I Jefferson (1975-1986)

I Jefferson
di Don Nicholl e Michael Ross
USA, 1975-1986
11 stagione, 253 episodi

C’è un canale del digitale terrestre, uno dei tanti nati dopo quella roba assurda che hanno chiamato switch-off , che trasmette le repliche de I Jefferson a nastro. Tre, quattro episodi al giorno, proposti in più fasce orarie.
Un vero e proprio trip, un viaggio nel tempo che mi son fatto ben volentieri, ma anche un crescente senso di nostalgia.
Perché io coi Jefferson ci sono cresciuto. Erano gli anni ’80 e Canale 5 li trasmetteva a ora di cena, credo alle 19.00, prima di Mike Bongiorno. In casa avevamo da poco una televisione anche in cucina, succubi di quello che, due decenni dopo, qualcuno avrebbe definitivo il lavaggio del cervello berlusconiano. Ma a quei tempi l’idea nemmeno ci sfiorava e, per quanto certi intellettuali continuino ancora oggi a giocare alla cospirazione, non ce li vedo proprio George Jefferson, Arcibaldo, Arnold e Magnun P.I. a fare propaganda per Forza Italia.

Direi piuttosto che telefilm come questi sono serviti a un’intera generazione per guardare oltre i confini del nostro paesello. Ai tempi eravamo ragazzini che alternavano anime giapponesi (chiamati semplicemente “cartoni animati”) a produzioni americane, beandoci di ciò che c’era là fuori e che, attraverso la scatola magica, entrava nelle nostre case.
Col senno di poi mi chiedo cosa capivano i miei genitori – semplice tradizione contadina – di tutte quelle ambientazioni newyorchesi, dei sottotesti razziali, dei nomi anglofoni a volte storpiati in fase di doppiaggio.
I Jefferson in particolare sono stati per me il primo vero specchio verso il mondo inteso come oltre-Italia. Innanzitutto perché i protagonisti erano due adulti di colore, George e Louise, che si erano trasferiti da un tugurio di Harlem a un lussuoso grattacielo nell’Upper East Side di New York. Ogni episodio mi regalava uno squarcio dall’alto, coi finestroni dell’appartamento dei Jefferson che guardavano la città da un punto privilegiato. Sicuramente si trattava di una ricostruzione fatta in studio, ma che otteneneva un effetto psicologico non indifferente.

Il telefilm era una sit-com, quindi un alternarsi di battute e situazioni da commedia. Tuttavia spesso e volentieri c’erano dei retroscena molto più seri, in primis riguardo alla questione della parità razziale (allora ben lungi dall’essere tale) tra bianchi e neri. George Jefferson, lavandaio di successo, si poneva a metà tra i due mondi: nero per DNA, ricco per tenore di vita raggiunto col lavoro. Spesso e volentieri si trovava ad affrontare situazioni e personaggi che lo mettevano di fronte alle sue mai rinnegate origini. Allo stesso modo la produzione stigmatizzava anche alcuni atteggiamenti negativi della popolazione afroamericana di NY, in particolar modo la propensione alla criminalità intesa come “livella sociale”. 

Avevo forse undici anni quando vidi la puntata in cui si rievocava l’assassinio di Martin Luther King. Ai tempi di King avevo sentito parlare soltanto a scuola, in modo generico e distratto. Fu l’improvvisa svolta drammatica di quella puntata dei Jefferson a farmi interessare davvero a quel personaggio notevole, che ora le nuove generazioni a stento conosceranno. O forse nemmeno.

A parte questi episodi di sensibilizzazione, ricordo con grande affetto I Jefferson perché rappresentano lo specchio duale di un’epoca che appartiene a tutti coloro che hanno più o meno la mia età. Perfino nei vestiti, nell’estetica, nei camei ripetuti di stagione in stagione (Sammy Davis Jr., Sister Sledge, Joe Frazier, Louis Gossett Jr. etc etc), si respira l’atmosfera di quelli che furono i Settanta e gli Ottanta.
Nel nostro piccolo questa sit-com ha rappresentato un tassello importante in quel processo – positivo o negativo, ditemelo voi – di apertura al resto del mondo. Un processo iniziato anni prima grazie al cinema, ma completato quando certe cose abbandonarono il grande schermo per il piccolo, quello che faceva parte delle nostre case, delle nostre famiglie.

23 commenti

  1. Me li ricordo “I Jefferson”, anche se io vedevo più spesso la sua counter-part “Arcibaldo” (ovviamente il titolo originale americano sarà stato diverso), il bianco di ceto medio-basso razzista e sessista. A loro modo, entrambi i telefilm erano uno spaccato degli USA che noi potevamo capire solo in parte.

  2. A proposito di Jefferson e Forza Italia, quando Berlusconi si limitava a fare il suo lavoro di magna…te televisivo, ai tempi d’oro di Canale 5 produsse uno show sfarzosissimo chiamato Hotel con grandi ospiti in ogni puntata (ci fu pure Alain Delon). E in una di queste vennero appunto i Jefferson, chiaramente con le voci dei loro doppiatori. Ho vaghi ricordi di quella sera, ma mi pare che fu una cosa abbastanza triste (se non ricordo male ci lavoravano pure Franco & Ciccio)…

    1. Questo aneddoto in particolare non lo ricordo, ma ricordo per esempio le sontuose serate dei Telegatti o i megaospiti di Mike Bongiorno… Pensare che dietro a tutto ciò poteva esserci già allora un piano a lungo termine fa parecchio impressione.

  3. Io vedevo sia i Jefferson che Arcibaldo, devo dire che amavo quel mondo anni settanta, in cui partecipava anche la madre di Lenny Kravitz.
    @ Alex.
    “Ma a quei tempi l’idea nemmeno ci sfiorava e, per quanto certi intellettuali continuino ancora oggi a giocare alla cospirazione, non ce li vedo proprio George Jefferson, Arcibaldo, Arnold e Magnun P.I. a fare propaganda per Forza Italia.”
    Loro sicuramente no, però ricordo benissimo un certo periodo nel 1994 in cui praticamente tutti i presentatori fininvest, da Castagna a Mike Buongiorno, da Vianello a Scotti, fino perfino ad Ambra Angiolini, tutti, con l’unica eccezione di quel gentiluomo di Corrado, che facevano una propaganda incredibile per Berlusconi.
    Scusami se l’ho buttata in politica, non capiterà più.
    Non perchè ci fosse un complotto, ma semplicemente per un “eccesso di zelo”, che criticherei anche se fosse venuto da altre parti.
    Detto questo ribadisco che i Jefferson era un telefilm molto intelligente, che riusciva a fare un ottima satira sociale.
    @ Mario Uggè
    Si ricordi bene, c’erano Franco e Ciccio nonchè anche la Fenech e Banfi, che compivano entrambi,i loro primi tentativi di uscire fuori gli schemi della commedia pecoreccia all’italiana.Lo spettacolo fu comunque una tristezza.

    1. Sì, beh, le celebrità italiane di casa Fininvest erano pubblicità politiche in carne e ossa. Alcuni ci credevano davvero, come Sandra e Raimondo. Altri erano dei venduti clamorosi. Poi c’era lo sfruttamento di personaggi allora molto giovani, come Ambra, che ora ripudia con schifo il modo in cui fu usata.
      In pochi allora avevano già capito il piano di B.
      Montanelli senz’altro…

      1. Vero, Montanelli aveva già capito e infatti si sfilò immediatamente, su Ambra ci sarebbe molto da dire su quello che era il clima in quegli anni.
        Per quanto riguarda quello che ci credevano davvero massimo rispetto per le loro convinzioni, fu il modo in cui le pubblicizzarono ad essere sbagliato.
        Con questo scusami ancora per la divagazione “politica”.
        Ciao.

        1. Io, pur odiando il berlusconismo come poche cose al mondo, sinceramente non credo ci fosse, almeno negli anni 80, un “piano” per azzerare i cervelli delle masse. Per certi versi, l’avvento della tv commerciale è stata una benedizione, perchè ha sicuramente svecchiato stilemi di comunicazione fermi a decenni prima, con la DC che deteneva il controllo su tutta la RAI. Poi dalla “discesa in campo” sicuramente qualcosa è cambiato, nel senso che usare la tv come parte della strategia politica era voluto.

          1. No, negli Ottanta sicuramente non c’ era un piano, sarebbe ridicolo il solo pensarlo.
            Ed è vero che all’ inizio le Televisioni private di B. hanno fatto solo bene al panorama televisivo nostrano.
            E’ quello che è venuto dopo che è criticabile….

          2. Anch’io sono assolutamente “pro” televisione commerciale. Immagino s’intuisca nel post 😉
            Che poi la situazione sia degenerata è un altro paio di maniche, purtroppo.

  4. lo spettacolo era Grand Hotel, ma la vera stella era Carmen Russo..e scusate se è poco, all’epoca ( 1984/85) facevo fatica a staccare i miei uomini dlla tv dello spaccio e mandarli a nanna in camerata..anche se gli orari del prime time non erano quelli di oggi, comunque Mediaset ebbe il grande merito di proporre serial che la Rai non aveva saputo scoprire od incentivare al tempo, alcune volte anche con successi clamorosi.e meritati, poi arrivò il ’92 e tutto si mise in moto…

    1. Non so se qualcuno si ricorda il genero di Archibald, “il polacco” (detto sempre con disprezzo). Beh, quello era Rob Reiner, poi regista di commedie di successo tipo “Harry ti presento Sally”.

  5. Mi ricordo perfettamente i Jefferson, e come dici tu era una finestra sul “fuori dall’Italia”. E lì a sognare su come poteva essere il mondo, sulle persone di altri paesi, sul conoscere persone con storie diverse dalle nostre.
    Certo in casa si recitava sempre “mogli e buoi dei paesi tuoi” un po’ beceramente. E se penso che ancora oggi è così mi vengono i brividi.
    Ottimo telefilm, pieno di spunti di riflessione seri tra le risate, perchè faceva anche ridere assai.
    Mi sa che io e te siamo della stessa “annata”.

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