Barbonismo radical chic di ritorno

Mark Boyle

Per oggi era previsto un altro post, già programmato e scritto da tempo.
Poi capita che la mattina apri Twitter e trovi segnalata la storia de “l’uomo che da due anni vive senza soldi”.

(…) Mark Boyle, inglese di 34 anni, laurea in economia e finanza, nel 2008 si è stufato di cercare lavoro e indebitarsi, decidendo di cambiare vita in modo radicale. E’ andato a stare in una roulotte donatagli da un amico, parcheggiata in una fattoria del Somerset, si è cibato con gli ortaggi e la frutta del suo orto più alimentari regalati o scartati, ha ricavato energia da un pannello solare che è stato il suo ultimo acquisto prima di rinunciare al denaro, ha fatto un po’ di volontariato presso gli agricoltori dei dintorni e praticato il baratto per vestiti e altri generi di prima necessità. Dopo avere vissuto così per due anni, ha scritto un libro sulla sua esperienza.

L’articolo completo è qui.
La mia prima reazione da fine sociologo dilettante è stata questa: me cojoni!
Poi ho scritto questo post.

Alt, facciamo qualche passo indietro.
Personalmente non ho mai avuto la malattia dei soldi.
Ho rinunciato a fare soldi facili, pur di evitare di collaborare con persone che trovo moralmente deprecabili e discutibili, per quanto comunque operanti nella totalità della legge e dell’onestà oggettiva (su quella soggettiva, beh, lasciamo perdere).
Nella mia vita non ho mai mirato a cose come la carriera – termine che aborro – e il guadagno ossessivo. Scelte che mi rendono meno economicamente indipendente di quanto mi piacerebbe essere, ma anche molto meno ossessionato, stressato, malato.

Detto ciò i soldi, piaccia o meno, servono.
Non fanno la felicità, ma la loro mancanza può causare una serie non indifferente di problemi. Tipo non mangiare (o mangiare male), non avere un tetto sotto il quale dormire, o non poter convivere con la donna (o l’uomo) che amiamo, perché senza soldi non ci mantiene da soli, figuriamoci in due.

Però questi sono gli anni dei barboni radical chic che ci vengono a dire che “poveri è bello”.
Sono gli anni dei Mark Boyle di turno, che poi però scrivono libri e – guarda caso – finiscono stabilmente sui social network.
Anche in Italia abbiamo elementi del genere. Me ne viene in mente uno, molto giovane, che da mesi va osannando il suo ritorno a un lavoro da agricoltore di pura sussistenza. Affascinante, per molti versi. Peccato che il suo libro sia uno di quelli bene in vista nei megastore, senza contare tutte le volte che mi è capitato di sentirlo in radio.

Ecco, questo è un discorso già più condivisibile.
Ecco, questo è un discorso già più condivisibile.

Poi ci sono quelli più duri e puri, che fanno armi e bagagli e vanno a vivere in nuove comuni che sembrano tragicamente ispirate alla Contea di tolkeniana memoria.
Fondamentalisti dell’ecopunk e della vita fuori dall’economia reale, che spesso obbligano i figli piccoli a seguire queste scelte estreme. Estreme, ma sempre velate da quel radicalismo snobbista che caratterizza gli integralisti di qualunque campo/settore/genere.

Altro passo indietro: sicuramente la Crisi economica ci sta insegnando che altre scelte di vita sono non solo auspicabili, bensì anche necessarie. Qui su Plutonia ne abbiamo parlato molte volte.
Questi sono gli anni, per esempio, in cui è necessario cercare di trasformare le nostre passioni in fonti di reddito primarie o almeno secondarie. In Italia è estremamente difficile, ok, ma forse alla fine ci arriveremo anche qui.
Sono gli anni in cui occorre concepire diversamente il denaro. Meglio averne un po’ meno, ma guadagnarlo in modo più soddisfacente e realizzante. Meglio anche spenderne meno, ma spenderlo meglio, per cose che ci appagano di più.
Ci sono tutti i mezzi per cercare di realizzare delle svolte individuali di questo genere.

E vivere completamente senza denaro?
Utopia.
Questo è il mio parere. Poi, per carità, so che esistono persone che lo fanno con più… compostezza del Mark Boyle di turno. Senza atteggiarsi a santoni new age/ecopunk o quel che è. Senza trasformare il loro stile di vita da neo-barbari in un affare che – paradosso dei paradossi – fa guadagnare loro un bel po’ di soldini.

E se rivalutassimo anche il cannibalismo?
E se rivalutassimo anche il cannibalismo?

Inoltre facciamo molta attenzione quando parliamo di rinunciare al superfluo.
Cos’è il superfluo? Di certo non un concetto oggettivo.
Lo è l’abbonamento a Sky o la gita in agriturismo del sabato? Lo sono i fumetti che compro quasi ogni settimana? Lo è lo smartphone che mi permette di controllare la posta anche quando sono in viaggio? Lo è la foto autografata di Maria Sharapova che mi son regalato per Natale? Lo è la vaschetta di alici marinate che mi concedo ogni tanto a corredo di una normale cena?

Ecco, io credo che tracciare delle liste del genere, ammantandole con pretese di autorevolezza, sia una cosa un po’ fascista. Non a caso reputo neofascista quel simpatico politico italiano che va auspicando una “serena povertà” (e a seguire la terza guerra mondiale, ma vabbé…)
Ho sempre sognato un futuro positivo, in cui l’essere umano potrà seguire le proprie ambizioni culturali e artistiche, mirando a un miglioramento interiore dato da un benessere (reale) tanto materiale quanto spirituale. Più salute, istruzione, più conoscenza.
Perché no: più divertimento.
Ok, i tempi in cui viviamo ci raccontano una storia diversa, ma io continuo a sperare in quel tipo di futuro.
Le persone che mi vengono a dire che dobbiamo tornare a vivere soltanto coltivando patate e barattando pelli di pecora al mercato delle pulci, beh, mi spaventano un bel po’. Perché questo è un paese che ha già rinunciato fin troppo a dei “lussi” estremi, come per esempio i libri, l’investimento nella preservazione dei beni culturali, nello studio e nell’istruzione, all’informatizzazione delle nuove generazioni.
A cos’altro dovremmo rinunciare? E soprattutto, a che pro?
Io di sicuro non voglio tornare a un mondo diviso tra servi della gleba e grandi signori feudali. Se qualcuno vede la felicità in tutto ciò, lascio a lui la povertà radical chic di ritorno.

La risposta a tutte le menate di Mark Boyle potrebbe anche essere soltanto questa foto.
La risposta a tutte le menate di Mark Boyle potrebbe anche essere soltanto questa foto.

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(A.G. – Follow me on Twitter)

33 commenti

  1. Credo che neppure la bontà di certi personaggi non sia fine a se stessa. In un modo o nell’altro vogliamo apparire. Nella nostra società il solo è considerata l’unica cosa di “valore”
    anche se in realtà dovrebbe essere come citi tu
    ” Ho sempre sognato un futuro positivo, in cui l’essere umano potrà seguire le proprie ambizioni culturali e artistiche, mirando a un miglioramento interiore dato da un benessere (reale) tanto materiale quanto spirituale. Più salute, istruzione, più conoscenza.
    Perché no: più divertimento.”

  2. io sono un po’ combattuto. Da una parte covo una segreta ammirazione per chi riesce a perseguire uno stile di vista così atipico, sempre a condizione che non lo imponga a chi gli sta vicino. D’altra parte non ci trovo nemmeno niente di così rivoluzionario, è eremitaggio che esiste dalla notte dei tempi, la novità sta però nel venderlo meglio di quel che è, e di proporlo come modello di sviluppo.

  3. I miei genitori ed i miei suocerei hanno conosciuto la fame, quella vera, durante la guerra. E tutte le volte che raccontano di quel periodo hanno ancora gli occhi lucidi.
    A quelli che fanno questi discorsi non riesco a dare peso

  4. Ne ho seguiti un pochino, di questi personaggi, e come quest’ultimo, tutti fanno dei compromessi. Chi ha una roulotte coi pannelli solari, chi si tiene comunque un cellulare, chi si fa scarrozzare da qualcuno. Chi baratta, scambia ecc…. e si procura cose che non sono certo del livello tecnologico a cui pretende di vivere. In realtà campare senza tecnologia o senza l’aiuto degli altri è estremamente difficile. E comunque tutti prima o poi hanno bisogno di medicine sofisticate, ospedali ecc…

    Poi una osservazione personalissima: se qualcuno tira fuori una teoria o uno stile di vita da proporre valido per tutti, benissimo. Ma non si può in milioni di persone seguire una via del genere. Come non si può in milioni di persone campare di mezzucci o di… decrescita felice.

    1. Del resto basta considerare quelli che scrivono libri, sono presenti sui social network e si fanno intervistare dai giornali da salotto.
      Non esattamente delle scelte ascetiche.

  5. Mi sembra una di quelle cose che sono tanto poetiche e romantiche da fuori, ma che quando ci sei dentro, o scopri di esserci tagliato e allora va bene, oppure ti dai del coglione e cerchi disperatamente un modo per uscirne, magari scrivendoci un libro per pagarti la via d’uscita.

      1. Vero! Niente ti fa sentire la mancanza della civiltà come i guai con la salute. Se poi si becca un’appendicite o una peritonite, morirà dandosi del pirla. Uno che sceglie di fare l’eremita oggi, deve mettere in conto anche queste cose.

        1. Guarda io da ragazzino sono stato bloccato per tre giorni in uno sperduto paesino di montagna in cui il medico condotto passava una volta a settimana.
          Avevo un ascesso e nulla per curarlo (ero su coi nonni, senza patente). Non sai quanto ho maledetto la “sana vita campestre”.
          Che pure mi piace, eh, ma mica con certi estremismi…

  6. Le scelte alternative possono funzionare se parte di un modello strutturato, non certo con questi esempi. Il Boyle di turno può campare così perché attorno esiste una società che gli fornisce la nicchia in cui stabilirsi. Se dovesse davvero campare con le sue sole forze ho i miei dubbi che si occuperebbe di scrivere un libro.
    Non a caso le esperienze alternative con un minimo di successo non si basano su scelte radicali ma sul “collaborare” con l’esistente inserendo nel contesto scelte praticabili. Usare detersivi migliori, energie rinnovabili, minimizzare l’uso di idrocarburi e loro derivati, evitare l’uso di pesticidi, applicare ad ogni livello scelte alimentari per prevenire l’insorgere di una serie infinita di malattie… questo si può definire alternativo.
    Quanto ai corifei delle scelte di rottura, li vorrei vedere quando rimangono con le batterie scariche del loro tablet.

    1. Amen fratello, hai detto tutto quello che c’era da dire.
      Nemmeno io sono contro le scelte di vita alternative, purché siano sensate e comunque proiettate a un futuro più bello, non a un nuovo medioevo. Tra l’altro finto.

  7. Il discorso è abbastanza complicato.
    Premesso che i Boyle di questo mondo possono fare quel che gli pare – come ciascuno di noi, dopotutto – ciò che ha fatto Boyle non è così straordinario.
    C’è un sacco di gente che lo fa per necessità – e magari ne farebbe a meno – c’è un sacco di gente che alcune delle pratiche di Boyle le porta avanti da anni.
    Quando io scambio il mio pane raffermo con il vicino di casa, che mi passa il surplus del suo orto o una dozzina di uova, sto praticando il baratto.
    Concordo però in pieno con Angelo su due punti – primo, sono scelte possibili, anche a livello radicale, perché esiste una struttura che le sostiene e secondo, non sono la risposta ai problemi: la decrescita è una questione che riguarda le comunità, non semplicemente i singoli.
    Sui soldi – i soldi sono insignificanti, casomai ciò che è importante è ciò che i soldi possono comprare. L’importante è averne abbastanza.
    Quanto è “abbastanza”?
    Dipende da ciascuno, e sarebbe orribile se dovessimo omologarci anche su questo.
    Nota finale sull’ecopunk – non fatemi ridere.

    1. Un conto è praticare ANCHE il baratto, un conto è pensare di vivere solo di quello, e di sussistenza.
      Poi c’è chi lo fa (qualcuno per necessità – tanto di cappello) altri per strane filosofie personali.

      Sul denaro la vedo come te.
      Lo trovo necessario ma non bisogna attribuirgli il valore che non ha.
      Il denaro serve per vivere e per migliorare il nostro tenore di vita.
      Reputo invece sbagliato vivere per accumulare denaro che magari non riusciremo a godere.
      Se ci fai caso per molti ricconi è proprio così che va.

  8. Partiamo da un presupposto: chi fa una scelta di questo tipo veramente radicale difficilmente poi apparirà sui media di qualunque tipo. E su questo credo siamo tutti d’accordo.
    Per quanto riguarda gli altri, io ho sempre l’impressione che queste sedicenti dimostrazioni di vita alternativa siano una forma subdola di ammortizzatore sociale: “hey, non vi preoccupate se siete al verde, tutto quello che avete tanto non vi serve a niente. Povero è bello. ” e ad addolcire la pillola alle persone che si vedono privare sempre più di tutto.
    Ma per quale motivo dopo aver pagato affitto/mutuo, bollette, tasse, etc. quelle rare volte che mi rimangono 2 soldi non dovrei gratificarmi con un piccolo sfizio?
    E’ una questione di qualità della vita.

  9. Magari nel villaggio stile Contea ci vorrei vivere, scegliendolo come luogo dove tornare a casa la sera e staccare la spina. Quando anni fa pensai con un amico di creare un progetto, pensavamo proprio a una cosa del genere, più un quartiere chiuso che altro.
    Che lo vogliamo o no, i soldi servono e di conseguenza anche un lavoro “normale”. Logicamente se riuscissi a fare di mestiere quello che sai tu, una casa fuori dai piedi, con il verde intorno, non me la toglierebbe nessuno.

    1. Guarda, a me piacerebbe vivere in montagna, per dire.
      Aria e ritmi diversi, meno costo della vita, più natura attorno. Però sceglierei un posto a contatto con la civiltà, che di fare l’eremita che vive di bacche non ci penso proprio.
      Almeno che ci sia una buona connessione a internet, dai 😀

  10. E’ un bell’esempio ma non credo che lo seguirei. Ci sono anche da noi esperienze di questo tipo, anche allargate a piccole comunità-villaggio. Sono degli esempi, ma non trovo realistica l’applicazione in larga scala, anche perché se si attuasse un’ipotetica decrescita “individuale” non penso si otterrebbero grandi vantaggi perché tutto il surplus semplicemente finirebbe nelle mani dei pochi. L’Italia è in recessione e aumentano le disparità fra ricchi e poveri, non è un caso e non credo di essere io pessimista. Inoltre, non credo di potermi permettere l’investimento iniziale!

    1. Ecco, dici bene.
      Chi ipotizza un ritorno alla vita fatta di baratto e sussistenza su larga scala è un folle.
      Le scelte singolari, invece, sono opinabili ma interessano meno, se non a livello puramente sociologico.

  11. Il ritorno ad una società neolitica a me più che una scelta fascista mi sembra una scelta maoista stile Pol Pot. Il personaggio mi sembra solo un buffone radical chic, fra dieci anni sarà magari direttore di banca visto che ha una laurea in economia e finanza. Tipo alcuni personaggi da noi che negli anni 70 andavano vestiti da pezzenti con il libretto rosso ed ora sono elegantissimi e invitati in tutte le trasmissioni.

    1. Il riferimento a una specifica parte politica si lega soprattutto a chi negli anni ’70-’80 sognava (e provava) a fondare comunità rurali ispirate ai racconti di Tolkien, che da qui si prese l’ingiusto appellativo di “idolo degli estremisti di destra”.
      Per quanto i cretini siano apolitici, in effetti, e di tutte le colorazioni possibili e immaginabili 🙂

  12. Non ho mai sentito pronunciare la frase “povero è bello” da chi è povero veramente, esattamente come tra i manfestanti del ’68 o nei centri sociali (contro cui non ho assolutamente nulla) non ho mai visto e non vedo tuttora figli di famiglie operarie. Quelli andavano e vanno a lavorare, qualunque occupazione, per portare a casa la pagnotta. Facile essere rivoluzionari quando alle spalle si ha comunque la possibilità di un riparo o la rete può garantire un ritorno di immagine. Quoto completamente la definizione di “radical chic” per questi comportamenti. Ovviamente nel rispetto delle scelte di vita di tutti, perché non è tale scelta da mettere in discussione bensì l’ipocrisia di fondo, la ricerca dell’immagine e dell’apparire che la sostanziano.

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