La Storia del Cesso – Plutonia Version

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La Storia del Cesso è un titolo che si spiega soltanto leggendo il post che l’ha generato, ovvero questo, del mio amico e collega Germano.
Anche Marina Belli ne ha poi fornito una sua versione. Leggetela e poi tornate qui.
Fatto? Ok.
Ho pensato che poteva essere interessante raccontare anche una mia breve testimonianza in merito. I presupposti sono i medesimi degli articoli che avete appena letto. Riassumendo, tutto parte da due/tre domande che i profani fanno a chi si diletta di scrittura:
– Perché scrivi?
– Cosa scrivi?
– Ma a parte scrivere, cosa fai di serio nella vita?
Oh gioia, oh gaudio! Quesiti illuminanti, dico bene? Soprattutto l’ultimo, che è poi la naturale conclusione del 90% delle conversazioni “offline” che hanno come oggetto la scrittura, questa sconosciuta. Se ti va bene ci può essere quello che ha una visione romantica dello scrivere. Sapete, “esorcizzare i demoni interiori” e tutte le altre cose. Peccato che per me sia fuffa anche questa.
Io scrivo perché mi diverto. E perché penso che le mie storie siano abbastanza valide per poterci pagare una cena alla mia compagna o i regali di Natale agli amici.
Banale? Forse.

Non ho traumi infantili o episodi di strazianti iniziazioni che mi hanno portato sulla strada della scrittura.
Semplicemente, mi è sempre piaciuto leggere. Soprattutto racconti e romanzi fantastici, di mondi che non sono questo, ma che un po’ ci assomigliano.
Dove ci sono però i draghi, le streghe, i supereroi, i fantasmi, le dimensioni parallele.
Mondi spaventosi e divertenti. Senza limiti, se non quelli dell’immaginazione.
Quasi subito dopo aver imparato ad amare questo genere di storie, mi sono accorto di volerne creare delle mie. A undici anni ho scritto un librogame, a mano, su un quaderno di scuola. Una cosa a metà tra Lupo Solitario e Kenshiro.
Poi sono arrivati i giochi di ruolo.
A differenza di altri, non ho però mai pensato che scrivere un buon modulo d’avventura equivalga a scrivere un buon romanzo.
Infatti non ci ho mai provato.

Dopo anni ho approcciato la narrativa non ludica.
Ho studiato, più che altro da solo.
Mi sono esposto in Rete.
Mi hanno detto che scrivevo buone storie, ma con uno stile grezzo.
Era vero.
Mi sono migliorato, mai snaturato.
I miei nuovi racconti sono piaciuti, man mano sempre di più. Ho scoperto che è gratificante ricevere complimenti, che fa parte del naturale processo di creazione di una storia.

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Col tempo ho maturato la ferma convinzione che scrivere è un lavoro come un altro, solo più divertente. Almeno per me. Altri preferiscono prendere soldi per giocare a calcio, per suonare il basso, per dipingere un quadro, per insegnare parapendio o per recitare in film pornografici.
Ed è giusto così.
Ogni cosa che occupa tempo, lavoro e fatica, nonché qualche investimento a livello economico, dovrebbe essere considerato un lavoro. Specialmente se la gente comincia a dirti che sei bravo, che ciò che fai “funziona”.
Quindi, perché no, oltre a scrivere ho iniziato a vendere i miei racconti. Ricevere il contributo di un euro o due per ciò che scrivo dà un senso allo sforzo creativo. E, come già detto, ogni tanto mi paga una cena, un pieno di benzina, o il rinnovo dei miei domini sul Web.
Forse non sarà mai il mio  unico lavoro, ma ci si prova lo stesso.

Là fuori c’è un sacco di gente, ahimè anche tra chi mi dovrebbe essere amico, che continua a dirmi che scrivere è una passione, che non va commercializzata.
Mi dicono che con la parola scritta non si campa, quindi non vale la pena provarci.
E se invece sostengono che sì, in fondo sarebbe un bel colpaccio pubblicare un romanzo, mi chiedono se ho già inviato il mio inedito a Mondadori. O Mondadori o il nulla, questa è la percezione dell’editoria in Italia.

Alla lunga te ne freghi delle incomprensioni.
Al limite continui a spiegarti qui sul blog, perché la parola scritta (quella con cui non si campa) dà meno adito a fraintendimenti. Qui trovate tutto: le mie motivazioni, i miei stimoli, le cose che mi piacciono, le mie muse, i mondi che ho creato.
Il tuo è un blog molto professionale, ammettono i più.
Professionale ma divertente, perché una cosa non elude l’altra.
E comunque per me è anche (soprattutto) un bel lavoro. Più, molto di più, del mio lavoro socialmente spendibile nel mondo esterno, quello che ti dà un senso di normalità quando ti presenti a un gruppo di sconosciuti.

Questa è la mia Storia del Cesso.

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– – –

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18 commenti

  1. Grazie per il link. 😀
    Be’, tecnicamente non è una storia del cesso, essendo quest’ultima infiocchettata apposta per sembrare un impresa epica e commuovere lo spettatore. Ti puoi migliorare.
    Ok, scherzi a parte, credo che ciascuno inizi a modo proprio, e gli inizi sono molto meno nobili e ricercati di quanto racconti certa gente. Si inizia appunto guardando X-Files o Kenshiro, giocando a Lupo Solitario. Che sono ottimi prodotti, ma non certo considerati a livello di ALTA letteratura (o cinema).
    Però si inizia e si insiste, e si migliora.
    Spiace soltanto che neppure quei lettori così coraggiosi da farsi avanti e creare una specie di supporto, siano quasi mai altrettanto fiduciosi nel considerare tutto ciò un vero lavoro. Non si capisce perché, poi. ^^

    1. Che poi il concetto di “alta”, che brutta cosa…
      Io ho sempre guardato con più affetto ai romanzieri di storiacce pulp, agli autori di fumetti e novel di guerra, a chi scrive horror poco psicologico e molto “mostruoso”…
      Alta? Mmm… 😉

  2. La storia della passione che non va commercializzata è la più grande bufala del nostro secolo.
    Ma come pensano, costoro, che la medicina, la tecnologia, l’arte, etc. si siano sviluppate e siano cresciute se non grazie a degli appassionati che gli hanno dedicato l’intera vita?
    Un uomo che riesce a vivere della sua passione è un privilegiato, perché non è facile farlo, e quindi viene in qualche modo disprezzato dall’invidia di chi ha cercato lavoro per prendere uno stipendio e poi vediamo.

  3. Io pure scrivo perché mi piace farlo.
    Dirò di più: a volte mi piace scrivere qualcosa di altamente significativo (almeno nelle intenzioni…) altre volte preferisco scrivere cose demenziali (e probabilmente mi riesce meglio ;-). E’ la libertà creativa assoluta e totale della scrittura a piacermi. Il fatto di immaginare e nel contempo dare una forma definita all’immaginazione.
    Io però quando in un momento di socialità viene fuori l’argomento “scrittura”, tendo a minimizzare. “Sì, scrivo, ma è solo un hobby”. Non ho voglia di impelagarmi in discussioni assurde…

    1. Libertà creativa assoluta, senza atteggiarsi e senza pretendere di essere chissà chi. Anche per me è così.
      Però la qualifica di “lavoratore della scrittura” la rivendico eccome.

  4. Mmh, quasi quasi mi unisco ai vari post, quanto meno perché già commentando da Hell era uscita un sotto-argomento interessante.

    Il divertimento è fondamentale, nella scrittura. E il volerci pagare una cena è sacrosanto, nel lavoro, e quindi nella scrittura.
    Che le passioni non vadano commercializzate è veramente ipocrita.
    Io che mi sto laureando in Ingegneria Energetica e lo faccio non perché è una scelta a caso, ma perché quel campo mi piace e mi appassiona, non dovrei farmi pagare quando progetterò un impianto fotovoltaico? Bah.

    Comunque quanto è vero che la narrativa e i GdR sono diversissimi! Infatti quando poi trovi un romanzo (fantasy, un genere a caso) scritto come se fosse una ruolata di D&D si sente eccome, in negativo. 🙂

    Ciao,
    Gianluca

    1. Che poi stabilire che certi lavori siano degni di pagamento e altri no è veramente ridicolo…
      Tutto ciò che corrisponde a un’esigenza (perciò anche leggere e divertirsi) ha dunque un valore, se vogliamo proprio metterla sul vil denaro.

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