può applicare una formula “giusta”, che “funziona”; dal canto suo l’editore ha una nicchia di mercato definita, dei numeri “sicuri”, persino delle scelte automatiche di copertina e di look del prodotto. E il lettore va sul sicuro – conosce la formula, gli piace, ne prende un’altra dose.
Il problema è naturalmente che l’offerta si appiattisce, e pubblico ed autori smettono di crescere.
La formula è in parte responsabile della scomparsa degli adulti dalle pellicole – ai vecchi tempi certi film di Tarzan o 20.000 Leghe Sotto i Mari (faccio due esempi a caso) erano film con cast over-30 nonostante fossero destinati (anche) a un pubblico giovanile – ed oggi sarebbero impensabili, perché infrangono la regola.
I ragazzi del marketing hanno identificato un mercato e gli strumenti per fidelizzarlo – la storia è una questione secondaria.
Sì, è chiaro: trovata la formuletta vincente, è facile usarla per produrre materiale vendibile, con tutti i “contro” che ribadisci anche tu.
Spero che si tratti soltanto di un momento storico particolare, e che in futuro la narrativa di genere torni a essere slegata a un’identificazione anagrafica.
Come dicevo in un altro post, io a 13-14 mi esaltavo per Rocky, Commando, Robocop e Grosso Guaio a Chinatown.
C’erano i film per ragazzini, tipo i Goonies, eppure mi divertivo di più con Ghostbusters.
Mai cercato l’immedesimazione con un eroe di fantasia della mia stessa età.
Credo dipenda anche dal fatto che la nostra era la generazione in cui si diceva “da grande farò…” – ora la cultura dominante, come è normale con le società nelle quali i vecchi sono la maggioranza, idolatra la gioventù. I ragazzi si sentono dire che sono il meglio, anche se sostanzialmente a dirglielo sono dei vecchi che li invidiano.
Come te non ho letto i libri ma ho visto invece il film che devo dire non mi è piaciuto molto, probabilmente a causa dell’età ( sono del 1967 ); il finale lascia tutto in sospeso ma sinceramente a me non è venuta la voglia di vedere il seguito.
Un saluto
Comunque non c’è niente da fare, in questo momento il serial young adult vende, basta vedere anche The 100, anche in quello almeno nella prima stagione secondo me ci sono parecchi echi di Lost e de Il signore delle mosche