La cospirazione dell’obsolescenza

obsolescenza 2

Ginevra, 23 dicembre del 1924.
I rappresentanti delle aziende produttrici di lampadine a incandescenza si danno appuntamento e fondano il Cartello di Phoebus. Scopo unico di questa associazione è quello di concordare una riduzione della vita delle lampadine da vendere al dettaglio. Fino a quel giorno tale “vita” era stimata in un totale di 2500 ore. Il neonato Cartello impose una radicale diminuzione di tale efficienza, portando il tetto massimo a 1000 ore. Meno della metà.
Il perché è presto detto: pianificare l’obsolescenza delle cose e dei prodotti permette al mercato di lucrare sui medesimi. Pochi anni dopo, nel 1933, un economista americano, Bernard London, propose di estendere le idee del Cartello di Phoebus a tutti i beni di consumo. Dalle scarpe alle auto, passando perfino per gli immobili, ogni cosa sarebbe dovuta essere prodotta con una “data di scadenza”, di modo da doverla scartare in tempi non troppo lunghi. In tal modo il ciclo produttivo macroeconomico non avrebbe sofferto più la recessione, e la disoccupazione sarebbe stata combattuta con rara efficacia.
La proposta di London, qualcosa a metà tra l’utopico e il distopico, non fu attuata. Ma non fu nemmeno scartata del tutto. Negli anni ’50 toccò a Brooks Stevens riproporla, in modo più esplicitamente favorevole al produttore, e non al consumatore.

In pratica Stevens suggerì di far leva sul “naturale bisogno dell’uomo di qualcosa di un po’ più nuovo” (Cit.) Il buon Brooks era molto esplicito nell’augurarsi la creazione di prodotti imperfetti, con un’obsolescenza programmata. La sua idea venne in seguito migliorata in un senso leggermente più etico, tendendo a sviluppare più stadi (sempre programmati) di sviluppo e maturazione dei singoli prodotti.  Questa volta la teoria dell’obsolescenza metodica fece presa, diventando parte integrante del cosiddetto consumismo.
Lo stesso presidente Eisenhower, nel 1955, si augurava ciò: “Abbiamo bisogno che sempre più beni vengano consumati, distrutti e rimpiazzati ad un ritmo sempre maggiore.”

Brooks Stevens - Un quasi sconosciuto che ha influenzato cinque decenni di economia.
Brooks Stevens – Un quasi sconosciuto che ha influenzato cinque decenni di economia.

Da allora sono trascorsi diversi decenni, ma l’onda lunga dell’obsolescenza è diventata una sorta di pietra angolare della produzione industriale di ogni genere e tipo. Progettare e produrre oggetti difficilmente riparabili (o riparabili a costi proibitivi) induce il consumatore medio ad acquistare un oggetto nuovo, sostitutivo. Questo avviene soprattutto nella grande distribuzione, ed è una cosa facilmente verificabile nel nostro quotidiano.
Quando vi si guasta il televisore o il cellulare, una volta fuori garanzia, cercate di ripararlo, o cedete all’idea di sostituirlo del tutto? A volte il processo di riparazione, seppur possibile, è volutamente lungo, complicato e costoso. Non a caso ci si fa prendere presto dallo sconforto (e dall’idea di fare un “piccolo sacrificio”) e si passa direttamente all’acquisto di un prodotto simile, ma nuovo e più evoluto.

All’obsolescenza programmata si è recentemente affiancata l’obsolescenza percepita. Essa viene gestita dagli esperti di marketing e di neuromarketing. Gli stessi prodotti subiscono minime modifiche (pensate ai vari modelli di un medesimo cellulare, per esempio l’iPhone), inducendo così i consumatori a cambiare un oggetto ancora perfettamente funzionante con un suo parente solo leggermente più evoluto.
Nulla di nuovo e nulla di veramente illegale. Tuttavia qualche domanda è lecito farsela. Quanto di quello che acquistiamo è stato fabbricato in modo imperfetto per obbligarci a un ricambio programmato e pianificato? Quanto questo incide sull’economia reale, e quanto fa parte delle vecchie teorie tanto amate da Brooks Stevens?

La regista spagnola Cosima Dannoritzer ha girato un documentario su questa “cospirazione”: Comprar, tirar, comprar – La historia segreta de la obsolescencia programada. Su un sito molto interessante (http://www.ilcambiamento.it), ho trovato alcune informazioni in merito. Vale la pena citare come si apre questo fim.

Il film si apre con la scena di un ragazzo, Marcos, alle prese con una stampante che misteriosamente smette improvvisamente di funzionare; tre diverse assistenze gli consigliano di comprare un apparecchio nuovo, dato che il suo costo sarebbe di gran lunga inferiore rispetto alla riparazione.
Una ricerca in rete svela però i primi piccoli segreti che hanno reso prematuramente obsoleta la macchina: un particolare chip infatti legge il numero di passaggi delle testine e dopo un quantitativo predeterminato di stampe ne causa il blocco. Durante il documentario, fra un filmato e l’altro, l’autrice ci tiene aggiornati sulle vicende di Marcos fino alla scena conclusiva: il ragazzo scarica un semplicissimo software gratuito da un sito russo che resetta il contatore e riattiva la stampante.

Se avete un’oretta di tempo da spendere bene, potete guardare il film intero, disponibile gratuitamente su Youtube. Lo trovate qui, sottotitolato in italiano. Una visione sottilmente inquietante, che però vale la pena affrontare, perché l’ignoranza è pur sempre la cosa peggiore che possiamo infliggerci.

E dire che tutto iniziò per delle semplici lampadine…

Uno screenshot del documentario.
Uno screenshot del documentario.

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(A.G. – Follow me on Twitter)

32 commenti

  1. Wow, questa cosa è fighissima e inquietante al tempo stesso… Ero certo che una cosa del genere fosse in atto, ma non pensavo ci fosse una reale e documentata strategia di cartello dietro a tutto ciò. Mi ricorda tantissimo una delle Città Invisibili di Calvino, quella dove ogni giorno gli abitanti buttano tutto per poi riacquistare tutto il giorno dopo, e che alla fine si ritrova circondata da muraglie di spazzatura oltre le quali ci sono altre muraglie di spazzatura che circondano altre città uguali…

      1. Sì, decisamente. In particolare trovo inquietante il fatto che sembra un meccanismo il cui inceppamento produrrebbe immediati effetti negativi soprattutto sulla “gente”, più che su chi questo meccanismo l’ha effettivamente messo in moto…

  2. Ottima segnalazione.
    Io di mio suggerisco il sempre divertente (e inquietantissimo) The Century of Self, documentario BBC sull’uso della psicologia freudiana nel marketing e nella politica – che si trova su YouTube per intero, e rappresenta l’altra faccia della medaglia: la generazione di bisogni artificiosi per incrementare le vendite…

  3. purtroppo è tutto drammaticamente vero. Io odio questo sistema di cose. Pensate ad un automobile. Costa praticamente 1 o 2 annualità nette di stipendio ( di tutti:chi può compra l’utilitaria, chi può compra il belinone tedesco, chi può il Ferrarino). L’auto diminusce il suo valore immediatamente, e ti raccontano che un motore diesel di ultima generazione dura circa 10 anni?! Il fatto è che il motore di anni ne dura anche 20 con la giusta manutenzione, ma nel frattempo misteriosamente le parti elettroniche saltano.
    Ok condivido questo articolo a più non posso, troppo interessante!
    Grazie!

    1. Sì, le auto rappresentano l’esempio più irritante e triste della strategia dell’obsolescenza.
      Ricordo i vecchi macinini di papà, che potenzialmente duravano anche 20-25 anni, con poca manutenzione da semplice meccanico.
      Le auto nuove iniziano a dare problemi, a volte gravi, di elettronica, dopo 5-6 anni. Nel mentre si svalutano così tanto che vale pena (si fa per dire) cambiarle.

  4. Io trovo quasi grottesco che le stesse case venditrici ti ofrano anche un “antidoto” a questa obsolescenza con i vari pacchetti di estensione della garanzia.
    Il vecchio concetto di Yin e Yang si è trasformato in Virus/Antivirus.

  5. Sono cose che bene o male si sanno, ma è giusto farlo presente ogni tanto anche per affermare che non siamo proprio deficienti. Condivido su ogni social a cui posso accedere.

  6. Se non mi sbaglio la storia della lampadine che durano 1000 ore era stata accennata dal presidente dell’Uruguay Mujica nel suo discorso a Rio. Grazie per la segnalazione del documentario, lo vedrò di sicuro.

  7. Ecco dove han preso l’idea quelli che hanno inventato i libri auto-cancellanti!
    Ormai la spesa compulsiva è un male comune, specialmente nell’elettronica. Ora mi guardo il documentario ispanico e quello di terre d’Albione. Grazie come sempre per la segnalazione.

  8. Che alla fine basterebbe ingegnarsi.
    A mia mamma è caduto il cellulare e si è rotto lo schermo, ma per il resto era funzionante. A passare per l’assistenza ufficiale non ci ho nemmeno pensato, immagino che fra tempi e costi sarebbe stato un calvario. Con 5 euro su ebay ho trovato le parti di ricambio, e gliel’ho aggiustato io.

      1. Ti garantisco che nemmeno io sono MacGyver, ma online si trovano guide di riparazione per qualosiasi cosa e alla fin fine non è difficilissimo. 😉
        Certo con questi metodi si possono risolvere problemini di piccola entità, per cose che richiedono macchinari magari ingombranti e costosi salta tutto il ragionamento.
        Però quando si può, preferisco arrangiarmi.

  9. Ma… guarda… io lavoro nell’industria, in uno studio di progettazione elettronica. Posso assicurarti che, nella mia ventennale esperienza, questo tipo di ragionamenti non esistono in alcuna fase di progetto.
    Cosa rovina la durevolezza di un prodotto? Il cosiddetto time to market!
    I prodotti devono essere progettati, prodotti, collaudati in fretta… molto in fretta. La tecnologia evolve alla velocità di un ghepardo. Per cui un prodotto, un’idea, rischia di diventare vecchia nel giro di 6/10 mesi. Per questo motivo bisogna correre. Correre significa applicare meno attenzione, studiare meno in profondità, applicare meno controlli… e così quando il prodotto esce sul mercato, non è il meglio del meglio del meglio. E’ il meglio che si poteva fare in quel tempo disponibile.
    E ovviamente un prodotto si rompe prima perché ha avuto collaudi meno approfonditi…
    L’avvento dell’informatica spinta ha poi dato… respiro a chi si occupa di tecnologia, e allo stesso tempo frustrazione a chi compra tecnologia.
    Il fatto che un prodotto possa essere aggiornato via software ha fatto sì che (spesso) tale prodotto venga venduto con un software non ancora a punto. Tanto ci sono gli aggiornamenti!!!
    Torno all’iPhone. Ve lo ricordate il primo modello? Non spediva neppure gli MMS. Poi è arrivato l’aggiornamento ed ecco che li spediva.

    E’ ovvio anche che le aziende possono operare in maniera fraudolenta… ma questo tipo di atteggiamento dovrebbe essere penalizzato dal mercato. Mica siamo animali incapaci di scegliere, no? Presa una fregatura, non compriamo più un prodotto della marca che ci ha fregati, non è forse vero?

    Ce ne sarebbe da dire su questo argomento… ma lo spazio di un commento è troppo breve.

  10. La cosa divertente è che un paio di anni fa mi era venuta un’idea per una storia in cui il protagonista come lavoro rendeva i beni obsoleti – e non con strategie di marketing. Nella realtà ci vanno giù molto più pesanti!

  11. Conoscevo l’obsolescenza programmata e addirittura, negli ultimi tempi, sembra che molte case di produzione programmino la “scadenza” del prodotto a ridosso del termine della garanzia.
    Roba da pazzi.

    Sapevo anche di uno step successivo: ovvero che l’obsolescenza di una intera generazione tecnologica, che viene programmata anche molti anni in anticipo, a seconda del prodotto e della produzione, in modo da studiare nuove tecniche di marketing per i prodotti successivi.

    1. Sì, ho letto qualcosa su questo step successivo. Tra l’altro basta far caso a come e quando vengono lanciate nuove generazioni di prodotti (o nuove tecnologie), per accorgersi che siamo nel campo del reale, non in qualche teoria del complotto…

    1. Più o meno lo stesso discorso che mi fece l’elettricista montando la caldaia nuova.
      Conta che quella vecchia, praticamente priva di componenti elettronici, fece il suo dovere per 25 anni.

  12. Segnalo un altro interessante documentario, credo anche questo disponibile su YouTube in forma integrale – Who Killed the Electric Car.
    Da mettersi ad urlare allo schermo, mentre lo si guarda.

    E sull’obsolescenza generazionale citata da Sommobuta, fate una ricerchina sui cellulari in vendita in Giappone e Corea e domandatevi – perché loro ce li hanno adesso e noi li avremo fra vent’anni?

  13. In economia e gestione delle imprese il professore aveva dedicato un piccolo capitolo all’obsolescenza voluta e programmata dei prodotti in vendita. Purtroppo (o per fortuna) esiste, c’è poco da fare! Secondo me se gestita in una certa maniera può essere un bene, ma bisogna controllare ogni stadio del prodotto venduto, da quando esce dalla catena di montaggio sino a quando finisce nel ”cestino”, inducendo fortemente verso un riciclo furbo che guardi sia il beneficio economico che ambientale (molto spesso ignorato bellamente). Diavolo però, è davvero complicata l’economia… E imperfetta, cosa che non mi aspettavo assolutamente.

  14. Locomotori Lima degli anni ’70 presi dalla soffitta dove giacevano da quasi 40 anni, messi sulle rotaie del nuovo kit regalato a mio figlio, immediatamente funzionanti!
    Scommetto che gli attuali messi fra altri 40 non funzioneranno allo stesso modo.
    I tempi ultimi sono quelli della civiltà della quantità, tutto già previsto da pensatori che già dai tempi della decisione sulle lampadine avevano definito ciò come la démonia dell’economia. Le società antiche saranno state anche brutali ma a nessuno era venuto in mente di mettere in cima alla piramide sociale i mercanti, ad eccezione forse dei Cartaginesi. Certe volte mi sembra di vivere all’interno del film Essi vivono!

  15. Che le cose non siano più “fatte per durare” è cosa nota. Che fare? Opporsi più che si può alla legge del compra e getta. Prediligere modelli semplici e non correre dietro a tutte ma proprio tutte le novità iperaccessoriate. Qualora sia possibile, acquistare prodotti di buona qualità con possibilità di aggiusto. Son tornate le piccole sartorie che fanno riparazioni ma per la roba elettronica non c’è molto da fare.

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