Torno brevemente sull’annosa questione del prezzo degli ebook.
Lo faccio in seguito a una delirante discussione sul gruppo FB De Ebook Mysteriis, di cui sono amministratore. In pratica c’è stato chi, con la convinzione integralista di chi parte per una crociata (o per una jihad), ha affermato che gli ebook con meno di 50 pagine dovrebbero essere regalati, oppure venduti al massimo a 0,49 euro.
Questo perché, sempre a dire dell’interessato, essi speculano sul formato digitale, proponendo storie “incomplete” rispetto a un romanzo e scritte appositamente per monetizzare in tempi relativamente brevi.
Per fortuna quasi tutti gli iscritti al gruppo non hanno concordato con questa tesi, ma credo che sia comunque opportuno parlarne, perché la fuori, nelle Dead Lands del Web italiano, ci sono brutti segnali che stanno portando molti validi autori a smettere di scrivere.
Quando si arriva ad acquistare un libro (digitale o cartaceo) facendo la pesa tra numero di pagine e prezzo, vuol dire che il meccanismo si è inceppato. Solo che questa default mentale è in atto da molto tempo, almeno da queste parti.
Partiamo da lontano.
Possibile che nessuno conosca più l’esistenza di formati diversi, quali sono i racconti e le novelette?
Una volta andavano forte e, sebbene siano stati per anni venduti in nicchie marginali dell’editoria classica (per esempio su riviste o in formato pocket, da edicola), sono formati che non sono mai del tutto passati di moda.
L’esplosione dell’editoria digitale, cioè degli ebook, ha riportato gloria a queste forme di narrativa breve, tanto che esse risultano apprezzate tanto dai lettori quanto dagli scrittori.
Che poi una cosa non esclude l’altra: si possono amare i romanzi brevi, i racconti, e le saghe infinite.
Ora, da qualche tempo assistiamo al fenomeno dei romanzi venduti al prezzo standard di 99 centesimi di euro. Gli esperti del settore definiscono questo prezzo come “il nuovo gratis“.
Partendo dal presupposto che ciascuno vende le proprie opere al prezzo che preferisce, non si può negare che lo 0,99 è una cifra talmente esigua che corrisponde a una svalutazione del romanzo stesso.
Vendere un “malloppo” di 200 o più pagine (a volte anche di 500 e passa) a meno di un euro, prendendo royalties esigue (circa 35 centesimi a copia) vuol dire puntare sulla vendita all’ingrosso, per arrivare in alto nelle classifiche Amazon, senza però attribuire un vero valore al proprio lavoro.

Sì, perché scrivere è un lavoro, comporta tempo, fatica e spese spesso non indifferenti.
Ovviamente ci sono delle eccezioni. Lo 0,99 può essere per esempio un buon prezzo promozionale (per un limitato periodo di tempo), o un prezzo di lancio per un esordiente.
Questi sono sistemi più che validi per farsi conoscere intelligentemente, senza svendersi del tutto, e al contempo senza pretendere che i lettore compri il romanzo di uno sconosciuto a 3 o 4 euro.
Ma in situazioni normali, con autori che vendono tutte le loro opere col sistema dello 0,99 euro, questo crea un pericolosissimo bug di sistema.
Bug che porta alcuni a credere che i romanzi brevi o le novelette, formati dignitosissimi, debbano essere regalati o venduti a mezzo euro, prezzo che trovo un insulto all’intelligenza umana.

Scrivere una novelette di 30-50 pagine comporta comunque un gran lavoro creativo, ma anche di editing e di impaginazione. Ci sono ottimi autori che hanno fatto del formato medio la chiave del loro successo (penso a H.P. Lovecraft, per dirne uno noto a chiunque). Sfido chiunque a dire che un racconto di H.P.L. è meno bello di un romanzo solo perché ha meno pagine e perché si legge in un giorno invece che in una settimana.
Un’altra considerazione da fare riguarda un discorso più ampio, ovvero il valore che noi diamo al denaro.
Un racconto da un euro, per esempio il mio apprezzato Il Treno di Moebius, impegna piacevolmente qualche ora di lettura e costa quanto un caffè. Un caffè che, se vogliamo, è un vizio, o un rito, che molti di noi si concedono senza pensarci, senza lanciare critiche su Facebook, affermando che i baristi dovrebbero farlo pagare 40 centesimi, perché incompleto rispetto, che ne so, a un toast, che costa 2.50 euro.
Oppure, come faccio spesso, paragono i miei ebook di media lunghezza ai fumetti da edicola. Che nessuno vi obbliga a comprare, ma che a molti piacciono, senza che vengano ritenuti incompleti o troppo esosi.
Senza dimenticare la questione a monte: nessuno obbliga un lettore a usufruire di ebook di 50 pagine, se ritiene che il formato non sia interessante, o che il prezzo oscillante tra un euro e un euro e mezzo sia una truffa. Che costoro continuino a comprare trilogie a 0,99 euro, senza accusare di speculazione chi cerca di dare un minimo valore al proprio lavoro.

Del resto la questione della retribuzione dei lavori intellettuali è una delle tante dannazioni di questo paese. Colpisce trasversalmente più settori, come per esempio la fotografia. Con tizi che, dotati di una fotocamera da 80 euro comprata alla Coop, realizzano book e servizi a prezzi da fame, i veri professionisti si sentono sempre più spesso dare dei ladri quando chiedono 200 onestissimi euro per uno shooting realizzato professionalmente, con tanto di post-produzione.
A me pare che la cultura del lavoro, in Italia, sia in definitiva caduta libera. Manca il riconoscimento dello sforzo altrui, il rispetto della dignità di chi svolge una professione intellettuale o creativa, nonché la benché minima immedesimazione nel prossimo.
Come se per scrivere un libro ben fatto bastasse sedersi alla tastiera e giocherellare con Word. Proprio questa concezione di certi lavori (vale lo stesso per i già citati fotografi, ma anche per i grafici, per gli editor, per i musicisti e per tanti altri) sta portando a una mutazione ingenerosa e ingloriosa di molte professioni.
Quindi sì: non mi stupisco che molti ottimi amici e colleghi preferiscano oramai fare altro.

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Questo meccanismo ha praticamente affossato il terziario avanzato nel nostro paese. Al di là dei deliri di chi afferma che la cultura debba essere venduta un tanto al chilo, che è palesemente un non sense, oggi si assiste al meccanismo per il quale il lavoro intellettuale non deve essere retribuito in quanto non frutto di fatica e sudore della fronte e anche perché in fondo mio nipote è un mostro col PC…
Grettezza, ignoranza e nessuna visione delle cose in prospettiva.
I lavori intellettuali vengono visti come fastidi da risolvere al risparmio (per esempio la creazione del sito internet di un’azienda).
Certo che nel 2014 certi pregiudizi danno l’esatta percezione di come questo paese sia più vicino alla Tunisia che non al nord Europa.
Premettendo che io, da lettrice, preferisco le opere “lunghe” rispetto al racconto o alla novellette (ma è semplice gusto personale) sono d’accordo con quanto tu scrivi, al 100%.
Il lavoro dello scrittore è sottovalutato da morire e me ne rendo conto quando qualche parente o amico se ne esce con luoghi comuni che mi lasciano gli occhi così @-@. Vogliono che scrivi testi per i loro siti “intanto ci metti cinque minuti”, o la mail per l’avvocato o per il commercialista. Mi chiedono “perché non ci metti anche me, nel tuo romanzo?” come se i personaggi fossero ideati “a la belin de can” (perdona l’espressione dialettale ligure) e non seguendo un criterio di funzionalità… e potrei andare avanti all’infinito.
Spesso coloro che avanzano questi qualunquismi letterari sono gli stessi che poi si lamentano se un libro (parlo del cartaceo) costa 10 o 15 euro, erò sono disposti a pagare lo stesso presso un cocktail in una discoteca. Questione di priorità, intellettuali e non solo.
È come quelli che “il sito della mia attività lo faccio fare al nipote del mio amico, che tanto sta sempre al computer quando torna da scuola”.
È proprio ignoranza pura e semplice, e mancanza totale di rispetto per il prossimo.
Esatto! Nel 2014 c’è ancora gente che considera gli scrittori dei pazzi visionari! 😉
Tutto molto vero, purtroppo. Ci sarebbe da parlarne per giorni, allargando il discorso, andando a toccare le fondamenta della cultura, del costume, della società. Limitandomi al discorso degli ebook dico che 0,99 va bene per un racconto, Un racconto che di solito è di uno pseudo-esordiente, un racconto d’intrattenimento che, con una piccola forzatura, può essere paragonato a due chiacchiere e un caffè al bar. Tanto, non credo proprio che se messo a 0,49 anziché 0,99 cambi molto a livello vendite. La roba più lunga è giusto costi di più. Inoltre credo che, almeno per adesso, il grosso delle vendite di libri digitali consista in due macro categorie: 1°, chi compra il digitale come alternativa al cartaceo di un titolo di autore famoso, perché costa meno, perché non ha altro da leggere e non vuole aspettare; 2°, chi ha voglia di ravanare nel marasma delle piccole pubblicazioni e del selfpublishing. Questi ultimi sono personaggi appassionati, curiosi, e non staranno di certo a far storie per 0.49 o 0,99 e le pagine, o addirittura a far confronti del tipo, prendo quello perché costa uguale ma ha sei pagine in più.
Sulla percezione dell’editoria digitale in Italia ci sarebbe da scrivere un saggio.
Purtroppo non è stata “spiegata” dagli operatori di settore (gli editori stessi), che l’hanno vista fin da subito come un fastidio da arginare.
Questo ha mandato in corto circuito il sistema.
Questo e la filosofia del “tutto gratis”, che per molti è un mantra, una furbizia nascosta dietro la palla del libero scambio culturale.
Credo che l’intera questione si risolva su due punti fondamentali.
Il primo è che non è possibile equiparare la qualità alla lunghezza, così come di fatto non la si può equiparare al prezzo – la vecchia storia “costa caro quindi è buono” ha devastato due generazioni. Così come non si può estendere una valutazione di qualità sul formato – ho letto un brutto racconto di dieci pagine, allora tutti i racconti di dieci pagine sono brutti.
Il secondo punto è che, nel momento in cui affermo che (per dire) le storie di 25 pagine sono tutte solidamente, ivariabilmente brutte, il problema di quanto costino non mi riguarda più – perché tanto non le compro. Mica sono masochista.
L’intera discussione, insomma, è costruita su argomenti fallaci -e nulla mi toglie dalla testa che sia stata sollevata per far rumore.
Che è poi il comportamento tipico di quelle creature del folklore norreno che vivono, si dice, sotto ai ponti.
La tipa in questione è probabilmente un troll.
Poi là fuori ci sono crescenti gruppi di lettori che hanno visioni altrettanto distorte riguardo alla legittimità di far pagare un prodotto digitale.
Sono idioti cresciuti con l’idea che nulla va pagato, e che tanto certi settori si nutrono di sola passione, e che quindi chi ha tempo per scrivere (o fare musica, o scattare foto, o programmare software) senz’altro vive d’altro, quindi non ha diritto di pretendere soldi per i suoi “hobby”.
Il problema è che sono prodotti in formati ancora abbastanza nuovi, con un mercato, soprattutto qui, in evoluzione continua. Il fatto che si ragioni in certi modi può indicare appunto una non comprensione del lavoro svolto da chi scrive, e quindi delle scelte che questo fa nel proporre le sue opere. Infine ci si orienta e si giudica sempre per confronti tra cose simili, specie in campi “nuovi”. Ci sta che arrivino giudizi del genere quindi, anche se non significa siano giusti.
Il paragone del caffè comunque, che fate spesso, è qualcosa di molto intelligente, perché fa ragionare effettivamente su come la gente sia disposta a spendere tot denaro spesso senza darne peso, per poi invece additare malamente costi uguali per prodotti che non vivono abitualmente. È sempre un mistero la psiche umana quando si tratta di soldi.
Sì, è vero.
Sulla percezione dei soldi il cervello funziona in modo ambiguo.
Si buttano decine di euro per cose inutili, e poi si fanno le pulci per un MP3 o un ebook da 1 euro e mezzo.
Purtroppo quella che hai rappresentato,
equivale alla tendenza “culturale” del lavoro in Italia: ragazzini che fanno assistenza tecnica per PC in concorrenza ad aziende e professionisti certificati del settore (e che pagano le tasse – o almeno si spera – e che creano lavoro); incompetenti che pericolosamente si improvvisano elettricisti o idraulici senza aver mai preso in mano un cacciavite e così, tanti altri esempi… in un contesto sociale come questo, gli utenti in genere non riescono a crearsi delle aspettative e di conseguenza non percepiscono la reale importanza del lavoro e delle professionalità necessarie per svolgerlo.
Tutto questo porta alla svalutazione compulsiva, del lavoro degli altri…
Esattamente.
E il problema è molto più grave ed esteso che non limitato al prezzo di un ebook.
Siamo un paese saldamente ancorato a una percezione del lavoro figlia ancora degli anni ’70.
Sono d’accordo con te, Alessandro.
Il racconto e gli altri formati similari (che personalmente adoro!) sono ormai dei perfetti sconosciuti per i lettori “deboli” (anzi “debolissimi”) del nostro paese, che comprano libri più per moda che per reale interesse.
Come hai detto tu, ci si dimentica che nella letteratura fantastica sono stati proprio i racconti, talvolta anche brevissimi, a fare la storia e consentire a questo genere di diventare popolare, grazie alle riviste pulp del secolo scorso.
Su questo Davide Mana ha scritto fiumi di parole su Strategie Evolutive.
Ad ogni modo, tu hai citato Lovecraft, con cui tutti si riempono la bocca ma che a mio avviso nessuno conosce. Io invece voglio ricordare Robert E. Howard con i suoi racconti su Conan il cimmero, Kull di Valusia, Solomon Kane e Clark Ashton Smith con quelli su Zothique, Hyperborea, Averoigne, Poseidonis.
E questi sono solo un piccolo esempio della fiumana delle opere di questo formato.
Ma tutto ciò, come dicevo, oggi pare dimenticato e nel fantasy, ad esempio, si può constatare con una certa ripugnanza che i libri attualmente presenti sul mercato spesso oltrepassano le cinquecento pagine, grazie ad espedienti odiosi quali proliferazione di pov, e come minimo fanno parte di una trilogia.
Citi fior fior di autori che hanno fatto del formato medio/breve l’arma del loro successo come scrittori.
Trovo anch’io più disonesto, almeno a livello concettuale, le saghe scientemente allungate di volume in volume, per spremere i lettori.
Strategia tra l’altro voluta da molte case editrici, complici certi scrittori che si fanno pagare non a libro bensì a parola.
Infatti 😉
Interessante articolo, che condivido in pieno. Tra l’altro secondo me la svalutazione -o peggio, la quasi totale ignoranza- del formato breve o brevissimo è connessa con la famosa storia dei “lettori forti”. Mi spiego: in Italia, Paese in cui le persone spesso leggono se va bene cinque o sei libri l’anno, la lettura è una specie di “status symbol”. Praticamente un carlino. I libri “da leggere” variano a seconda del ceto sociale, delle convinzioni politiche e così via. Ci sono quelli che “troppo fico l’ultimo di Fabio Volo” e quelli che “guarda devi assolutamente recuperare l’ultimo di Michele Mari”… ma in fondo la differenza è poca. Insomma, vale la pena leggere un libro se se ne può parlare per risultare intelligenti (o impegnati, o alla.moda) in una discussione. Quindi… perché darsi tanta pena per racconti brevi di cui nessuno parlerà in tv? Perché leggere l’ultimo Mana, o Girola, o MB Factory, se non fa fare bella figura?
Spietata considerazione, ma molto veritiera…
La penso esattamente come te.
Il prezzo di un libro non si basa mai sulla qualità dello stesso, piuttosto sul lavoro che è stato impiegato nel realizzarlo. Ma nemmeno questo è del tutto vero, infatti per la stessa quantità di pagine un autore può metterci un anno, mentre un suo collega può metterci 4 mesi. Quindi è vero che il prezzo di un ebook grosso modo si basa sulla quantità delle pagine.
La qualità dovrebbe poi pagare nel numero delle vendite, se un libro di 50 pagine è molto ben fatto dovrebbe vendere di più di un libro di 50 pagine ma scadente.
Il condizionale è d’obbligo perché purtroppo non sono i libri meritevoli a vendere di più, bensì quelli più pubblicizzati. Dati in pasto a lettori che non hanno il “palato” per distinguere i libri belli dai brutti.
I libri da 99 centesimi ci sono da tempo immemore. Ho decine di titoli da mille lire e parliamo di gente come Lovecraft, Howard e Haggard. Per gli aspiranti scrittori, l’importante è avvertire prima. Non entro nella discussione perché non sono informato, ma vorrei chiedere: nella descrizione c’è scritto che il romanzo è a puntate? Perché se non è così, è davvero una mezza fregatura. Se compro un racconto, anche di dieci pagine, lo voglio intero. Bello o brutto che sia.
Anche io ho scritto un libro da un euro, ma la storia inizia e finisce lì. Poi se qualcuno vuol dirmi che fa cagare, si accomodi, posso solo imparare dai miei errori
io amo i formati “corti” perché a volte preferisco leggere tutto insieme un racconto. proprio ad uso fumetto. se il prodotto poi è buono la lunghezza è facilmente compensata poi dalla serialità. esempio lampante è la saga de La Marmora, delle avventure di Maciste o dei vari protagonisti di 2MM che hanno generato una miriade di spin-off. quindi “pesare” le pagine non ha senso dato che parliamo (quasi) sempre di cifre irrisorie o eque. se giudichiamo un racconto solo dalla lunghezza allora non avremmo tutta una letteratura di genere che proviene dalle riviste contenitore pulp come Weird Tales o andando più indietro nel tempo ai romanzi d’appendice. Howard, Lovecraft, Lieber e compagnia bella allora dovrebbero valere meno di R.R. Martin allora, o no?
Che bello, siamo arrivati alle parole un tanto al chilo… a questo punto non serve più nemmeno sottolineare il valore delle opere di Lovecraft, di Howard, etc.
Ma del resto, da un/una troll (ho letto le discussioni su FB) cosa possiamo pretendere?
Però, se mi permettete, nessuno parla del fatto che oramai “in giro” c’è solo fuffa e roba che non meriterebbe nemmeno i 0,49 centesimi.
Che oggi scrivono cani e porci e che il lettore medio non riesce e non può districarsi in questo mare magnum.
E che ad uno scrittore “compulsivo” (passatemi il termine) non è vero che costa sangue e sudore fare le 50 pagine nè tanto meno che si debba aggiungere il costo delle operazioni di “aggiustamento layout” e quant’altro perchè spesso e volentieri queste operazioni oggi oramai sono automatizzate (salvo la correzione bozze che quando è automatica non funziona e se deve essere manuale non viene proprio effettuata).
A me è capitato di leggere tante cose brevi, perchè oggi è il primo viatico per uno scrittore in nuce per potersi mettere in mostra. Ma ancora non ho scoperto il vero talento. Quelli che voi avete citato (ed io aggiungerei anche i vari Poe, Barker e tutti gli illuminati della Mirrorshades e via dicendo…) erano di un altra levatura, cui oggi, NESSUNO, si può nemmeno avvicinare.
Veramente, c’è troppa roba che non si può leggere, noi lettori non siamo tutelati e se senti tutti gli scrittori emergenti o presunti tali, si sentono scrittori seri e siamo “noi” (i lettori come me) che non capiamo nulla…
Il problema quindi è che c’è anche l’arroganza di volersi considerare di “professione scrittore” quando si produce solo roba da semplice intrattenimento.
Si certo, questo va pagato comunque. Io l’euro lo butto via ugualmente e preferisco buttare l’euro piuttosto che i 5/7€ di un romanzo da poco, almeno me ne rimangono 4 in tasca per provare a cercare altre fonti. E non parliamo nemmeno della sconcezza dell’editoria di presentare poi i big con quasi lo stesso prezzo del cartaceo, con buona pace per la giusta considerazione nei confronti del lettore: pollo da spennare !
E non parliamo poi di quell’editoria che starebbe dalla parte degli esordienti/emergenti/giovani scrittori (tipo Delos Digital, si non ho problemi a fare nomi) che ribalta l’azione “del pollo da spennare” questa volta verso chi scrive !!
Ne consegue che non siete tutelati nemmeno voi, quindi, in una economia di libero mercato è giusto che ognuno dia il proprio peso al valore del denaro e quindi del lavoro, perchè si capisce che la speranza di emergere è sempre l’ultima a morire (difendo quindi chi si pubblica per meno di un tozzo di pane). Piuttosto poi dovrebbero tutti mettere il tasto “donate” con Paypal come hai fatto tu, perchè per 10 che se ne fregano ce n’è sempre uno che invece apprezza e regala qualcosa in più. Auguri.