Cosmonauti fantasma

Di cosmonauti sovietici deceduti durante la “corsa allo spazio” ne abbiamo già accennato in altri articoli.
Questo stesso post è la riproposizione (ampliata e riveduta) di un pezzo comparso qualche anno fa sul mio primo blog (chiuso nel 2011). Credo che riparlarne, di tanto in tanto, possa essere utile anche a chi è in cerca di ispirazione, magari per scrivere qualche bella storia del brivido.

L’Unione Sovietica non ha mai riconosciuto l’esistenza dei cosiddetti “cosmonauti fantasma”, tranne per quanto concerne gli equipaggi del Sojuz 1 e del Sojuz 11.
Nel caso del Sojuz 1 (1967) il cosmonauta Vladimir Michajlovič Komarov morì durante l’atterraggio d’emergenza della capsula.
La missione Sojuz 11 (1971) fu molto più eclatante. Si trattò del decimo volo equipaggiato di questa capsula, ma fu la prima missione in grado di eseguire con successo la manovra di aggancio permanente a una stazione spaziale (la Saljut 1) con conseguente passaggio dei cosmonauti verso la stessa. I tre cosmonauti morirono però nel rientro, per colpa di una valvola d’aria difettosa. 
Questo, come dicevamo, è ciò che ammette il Programma Spaziale russo (e ancor prima quello sovietico), per quanto concerne i cosmonauti morti in missione. Alcuni casi sono stati però ridiscussi nell’ultimo decennio, complici diverse prove scovate dagli esperti di settore, per riabilitare la memoria (perduta) di questi eroi del pionierismo spaziale.

Davanti a tali casi ci sarebbe da riscrivere parte della storia della scienza astronautica del XX secolo. Non sarebbe stato infatti Yuri Gagarin il primo uomo ad andare nello spazio. Semmai si tratta del primo a essere tornato vivo. Anche dopo il successo di Gagarin sarebbero morti molti altri cosmonauti, tra cui addirittura una donna. Ovviamente erano i tempi della Guerra Fredda, perciò certe notizie filtravano a stento addirittura tra gli addetti ai lavori. Del resto nulla doveva intaccare la presunta infallibilità del Progetto Spaziale dell’Unione Sovietica.
La verità è saltata fuori dopo, tra intercettazioni di documenti, gole profonde e fonti varie dell’apparato burocratico.

La lista dei cosmonauti perduti è piuttosto lunga. Questi sono i casi più o meno acclarati:

* Aleksei Ledovsky (novembre 1957)
* Serenti Shiborin (febbraio 1958)
* Andrei Mitkov (gennaio 1959)
* Gennadi Zavadovsky (maggio 1960)
* Ivan Kachur (settembre 1960)
* Piotr Dolgov (ottobre 1960)
* Alexis Graciov (novembre 1960)
* Gennadi Mikhailov (febbraio 1961)
* Ludmilla Serakovna (maggio 1961)
* Alexis Belokoniov (maggio 1962)

Ancora oggi le autorità russe smentiscono, glissano, fanno ammissioni parziali. Negli anni ’90 rivelarono che effettivamente alcune persone ebbero relazione con il programma spaziale e morirono in servizio, ma che non erano cosmonauti, bensì tecnici e tester. In particolare esisteva uno specifico gruppo di piloti militari che effettuavano test per il programma spaziale, senza essere cosmonauti. Tra questi c’era anche Piotr Dolgov, ritenuto un cosmonauta fantasma, che non morì nello spazio, ma in un lancio ad alta quota con il paracadute.

Leggende metropolitane

Esistono poi delle casistiche “weird”, vere e proprie leggende metropolitane che riguardano dei casi di cosmonauti fantasma di cui però non si hanno prove concrete. I cospirazionisti più cervellotici dicono che si tratta di casi veri, ma che le autorità russe sono state brave a nascondere le prove o a trasformarle in burletta. I razionalisti sostengono invece che sono vere e proprie invenzioni (beh… lo sono), talvolta genere dal caso, altre volte da una precisa volontà di burlarsi dei cospirazionisti.
Ecco tre casi piuttosto noti.

Ivan Istochnikov

Ivan Istochnikov/Joan Fontcuberta.

Secondo una leggenda metropolitana, questo cosmonauta fu lanciato nello spazio a bordo della Sojuz 2 che doveva agganciarsi alla Sojuz 3, ma scomparve il 26 ottobre 1968 e il suo casco fu trovato colpito da un micrometeorite. Le autorità sovietiche nascosero la sua morte e dichiararono che la capsula era priva di equipaggio.
In realtà Ivan Istochnikov non è mai esistito. Fu creato nel 1997 dal fotografo spagnolo Joan Fontcuberta, con l’obiettivo di presentarlo ad un’esposizione al Museo Nazionale di Arte della Catalogna. Il nome del cosmonauta è una traduzione in russo del nome del fotografo, che in italiano significa “Giovanni Fontecoperta”.
Questo caso, oramai noto per essere un clamoroso falso, dimostra quanto è facile creare un caso e farlo recepire come vero, anche quando si tratta di una burla.

Boris 504

Boris 504.

Nel 1999 Dwayne Allen Day pubblicò un articolo satirico su uno scimpanzé, chiamato Boris 504, che sarebbe allunato con la sonda sovietica Luna 15 e sarebbe sopravvissuto per qualche tempo sulla Luna. L’articolo, che era una parodia della propaganda sovietica dell’epoca, fu ritenuto vero da alcuni mezzi di comunicazione. Ancora oggi (e chissà perché non ne sono sorpreso), c’è chi ritiene vera la storia di Boris 504. Costoro pensano che l’articolo satirico fu scritto per mettere in ridicolo la vicenda del cosmonauta scimpanzé, che qualcuno aveva spifferato all’esterno delle strette maglie del Programma Spaziale sovietico.
Follia, ma a suo modo divertente.

Il nano del KGB

Il moon rover sovietio Lunokhod 1.

La sonda Luna 17 sbarcò sulla Luna un veicolo automatico semovente, il Lunokhod 1. Alcuni cittadini sovietici, che erano scettici riguardo la possibilità che un veicolo semovente potesse circolare sulla Luna, misero in giro la voce che esso fosse pilotato in realtà da un agente nano del KGB (che a quanto pare non fu mai a corto di stranezze e di urban legends), imbarcatosi per un’eroica missione suicida.
In realtà né sulla sonda né sul veicolo c’era posto per le provviste di aria, acqua e cibo che avrebbero dovuto tenere in vita un cosmonauta per alcuni mesi. Quindi anche questa è una vera e propria hoax, che però ancora oggi qualcuno, di tanto in tanto, ripropone come vera.

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Articolo di Alex Girola: https://twitter.com/AlexGirola
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