Dylan Dog si ritrova all’improvviso impiegato in un ufficio, nel quale l’orrore non è più quello rappresentato da mostri, serial killer e incubi soprannaturali bensì quello dell’ordinaria, aberrante quotidianità all’interno di una multinazionale dagli scopi oscuri. Ma che cosa ci fa lì dentro Dylan? Come ci è finito? Come è successo che l’orrore del reale si sia sostituito a quello dell’immaginario? L’unica via di fuga, per l’Old Boy, pare provenire da un amore che potrebbe spingerlo a rimettere tutto in discussione.
Non compravo Dylan Dog da anni, ma di questo molti amici appassionati di fumetti ne parlavano benissimo. Così mi sono lasciato tentare. In fondo si può tornare, una volta tanto, alla passione di gioventù, spazzata via dalla consapevolezza nata con la maturità.
Mi sono pentito dell’acquisto?
Assolutamente no.
La Macchina Umana è l’albo di Dylan Dog dell’aprile 2016, numero di serie 356, scritto da Alessandro Bilotta e disegnato da Fabrizio De Tommaso.
Credo che verrà ricordato come uno degli spillati più belli di sempre di questa collana, al pari di altri numeri storici.
La storia è kafkiana, misteriosa, vagamente onirica.
Attraverso la vita quotidiana nella multinazionale DayDream, l’autore ci racconta uno degli orrori reali dei nostri tempi: il lavoro.
Lavoro che se non c’è muori, ma se c’è spesso ti ammazza, o quantomeno ti disumanizza.
La DayDream è una società che ricorda, nemmeno troppo velatamente, quella per cui lavora un’icona della tragicommedia italiana, il ragionier Fantozzi. Solo che le atmosfere de La Macchina Umana sono molto più cupe e angoscianti.
La DayDream potrebbe essere l’azienda per cui lavori tu, che stai leggendo questo post.
Un luogo dove gli straordinari non sono quasi mai pagati, dove i contratti sono quasi sempre a termine, dove alcuni colleghi sono dei delatori e i capo-reparto dei cerberi.
Una società in cui gli incentivi alla produzione vengono spesso spesi per accumulare prodotti che non abbiamo nemmeno il tempo di scartare: nuovi cellulari, nuove TV, nuovi DVD, nuovi vestiti.
Uno status sociale che ci promette 24 ore di libertà, la domenica, ma sono ore angosciate dalla prospettiva del lunedì che incombe, come una ghigliottina.
Una situazione senza via di fuga, perché c’è il muto da pagare, perché il figlio vuole fare il corso di Judo come gli amici, e la moglie desidera quel nuovo modello di tablet che è appena uscito con lo sconto del 10% al centro commerciale.
La Macchina Umana è un labirinto della mente, ancor più che del corpo. Una trappola in cui quasi tutti finiamo con l’età adulta, dopo essere cresciuti con ideali di libertà e con la voglia di cambiare il mondo.
La DayDream è un moloch in cui gli ingranaggi siamo noi, ancor più dei “grandi capi”. Una macchina – appunto – trita-speranze, che si nutre all’infinito e che inghiotte tutti, senza che quasi nessuno se ne accorga.
Ma c’è modo di sfuggire alla macchina? Forse. Gli autori non offrono facili risposte, forse perché non ne esistono. Di sicuro però non tutto è perduto, ma dobbiamo fare molto in fretta, per salvarci dall’oblio che offre questo modello sociale.
Gran numero, questo di Dylan Dog.
In realtà non ci racconta nulla che già non sia a nostra conoscenza, ma ogni tanto è utile vedere la situazione anche con occhi esterni. La Macchina Umana mi ha fatto riflettere. Mi ha suscitato delle domande: quand’è l’ultima volta che mi sono sentito libero? Quanta dignità viene tributata ai lavori che faccio? Le ore di sonno sacrificate per produrre di più sono spese bene, o fanno parte del loop di chi oramai si identifica col suo lavoro (bello o brutto che sia)?
Non ho trovato risposte certe, né le cercavo. Ma a volte basta proprio farsi delle domande su cose a cui non pensavamo più, per ritenere di aver speso bene il tempo. Fossero anche soltanto i venti minuti impiegati a leggere questo fumetto.
(A.G. – Follow me on Twitter)
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L’ho preso ma non l’ho ancora letto, speriamo sia l’inizio di una stagione con contenuti più sostanziosi. Il tanto pubblicizzato “nuovo corso” al momento ha lasciato l’amaro in bocca a molti.
Sono stato molto sorpreso nel leggere l’ultimo Old Boy, il quadrimestrale svincolato dalla “continuity”, tre storie qualitativamente elevate come non si vedeva da anni. E una della tre con un finale finalmente non consolatorio e alquanto spiazzante.
Non so, secondo me le testate con una vita editoriale eccessivamente lunga perdono interesse dopo il decennio.
Però qualche albo (tipo questo), acquistato di tanto in tanto, può regalare delle belle sorprese.
letto ieri, mi è piaciuto, sto trovando molti interessanti quasi tutti i numeri che stanno uscendo sotto la direzione di Recchioni
Curioso!
Io invece l’ho trovato detestabile perchè parla di un mondo del lavoro inesistente.
In realtà, specie in inghilterra, col cavolo che le regole non sono rispettate. In America è ancora peggio, qualunque violazione è punita in modo draconiano . Se invece parla del mercato del lavoro italiano , beh le cose sono disperanti ma non certo per i capi cattivi o le pressioni quanto per l’organizzazione del lavoro stessa, che è un aberrazione democratica a cui concorrono per primi sindacati e lavoratori stessi. Siamo divisi in caste varie, con gli “interni”, i consulenti esterni, i contratti precari ecc. Il primo nemico è il collega altro che il capo!!
Inoltre in questi J’accuse siamo sempre alle solite; non si dice mai che lavoro si sta facendo. Ma che fanno quelle persone? Sembra un critica vista da lontano, di qualcuno che dall’esterno tragga da poche occhiate conclusioni su tutto un mondo di cui in realtà ignora tutto. Una bella prova di arroganza oltre che di ignoranza. E poi le solite accuse al consumismo come fenomeno esogeno e non come proprio dell’uomo.Compriamo le cose perchè ci fanno il lavaggio del cervello e non perchè ci servono. L’uomo come non è dotato di libero arbitrio.
Ripeto una visione detestabile ma ancora di più censurabile perchè falsa. E dire le bugie non è mai bello.