Come Salgari

Solo i cretini non cambiano mai idea.
Io l’ho fatto su parecchie cose, anche nel campo della scrittura, dove è sempre meglio andare piano coi pregiudizi.
Fino a qualche tempo fa credevo che fosse indispensabile ambientare racconti e romanzi in scenari conosciuti, visitati in prima persona, magari anche con una certa frequenza. Quando ne parlai sul vecchio blog raccolsi pareri discordanti. Alcuni concordavano, altri erano del parere opposto, citando come esempi a favore della loro tesi i romanzi fantasy e di fantascienza, dove l’ambientazione non solo non è conosciuta, bensì viene inventata di sana pianta.
Da allora sono trascorsi diversi mesi e di acqua sotto i ponti ne è passata tanta. Tanto per dirne una sono stato per mesi a Puerto Rico, nella città di San Juan, ribattezzata Admiral City per la Round Robin Due Minuti a Mezzanotte. Ci sono stato virtualmente, purtroppo, senza muovermi da casa mia. Eppure il lavoro di documentazione, di ricerca e (perché no) di fantasia mi ha quasi teletrasportato laggiù, nelle Antille.

Non mi rimangio quanto sostenuto in passato: visitare un luogo in prima persona e poi descriverlo in un racconto è senz’altro un vantaggio. Un punto a favore della verosimiglianza e del realismo, indubbiamente. Per esempio, scrivere Pandemic AD dopo aver visitato New York per ben due volte è stato più semplice, più naturale.
Eppure, come già detto, ho ambientato molti racconti anche a Puerto Rico, senza esserci mai stato. Il risultato mi sembra comunque pregevole, idem per il lavoro fatto da altri amici che hanno partecipato a 2MM. Grazie a strumenti quali Google Maps e Wikipedia è possibile ricreare qualsiasi scenario in maniera decente. Per tutto il resto occorre quel mix di fantasia e faccia tosta che va a colmare le inevitabili lacune cognitive.
Nel caso di San Juan è bastato, per esempio, ricreare la città in versione leggermente ucronica, ampliandola e aggiungendo degli elementi funzionali alle storie da narrare.

San Juan/Admiral City, l’ambientazione principale di 2MM.

Uno scrittore celebre per aver viaggiato in luoghi esotici e lontani, pur senza muoversi dal suo studio, è Emilio Salgari. Il papà della narrativa d’avventura italiana era originariamente un giornalista veronese. Pur ambendo a diventare un capitano della Regia Marina non riuscì mai a raggiungere l’ambito grado, sicché la sua vita si articolò prettamente in territorio italiano. Iniziò a scrivere racconti e romanzi d’avventura attorno al 1880. Le ambientazioni era quasi sempre selvagge, lontane, da sogno: Malesia, Papuasia, India, Paraguay, Stati Uniti d’America.
A quanto pare i suoi unici viaggi furono quelli quotidiani, in tram, da casa sua alla biblioteca civica centrale, dove raccoglieva la documentazione necessaria per lavorare ai romanzi.
Nonostante ciò le sue opere vengono ritenute ancora oggi delle pietre miliari del genere avventuroso. Nessuno si è mai lamentato della verosimiglianza delle descrizioni riguardanti il ciclo di Sandokan o quello dei Corsari delle Antille.
Con ancora maggiore affetto ricordo poi i romanzi ambientati in India e in Africa, dove immagino che le incongruenze di alcuni passaggi siano comunque parecchie.
Infatti Salgari è ricordato per le belle storie e null’altro, tranne forse per la sfortuna che perseguitò la sua carriera di scrittore.

– – –

(A.G. – Follow me on Twitter)

23 commenti

  1. Come cita un altro famoso scrittore , che risponde al fatto di non descrivere delle fogne:
    “Non lasciate che la vostra pignoleria rovini la storia: Cristo santo, c’è uno scoiattolo che se ne va in giro in abito da ballo! Chi se ne frega delle fogne!»
    Il caso è chiuso u.u

      1. Christopher Moore 😀
        Un grande, ci ho fatto anche un post su questa frase, ecco la citazione completa:

        «Se, da una parte, ho cercato di “rappresentare” l’atmosfera delle diverse zone della città [San Francisco], dall’altra sono ben consapevole che alcuni dei luoghi descritti nel libro, come il negozio di Charlie e il centro buddista I tre Gioielli, non si trovano agli indirizzi indicati. Se proprio non potete fare a meno di scrivermi per informarmi riguardo tali imprecisioni, mi vedrò costretto a farvi notare che a North Beach non troverete nemmeno dei cani infernali che divorano sapone. Non sono entrato nella rete fognaria della città per verificare i dettagli delle scene ambientate là sotto: no, non l’ho fatto fondamentalmente perché SONO LE FOGNE! San Francisco è una delle poche città costiere in cui i tubi delle fognature sono gli stessi della raccolta delle acque piovane, un fatto che ho completamente ignorato nel mio ritratto del Regno dell’Oltretomba. Se siete davvero così preoccupati dell’aspetto di quei condotti, ecco… bleah! Datemi retta, là sotto potrebbero davvero succedere tutte quelle cose. E non lasciate che la vostra pignoleria rovini la storia: Cristo santo, c’è uno scoiattolo che se ne va in giro in abito da ballo! Chi se ne frega delle fogne!»
        – Christopher Moore, “Un lavoro sporco”, Nota dell’autore e ringraziamenti.

        Tiè, leggitela e fammi sapere che ne pensi 😀

  2. Io sono sempre stata dell’idea che scrivere di ciò che si conosce dia una certa tranquillità a chi scrive nel senso che ti senti “a casa”. Però quel che succede spesso è che ciò che si conosce troppo bene finisca con annoiare anche noi. Si può perdere la freschezza nel guardarlo e molto spesso l’ispirazione viene meno.
    Quando si scrive di qualcosa che non si conosce e ci si documenta, mentre si studia (lavoro immane al solito) le idee si moltiplicano e il nostro stupore inevitabilmente si trasferisce nella storia.
    Molto spesso documentandoci saltano fuori idee non per una ma per più storie, almeno a me succede così.
    Che poi, per inciso, l’evasione dal solito viaggio in tram è il primo piacere che mi danno la scrittura e la lettura.

    1. L’ideale è alternare, o quantomeno non lasciarsi condizionare dall’idea “questo non lo scrivo perché non conosco bene il tal posto”.
      Che, per dirla tutta, è un problema che mi facevo anch’io anni fa, precludendomi un sacco di possibilità per paura di sbagliare.
      Per fortuna sono andato oltre…

      1. A mio vedere questa tua evoluzione non è casuale.
        Non volendo scrivere come una quattordicenne che sguinzaglia la propria Mary Sue nella propria fantasia a ruota libera, una strada sensata per imparare è cominciare i propri “esercizi” scrivendo di qualcosa a portata di mano, di luoghi di cui se ti prende qualche dubbio puoi osservare o ripescare dalla memoria ogni dettaglio.
        Poi, allenando l’occhio a notare le cose che servono davvero per scrivere una storia, l’immaginazione impara a sua volta a riempire i dettagli giusti nell’idea che ti fai di un posto che non conosci.
        O no?

  3. Beh, io appartengo sicuramente al genere, visto che “traduco” racconti ambientati in Giappone senza esserci mai stato 😉
    Certo, è ovvio che un eccesso di improvvisazione può portare a errori evidenti (penso, a livello cinematografico, all’Italia ultra-convenzionale e assai poco realistica descritta in certi film americani).
    Insomma, occorre comunque documentarsi bene. Poi, il buon senso di chi scrive deve fare il resto.

    1. La fortuna è proprio quella di avere tutti i mezzi necessari per documentarsi in maniera molto verosimile. Quindi grandi strafalcioni possono essere facilmente evitati 😉

  4. Spesso mi capita scrivendo di perdermi in troppi particolari, la meticolosità rende a volte “pesante” la lettura. Il problema è beccare la giusta via di mezzo e descrivere l’ambiente lasciando spazio alla fantasia del lettore, cadere nelle descrizioni ” Tolkeniane ” è ,per me, semplice e via a svolazzi letterari con paragoni assurdi, poi rileggo, mi rendo conto di quello che ho scritto e cancello le 3 pagine precedenti.
    Però è un buon esercizio.

    1. Sì, lo stile tolkeniano è pesante. Per quanto riuscisse a dare realismo estremo a cose/luoghi di totale invenzione, dieci pagine per descrivere la casa di un hobbit non riuscirei più a reggerli.

  5. Scrivere di posti che si conoscono sicuramente è più facile, a patto di non cadere nella “trappola” di dare qualcosa per scontato, che il lettore potrebbe non conoscere. Ma, al giorno d’oggi, grazie a internet, qualsiasi ambientazione è a portata di mano. Ho scritto parte di un libro ambientato nella Città Proibita in Cina, e documentandomi ho scoperto l’esistenza di un programma che permette un tour virtuale all’interno della Città, come se fosse un videogame online. Non proprio come esserci stato, ma comunque di grande aiuto. Inoltre, grazie alla doumentazione, spesso saltano fuori nuove idee per la storia.
    E poi, bisogna dire che se dovessi scrivere solo storie ambientate in luoghi che ho visitato scriverei ben poco… 😀

    1. Hai sicuramente ragione, basta vedere cosa ha creato J. K. Rowling.
      Io scrivo fantasy quindi faccio un gran lavoro prima di scrivere, ho ambientato l’inizio del mio libro su di un’isola e ho disegnato a mano tutta la cartina, con paesi, porti, monti e boschi su un cartellone di due metri quadrati, è un po come visitare l’isola stessa. Basta che sia credibile.

    2. Sì, anch’io adotto stratagemmi simili. Già con Wikipedia, Google Earth e Google Maps si riescono a evitare errori gravi. Per il resto un po’ di fantasia non fa certo male 🙂

  6. Ne avevo discusso a suo tempo – la ricerca può diventare una faccenda ossessiva, poi ti accorgi di aver buttato due giorni per scoprire se su una certa via di Shanghai c’erano o meno i cavi del tram, mentre tre capitoli dopo per necessità sposti di qualche centinaio di chilometri una catena montuosa.
    Ma d’altra parte si chiama fiction.
    Si tratta di trovare un equilibrio tra il reale, il plausibile e l’immaginario.
    Io non scrivo guide di viaggio.

    1. Se il problema è rendere il luogo in cui si svolge la storia più realistico possibile, immagina di studiare l’anatomia di un cervo per capire fra quali costole un dardo di balestra riesce a colpire il cuore e dopo poco accorgersi che era del tutto inutile come descrizione. Oppure studiare in che modo si forgia una spada, o che tipo di flora e fauna si trova ad una certa altitudine. E tutto perché mi è rimasta intesta la frase di Italo Calvino ” Mai scrivere di quello che non si conosce “.

      1. Ma la frase di Calvino non parla né di specificità, né di livello di dettaglio.
        Scrivere di ciò che si conosce non significa che Verne deve andare sulla Luna per scrivere Dalla Terra alla Luna… o farsi sparare da un cannone.
        ma deve conoscere l’esilarazione della velocità, l’eccitazione dell’esplorazione… eccitazione che può aver provato esplorando una biblioteca, e non lo spazio, ma essendo uno scrittore, e non un idraulico, è in grado di modulare e proiettare sui propri personaggi…

      2. E’ anche vero che, a furia di citare autori, si trova tutto e il contrario di tutto.
        Credo che il giusto compromesso sia sviluppare uno stile con cui ci si trova bene (lettori compresi).

    2. Esatto, è quello il punto.
      Non bisogna scrivere guide di viaggio, ma storie. L’ambientazione è solo un palcoscenico. Deve essere “solida”. Non deve essere troppo decorata, altrimenti si perde d’occhio l’attore o gli attori e si guarda solo il palcoscenico. Certo, non deve sfasciarsi se uno ci sala sopra, però.
      Dunque, secondo me si può scrivere di cose che si conoscono e anche non, ma documentandosi bene.
      Questo non vuol dire che bisogna infarcire la storia di descrizioni superflue.
      Come – per esempio – tutti i libri di navigazione e combattimenti sui mari – parlo di romanzi – ambientati nel XVIII secolo o giù di lì, infarciti di termini tipo terzaruolare, cazzare la randa, il trinchetto e tutte ‘ste menate qui … paiono un trattato di navigazione che c***o!
      Ovviamente.

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