Ho iniziato il 2016 da autore in maniera anarchica.
Ho smesso per qualche giorno di controllare la board delle vendite su Amazon (aggiornata quotidianamente – qualcuno dovrà prima o poi parlare degli editori che spesso non forniscono i dati di vendita ai loro autori).
Ho smesso di lavorare alle conclusioni di alcune saghe rimaste in sospeso, ma che al momento richiedono un lavoro di documentazione che va oltre le mie forze.
Ho ignorato le richieste (che – tengo a precisarlo – mi fanno sempre piacere!) di scrivere il sequel del romanzo X o del racconto Y.
Poi mi son messo a scrivere ciò al momento sento più affine alla mia volontà, pur con la consapevolezza che sarà più complicato vendere queste nuove storie.
La domanda è meno banale di quanto appare e probabilmente non è adatta a un ozioso sabato.
Ma oggi va così.
Dunque vi pongo la questione: è giusto scrivere quel che vuole il mercato o è meglio scrivere ciò che abbiamo voglia?
In qualità di autore indipendente non devo rendere conto a nessun intermediario tra me e i lettori. Ciò mi toglie il fastidio di dover avere a che fare con un editore che cerca di convincermi a scrivere storie di vampiri liceali o di giovani ribelli armate di archi o di giavellotti.
Comunque le statistiche del mercato sono facilmente reperibili, tanto che solo un cieco (o uno sprovveduto) non si accorgerebbe di quali romanzi vendono facilmente e quali no.
Nel mio piccolo ho fatto un esperimento. Pochi mesi fa ho scritto due romanzi zombie (Zona Z ed Evento Z), senza pubblicizzarli granché. Entrambi hanno venduto molto e continuano a vendere senza che li promuova in alcun modo.
Gli zombie – infatti – vendono.
Sempre.
C’è una terza via, la più difficile: creare un pubblico.
Portarlo a leggere e ad amare le storie che noi vogliamo scrivere. Si tratta di una vera e propria impresa, ma è una sfida assolutamente stimolante.
Tenere conto del volere del mercato è in buona parte giusto, o quantomeno saggio. Piegarsi a esso e diventare autori “a gettone”, pronti a sfornare qualunque cosa voglia il pubblico, può pagare le bollette, ma toglie il bello di questo mestiere.
Una via di mezzo è il giusto compromesso.
Ed è quello che sto cercando di fare fin dai primi di gennaio, occupandomi delle storie di 2MM Reloaded, partendo dal primo ebook dedicato alla mini-serie di Miss Atonement.
Forse si rivelerà una strategia sbagliata, ma vale la pena provarla, soprattutto per una questione di benessere mentale.
(A.G. – Follow me on Twitter)
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Per me leggere i tuoi racconti e romanzi è semplice perché semplicemente mi piace come mi racconti le storie.
Il genere che racconti è affascinante perché mi porta in mondi diversi, a volte orrendi altre fantastici.
Che posso volere di più.
Magari uno mi piace maggiormente, un altro meno, ma resti nella mia top list 🙂
Arrossisco!
Grazie mille. Spero di continuare a essere nella tua top list 😉
Ritengo la scelta giusta dipenda da ciò che si vuole fare, se la scrittura è solo un hobby tanto vale scrivere ciò che si vuole, ma se si vuole scrivere come carriera bisogna scrivere per il mercato. O perlomeno questo è ciò che dicono gli autori di successo che seguo.
Parlano di come essere indipendenti permetta loro di fare ciò che vogliono, ma hanno tutti delle serie thriller+qualcos’altro, spesso con il primo libro gratis. Non dicono che non scrivano anche altri libri, ma la base sembra sempre quella. E a volte arrotondano anche con libri e corsi per imparare da loro.
Del resto lo stesso vale per ogni mestiere, se, ad esempio, fai il programmatore libero professionista è vero che sei libero di scegliere i tuoi progetti, ma non è che tu possa scegliere sempre quello “superfigo”.
La libertà creativa assoluta se la possono permettere solo coloro che non hanno bollette da pagare 🙂
Al contempo credo che bisogna essere al 100% proni al mercato, ma cercare di adattarlo alle proprie preferenze, al proprio stile.
Esempio banale: posso scrivere di zombie perché vendono, ma posso anche tentare di scrivere una trama ibrida, che al contempo parli anche di altro.
Si può fare un po’ tutte e due le cose, no? Anche solo per esperimento e vedere cosa succede.
Inseguire il mercato è suicida.
Creare un proprio pubblico dovrebbe essere la strada per chi cerca di fare della scrittura un lavoro, ma ci si scontra con tutta una serie di barriere – a cominciare dal generale livellamento verso il basso tanto dell’offerta quanto della domanda.
Abbiamo detto in passato come gli editori storici (per il fantastico, Nord e Fanucci in testa) lavorarono per oltre un decennio, fra i ’70 e gli ’80, per formare un pubblico. Questo non succede più, o se succede, si cerca di formare un pubblico di bocca buona e fieramente ignorante, e i risultati si vedono.
È un problema molto complicato.
Ecco, provare a formare un pubblico sarebbe una bella strategia, in grado di coniugare buone vendite (Nord e Fanucci vendevano bene) e buona qualità dei contenuti proposti.
Purtroppo sembra avvenire l’esatto contrario.
A me Miss Atonement è piaciuto: ovviamente non faccio testo, ma posso quantomeno continuare a leggerti… buon proseguimento! mf
Forse ragiono “all’antica” ma se apprezzo un autore, lo apprezzo per quel che scrive e come lo scrive e questo indipendentemente dal genere. Simenon è stato uno straordinario giallista ma i suoi romanzi migliori non sono quelli della serie di Maigret, cio nonostante leggo volentieri entrambi i filoni.