Come spesso accade un post di un vicino di cella mi dato modo di riflettere.
Leggetelo e poi tornate qui.
Fatto? Bene.
Per come l’ho percepito io, questo articolo di Davide è più o meno traslabile in diversi settori produttivi, creativi ed economici del nostro paese. Dunque l’Italia è un paese refrattario alle innovazioni di qualunque genere? Perché in fondo la domanda è questa.
Io non ho dati per fari discorsi a livello politico o sociale, perciò mi limito a considerare quel che vedo attorno a me, sia dal vivo che in Rete. Laddove Davide parla dell’impossibilità di coinvolgere una piccola comunità in “esperimenti” per ridisegnare certi stili di vita, io parlo di tanti piccoli radicati luddisti che si nascondono nei posti più impensati.
Non devo fare molta strada per notare i tizi che gestiscono l’azienda per cui sgobbo, ancora oggi refrattari al lavoro paperless, anche se fortemente consigliato per questioni di snellimento delle procedure. L’utilizzo delle email certificate, che pare una cosa elementare, sta soltando adesso entrando nella testa di persone che viaggiano sulla media dei 50 anni, e che non vedono positivamente le innovazioni portate al loro stile di lavoro. Anche quando questi appare vecchio, sorpassato e ampiamente migliorabile.
Qualche tempo fa leggevo un interessante articolo, credo su un quotidiano di freepress, relativo alle nuove professioni che stanno nascendo in tempo di crisi. Sempre più spesso i giovani, senza posto fisso ma dotati di voglia di fare e di capacità notevoli, si inventano lavori correlati al Web. E’ così che si registra un proliferare di creativi, grafici, impaginatori, web designer, blogger “a pagamento”, traduttori, guide turistiche, quasi tutti raggiungibili con un click e disponibili a offrire prestazioni economiche, su misura e con tanto di rapporto umano.
Peccato però che l’articolo si riferisse all’edizione svedese del suddetto quotidiano (MetroNews, se non sbaglio). Ora, che la Svezia sia una sorta di Eldorado (specialmente se paragonato all’Italia) non è una novità. Fa però riflettere l’immenso divario tra questi due paesi. Perché da noi non può accadere – o quantomeno accade assai raramente – che un giovane si trasformi in piccolo imprenditore di se stesso, facendo buon uso della propria creatività?
Perché un concetto come quello del telelavoro e dell’ingaggio on-demand deve essere ancora ritenuto – nel 2012 – una “roba da ragazzini”, poco seria e poco affidabile?
Meglio affidarsi a roboanti studi di “professionisti” che applicano prezzi assurdi, sfruttando neolaureati per una manciata di euro al mese, facendoli sgobbare fino alle nove di sera. Cose viste e vissute di persona, anche se come semplice testimone. I tizi per cui lavoro hanno affidato più volte la gestione del sito aziendale a una roboante “società di consulenza”, che a fior di quattrini ha realizzato una pagina statica che uno studente di Quinta superiore avrebbe realizzato mille volte meglio per una ventina di euro. 
Arriviamo infine agli ebook e a tutto il mondo che ha a che fare col prefisso “-e”, ma anche con gli mp3, i film in formato streaming etc etc.
In Italia il concetto di digitale fatica a imporsi. L’italiano medio over 30 rimane ancorato all’idea del possesso “fisico” di un oggetto, libro, disco, DVD o fumetto che sia. Il che è in un certo senso bizzarro, visto che dobbiamo abituarci all’idea di vivere in appartamenti sempre più piccoli e con lo spazio ridotto al minimo indispensabile. Eppure questa radicata smania per il possesso fatica a scomparire. Se da un lato è anche comprensibile, fatico a credere che molti miei coetanei non riescano a concepire il fatto che una cosa non va necessariamente contro l’altra.
Se compro ebook non significa che desideri il rogo dei libri. Se acquisto mp3 non significa che consideri CD e dischi alla stregua di frisbee da utilizzare al parco. Ci sarebbe poi da fare tutto un lungo discorso sull’abbattimento dei costi di produzione, ma credo che sia quasi superfluo citarli.
La mia consolazione è soltanto quella di vedere che le nuove generazioni stanno crescendo senza questi pregiudizi. Sì, proprio le nuove generazioni, quei vituperati diciottenni spesso considerati senza cervello e senza principi, che però, per comodità o per abitudine, se ne fregano di vecchi e stupidi ragionamenti da luddisti incalliti.
Saranno loro a cambiare le cose?

Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
Yes, we can! 😉
Lo spero davvero con tutto il cuore 🙂
Anche qui il punto fondamentale diventa la dicotomia, il dover per forza vedere le cose in prospettiva o/o anche quando non ha assolutamente senso. Si deve, per ragioni incomprensibili, essere da una parte e osteggiare l’altra, prendere comunque partito anche su fatti che non richiedono scelte di sorta. L’inerzia economica e tecnologica travolgerà anche queste strambe resistenze ma quanto tempo ci hanno già fatto perdere? E quanto ancora ce ne faranno dissipare per stare dietro a logiche morte negli anni ’90?
Il cambiamento è inevitabile e inesorabile. Il punto è che, fin quando lo ritardiamo, rischiamo di rimanere indietro. Sia a livello di capacità personali di interagire col digitale e con l’informatica, sia a livello burocratico/amministrativo.
Un gap temporale che rischieremo di colmare in ritardo e in malomodo.
Che siano senza pregiudizi è vero, ma io ho avuto ed ho a che fare con molti di loro e a volte la sensazione che siano anche senza morale non me la toglie nessuno. Non tutti sono così, ovvio e la colpa in fondo e di che le ha cresciute queste generazioni.
mi auguro in ogni caso che siano generazioni in grado di darci una lezione e di vivere meglio
Questo è indubbio (purtroppo). Diciamo che su dieci se ne salvano due, e sempre in prospettiva. Ciò nonostante il mondo lo erediteranno loro – sì, è una cosa che mi fa un po’ paura – quindi dobbiamo sperare che maturino un’altra etica.
Non so, ai miei tempi non eravamo poi tanto più svegli, ma non ci sognavamo nemmeno di fare certe cose.
è esatto quello che dite. e questo mi preoccupa di più perché, a mio modesto avviso, un cambiamento reale si avrà se sapremo cambiare gli atteggiamenti, prima ancora che i comportamenti. Volere un brano in MP3 solo perché è più facile piratarlo su youtube, non è sinonimo di voler risparmiare plastica e spazio (per restare nei tuoi esempi). A livello politico abbiamo avuto 20-30 anni di piccolo cabotaggio in economia e nel welfare: leggine per correggere quella cosa, per blandire quella lobby, per risolvere nell’immediato i danni di un’alluvione o di un terremoto. ma non si è mosso un dito per “i massimi principi”, per le scelte radicali e innovative che, fatte allora avrebbero cominciato a dare frutti solo ora; ma li avrebbero dati. I nostri politici, tutti, devono sempre e solo esser sicuri che un qualche risultato veloce da dare in pasto agli elettori bisogna darlo, altrimenti addio rielezione. I paesi che noi guardiamo da lontano (svezia, finlandia, ecc.) pur avendo alcuni vantaggi strutturali (sono molto meno di noi come numero, ad esempio) hanno iniziato a dare una forma allo stato sin dall’inizio. E hanno il vantaggio di avere anche alle spalle una tradizione calvinista o comunque protestante che ha sempre dato allo stato etico una grande importanza.
Sul discorso della pirateria direi che qualcosa si sta muovendo a livello mondiale, ma ovviamente lo sta facendo malissimo.
Tra parentesi sarei curioso di vedere quanti tra i nostri politici sanno cos’è un mp3, un file avi o un PDF, contando che a quanto pare alcuni non sanno nemmeno cosa significa TAV.
C’è una cosa emblematica, secondo me: il partito italiano che più fa del controllo dei media il suo forte (PDL, ovvio) è rimasto ancorato agli anni ’90. Le comunali dello scorso anno dimostrano che i vertici pidiellini non sanno nemmeno utilizzare Internet per fare propaganda. Il che a me va benissimo sia chiaro, così perdono 🙂 Però è emblematico di quanto siamo indietro.
A questo punto ha ragione il capitano. In base abbiamo la mente alveare. Ci stavo pensando anche io, proprio stamattina, proprio alle stesse cose. A quanto stiamo indietro e a quando e se recupereremo mai.
Sui diciottenni, io ci spero tanto, ma purtroppo anche loro vedono internet come un giocattolino, ne ignorano le potenzialità reali perché non esiste un’ educazione al mezzo.
Vedremo.
Che poi è una cosa avvilente, perché chi cerca di stare al passo col mondo qui viene considerato come un freak.
In ufficio mi bacchettano perché “voglio fare tutto al computer”, cosa che del resto nelle nostre altre sedi sparse tra Francia e Svizzera fanno già da tempo. Qui invece ci sono dei vecchi che non si sono mai voluti aggiornare e che spesso fan fatica ad allegare un file a una mail.
Sui diciottenni, mah… per loro Internet vuol dire filmati porno e film scaricati di frodo, però intanto sono in piena sintonia con la Rete. La speranza è che un domani crescano!
Siamo un paese che esalta la flessibilità, ma è incapace di realizzarla.
Pubblichiamo articoli che esaltano i risultati dei nostri vicini europei, ma restiamo consapevoli del fatto che “da noi però sarebbe impossibile”.
Predomina una mentalità vecchia, che vede in certe strutture (lo studio professionale, l’azienda tradizionale) una garanzia, nelle novità un rischio da valutare con infinite commissioni di ricerca, studi di fattibilità, progetti pluriennali di sperimentazione guidata.
Siamo vecchi e pavidi.
Amen.
Hai detto tutto, poco altro da aggiungere.
Anzi, una cosa sì: anche molti 30/35 sono vecchi, vuoi per non andare contro i quadri dirigenziali (tutti over 50), vuoi per scarse capacità.
Io ne ho qui un paio: interagire è un casino…
Più che refrattari, siamo lenti nell’adattarci e molto…diciamo, “creativi” nel farlo. Forse l’Italia del 2020 somiglierà un pò di più alla Svezia del 2005, ma non vorrei essere troppo ottimista. 😀
E a proposito di ottimismo: non ho fiducia nè nell’attuale classe dirigente nè nei giovani di oggi. Credo che esista una folta schiera di persone che hanno (o avranno) il potenziale per cambiare le cose, ma si tratta di una percentuale piccina. Il resto è composto da bovini ignoranti.
Si, è lunedì mattina, sono un pò misantropo. 😀
Siamo super-creativi, ma usiamo questo ingegno solo per lavorare meno e male!
Che poi sul lavorare meno sono d’accordo pure io, però basterebbe svecchiarsi un po’ e sfruttare le nuove tecnologie per ammortizzare i tempi e per velocizzare almeno lo scambio di informazioni.
Qui da me succede spesso che se mando una mail per ricevere documenti o allegati mi rispondono per telefono, e poi mi spediscono un collega per consegnare i fogli a mano. E’ follia.
Ho lavorato per alcuni anni in un ente pubblico dove se volevo scrivere all’ Ufficio vicino stampavo una lettera in due copie, la protocollavo, la consegnavo all’ ufficio ed aspettavo che facesse il giro della corrispondenza.
La ritrosia, sopratutto della P.A. nei confronti delle nuove tecnologie è data sopratutto dalle carenze dei Dirigenti (chi me lo fa fare, tanto guadagno sempre eguale) a cascata sui sottoposti (perchè devo imparare una cosa nuova) e dall’ ignoranza degli Amminstratori che a parte alcuni casi illuminati sono di un arretratezza, causa anche l’ età media, proverbiale.
Ci vogliono interventi incisivi dall’ alto per cercare di superare questa fase toccando la gente nell’ unico punto sensibile, il portafoglio.
Meccanismi che mi sono familiari anche se non lavoro per un ente pubblico, bensì privato. Ma la mentalità è quella… Poi, più uffici ci sono, più incasinano le cose. Quando basterebbe ottimizzare lo scambio via mail, o anche via bluetooth, evitando di chiamare il pony express per consegnare un ciclostile in sede (200 metri di distanza).
Se non cambia nel privato, figuriamoci nel pubblico.
Il cambiamento spaventa, meglio crogiolarsi nella quotidianità, tanto, come dice Davide nel suo articolo, ci penserà qualcun altro. Non si hanno prospettive future, si vive per il momento senza pensare che i problemi attuali – di qualsiasi campo si parli – si ripercuoteranno nel futuro. Ma tanto, ci penserà la gente del futuro a risolverli, quando magari saranno già diventati ingestibili.
E allora, come avevo detto anche in un recente commento da Germano, parliamo di tutto, ma non agiamo mai. E questo va benissimo a tantissima gente. Purtroppo.
Ciao,
Gianluca
E’ l’arte del “tirare avanti”, in cui noi siamo maestri. Tra l’altro perfino nei campi dove ostentiamo un’eccellenza che oramai appartiene più che altro al passato.