Mi piace parafrasare uno dei migliori racconti del grande Jorge Luis Borges per iniziare un post scritto, qui sul blog. Oramai capita davvero raramente che pubblichi in questo formato, su Plutonia Experiment.
Ultimamente ho presentato soprattutto podcast, video e nuovi racconti. Però è bello non perdere del tutto l’abitudine.
Borges, dicevamo, è Il giardino dei sentieri che si biforcano. Racconto che tra l’altro trovate in questa raccolta, disponibile anche in formato ebook.
Una storia di mondi alternativi, di possibili futuri multipli, scritto però molto prima che diventasse uno degli argomenti più sfruttati dalla fantascienza letteraria e cinematografica. Se volete saperne di più, questa è la pagina Wikipedia che parla del racconto in questione (con un sacco di spoiler).
Un aneddoto personale, non del tutto off topic: qualcosa come vent’anni fa, in una delle mie prime vacanze senza membri della famiglia appresso, mi sono trovato in una Roma agostana, caldissima ma stupenda, piena di turisti e al contempo con l’apparenza di essere vuota, come solo le città italiane sanno fare.
In quelle lunghe e oziose settimane sono finito a una mostra su Jorge Luis Borges, ospitata in un palazzo che non ricordo. Una mostra quasi deserta, su un autore che a quei tempi conoscevo a stento. In quella mostra – gratuita – ci eravamo infilati solo per cercare un po’ di refrigerio dall’afa capitolina. Ecco: questo è stato il mio approccio col maestro argentino. Sembra un aneddoto da film (o da romanzo), invece è andata così.
Da allora la teoria degli universi multipli mi ha sempre affascinato, anche se in maniera più filosofica che non scientifica.
Nel senso che mi è capitato spessissimo di innamorarmi dei città e dei paesi che ho visitato, immaginando come sarebbe stato fermarmi in quei luoghi, abitarci, trascorrere lunghe giornate nei loro luoghi iconici, ma anche conoscendo i loro angoli più nascosti e intimi. Ogni volta che partivo da posti del genere mi prendeva la malinconia per tutte le vite possibili che non avrei vissuto.
In finlandese c’è una parola, “Kaukokaipuu”: la nostalgia di un posto in cui non siamo mai stati.
Anche in lingua tedesca c’è un termine simile: “Fernweh”. Sono parole che esprimono concetti che sfiorano lo spazio-tempo e l’inconscio.
Citando una descrizione trovata in Rete:
Essere nostalgici di qualcosa che non si conosce, di un luogo che non si è mai visto, è possibile perché quell’emozione per il nostro pensiero cosciente riguarda un luogo, ma per il nostro pensiero inconscio riguarda tutti i luoghi del mondo, l’altrove, l’alternativa al tempo presente. Questa emozione riguarda noi nel mondo, fa vivere la sensazione forte di poter avere una alternativa al presente, e può essere ancora più intensa se il presente è difficile.
Ecco, la sensazione che provavo ogni volta che me ne andavo da una città visitata solo per pochi giorni era molto simile a questa, con la differenza che io quei luoghi li avevo visti, ma non conosciuti. Visitare una città e apprezzarla è una cosa, conoscerla è un’altra.
Quindi il concetto di Kaukokaipuu ben si adatta all’emozione che sto cercando di descrivere.
Provavo una profonda nostalgia per le vite che non avrei mai vissuto in quei posti.
Dove è capitato? Credo di averne già accennato altre volte: Lisbona e Vienna sono in cima alla mia personale classifica, ma posso inserire nell’elenco anche San Francisco, Praga, Riga, Edimburgo, ma perfino una sconosciuta cittadina dello Utah, Moab. I motivi sono sempre molto diversi, di luogo in luogo: inutile stare a descriverli tutti.
Da due anni abbiamo tutti – chi più chi meno – smesso di viaggiare. La pandemia ce l’ha imposto, ma ciascuno di noi ha anche altre ragioni che hanno decretato questo cambio di passo.
Come scrivo spesso sui social, la percezione che ho è che il nostro mondo si sia ristretto notevolmente. Prima si ragionava sull’ordine di lunghezza di tratte aeree, ora di viaggi d’auto, o a piedi.
Viaggiare manca a chiunque abbia avuto il piacere di farlo almeno qualche volta, nel mondo-di-prima.
Io di certo non ero (e non sono) afflitto da wanderlust (il desiderio irrefrenabile di girovagare), eppure solo ora mi accorgo di quanto sia stato bello farlo. Non solo per i motivi più ovvi – conoscere nuove realtà, ampliare gli orizzonti, cambiare aria – ma anche perché mi manca quella strana sensazione il Kaukokaipuu.
Poco tempo fa ho pubblicato un romanzo breve che prende spunto dalle mie vacanze estive degli anni ’80/’90, per poi parlare d’altro. Nello specifico, senza spoilerare, La nostra ultima estate parla proprio di realtà alternative e parallele. Anzi, di vite alternative e parallele, che è una cosa più sottile.
Non è stato semplicissimo scriverlo, ma mi è piaciuto davvero farlo, anche se forse venderà un po’ di meno dei miei altri racconti.
Ecco, magari un domani sarebbe interessante tornare su questo argomento, con qualcosa di uguale eppure diverso.
Nel mentre l’estate 2021 procede col suo passo lento e anonimo, in una sorta di bolla in cui tutto sembra essere sospeso, e in cui i giorni sembrano assomigliarsi tutti. Sono melodrammatico?
Probabilmente sì. Ve l’ho detto: la malinconia è un sentimento che adoro.