Una conversazione del genere è capitata a tutti, prima o poi. Un bel giorno arriva l’amico che la sa lunga, e ci dice: “Ma ascolti ancora quel cantante commerciale? Prova invece a sentire il pezzo di questa band indie… è molto meglio!”
Al di là del fatto che trovo insopportabile certi giudizi radical chic sulle cose giudicati commerciali, va riconosciuto che, spesso e volentieri, i cantanti indie godono di riserve di stima enormi e di fan fedelissimi.
Provate a fare la stessa cosa, consigliando uno scrittore autopubblicato a un amico generalista. Il risultato è spesso opposto. La risposta che riceverete, nove volte su dieci, suona più o meno così: “Se è poco conosciuto è perché non vale nulla. Viceversa verrebbe pubblicato da un editore normale.”
Avvilente? Un pochino. Che poi, in molti casi, gli scrittori di self publishing sono davvero pessimi, ma sarebbe fantastico evitare le generalizzazioni.
E invece…
La parola “indipendente” è forte. Denota una libertà dalle grandi corporazioni, dagli interessi di cassa, dai giri marchettari che caratterizzano (da che mondo è mondo) ambienti come la discografia, l’editoria, il cinema.
Molti si riempiono la bocca di questa parola, indipendente, trasformandola in un sinonimo di qualità. Magari non di qualità grezza, ma di genialità, di buone idee, di originalità.
Ma allora perché i musicisti indie sono più vendibili degli scrittori indie?
Il sito Writer.ly analizza la questione e la risolve in questi punti:
- La musica è più spendibile rispetto ai libri (e agli ebook)
Innanzitutto per una mera ragione di attenzione. In un mondo sempre più veloce e frenetico, è più semplice dedicare quattro minuti a una canzone, a un video, che non un paio di ore a un ebook. Per gli stessi motivi, musica e video sono più propensi alla condivisione sociale. Basta vedere quanti filmati, spesso piuttosto stupidi, diventano virali su Facebook e su Twitter. Un utente scettico sarà più propenso a regalare pochi minuti e un like a una canzone, che non a un libro.
- I musicisti sono più brandizzati
Le band hanno un logo, producono album, fanno molti live, spesso hanno un’immagine forte da proporre. Pensate per esempio a quanti cantanti (maschi e femmine) sono di aspetto piacevole, e quindi attirano fan non necessariamente per la loro bravura, o comunque non solo grazie a essa. Che vi piaccia o meno, questo è un dato di fatto.
Gli scrittori, invece, riescono a crearsi un brand solo dopo anni di lavoro, lavorando su un proprio stile, su una saga, su delle tematiche ricorrenti. Ma non è un processo facile, né veloce.
- I fan della musica sono più entusiasti
Qui immagino che attirerò parecchie critiche, ma il pensiero non è mio (anche se in parte lo condivido), bensì di Mik Everett, la blogger che ha scritto questo articolo per Writer.ly.
Secondo la Everett, gli appassionati di musica sono, linea di massima, più propensi all’entusiasmo e meno alla critica. Forse perché non tutti quelli che amano la musica desiderano diventare a loro volta cantanti o strumentisti, mentre molti lettori ambiscono a diventare scrittori. Io nell’ambiente musicale italiano ci ho pure lavorato, e in effetti di fan ambiziosi di emulare i loro idoli ne ho conosciuti pochini. A molti di loro bastava esprimere l’entusiasmo per l’artista che seguivano. Lo scrittore indie, viceversa, riceve spesso commenti quali: “Carino il tuo romanzo, ma io il protagonista l’avrei fatto più alto, il finale l’avrei cambiato, e avrei messo meno infodump“. O qualcosa del genere.
Ci sono dei sistemi pratici per colmare questi gap?
Sì, ci sono, ma non sono miracolosi. Innanzitutto occorre diventare più bravi a condividere il proprio lavoro, ed è necessario convincere i nostri lettori a fare un passaparola positivo. Perché nulla vende di più del passaparola sincero.
Inoltre la promozione deve trasformarsi da lineare a multimediale. Parlate dei vostri libri attraverso making of, foto, video. Pagate una bella ragazza affinché pubblicizzi il vostro libro con un filmato su YouTube, fotografate i luoghi in cui avete ambientato la storia. Cose così.
I risultanti NON sono garantiti, ma vale la pena provarci.
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Probabilmente la gente è meno propensa a emulare un cantante/musicista perché
nella maggior parte dei casi non ha mai cantato/composto musica e non ci capisce niente di spartiti e note (banalizzo). Invece TUTTI hanno scritto/sanno scrivere, perciò “possono” dire la loro su un testo.
Più o meno la stessa cosa che accade (banalizzo nuovamente) nei cantieri edili: TUTTI abitano in una casa e quindi “sanno” di cosa si parla, e così fioccano le “commissioni degli spigoli” e i cosiddetti “umarell”.
Peccato che scrivere un testo narrativo non sia propriamente la stessa cosa che redigere la lista della spesa. Peccato che costruire una casa non sia propriamente la stessa cosa che piantare un chiodo in un muro.
E quindi siamo (mi ci metto anch’io, siamo anche tutti CT della nazionale, no?) più propensi ad ascoltare e ammirare un brano indie che ammirare un romanzo indie.
Beh, ma l’Italia è un paese in cui tutti sono allenatori, poeti, scrittori, esperti di musica, politologi etc etc.
Salvo che queste presunte competenze sono, 9 volte su 10, totalmente prive di fondamento.
Non so gli altri, ma io non ho quasi mai fatto musica a scuola e, non avendo io uno slancio vero verso la sua pratica (soprattutto per il costo) ho vissuto prima con quello che ascoltavano i miei e poi quello che piaceva a me, per cui ho sempre visto il musicista come un essere mitologico. Forse per la musica funziona come l’ “”arte””” di adesso: nessuno ne capisce davvero, quindi tutti dicono che é bellissima magari senza capirlo. Il testo scritto invece è vulnerabile appena l’autore lo lancia nel mondo ed è sprovvisto di luci e scenografia, quindi è più facile magari giudicarlo.
La musica è anche l’unica forma d’arte che riesce ad arrivare in maniera indiretta. La senti, è nell’aria, ti può colpire senza che tu necessariamente decida di interessartene. Un racconto no, a meno che tu non decida di leggerlo non saprai mai in che modo può darti qualcosa.
Ottima osservazione. La musica è più immediata, e noi siamo più permeabili a essa.
Un musicista, un po’ come un poeta, può giustificare ogni bruttura con la fantomatica licenza poetica.
Uno scrittore no, o comunque può farlo in proporzione assai minore.
Per me che sono ignorante in materia (leggo libri ed ascolto musica ma non ho ambizioni in nessuna delle due arti), almeno in Italia, c’è anche un altro aspetto da considerare ed è il nome della categoria: Tu sei uno scrittore “autoprodotto”, lui è un cantante “indipendente”.
Vedi come suonano già differenti i due termini?
“Autoprodotto” è inteso come il più classico fai-da-te, “Indipendente” ha un suono che evoca ribellione, la rottura degli schemi, una guerra al sistema, etc.
Esistono etichette “indie”, un’etichetta autoprodotta è una contraddizione in termini, etc.
Ora, io so bene che non è vero che esista veramente quella differenza, altrimenti non leggerei Alex Girola, Davide Mana e Marina Belli ma leggerei Licia Troisi e Fabio Volo; ma non tutti hanno la curiosità di andarsi a ricercare generi, autori, etc. e quindi globalmente la percezione rimane quella anche perché rinforzata dai punti che hai descritto tu nell’articolo.
Quando ero ragazzino andavo spesso con un amico a comprare dischi. Lui prima di entrare guardava la classifica esposta in vetrina e acquistava immancabilmente il primo, il nome che stava più in alto. Non faceva passare gli scaffali come il sottoscritto, no lui aveva le idee chiare. Che poi queste “idee” non fossero le sue, poco importa. “Se è il primo in classifica, è il migliore”. Funziona così anche per i sondaggi elettorali. Funziona così il markerting. La gente può provare simpatia per il perdente ma solitamente sale sul carro del vincitore. Fa la carità al povero ma è più propensa ad affidare grandi quantità di denaro ai ricchi (i truffatori sono sempre eleganti). Anche nella musica è così, solo che la musica va più veloce, la musica è più legata alle mode, la musica è un linguaggio internazionale, la musica ha numeri maggiori, perché anche un analfabeta può apprezzare la musica. Perchè si può dire mi piace tizio o non sopporto caio solo dopo averlo ascoltato per pochi secondi, il tempo in cui si scruta una cooertina di un libro.
E poi come giustamente ha detto Orridus, chiunque in cuor suo si sente un potenziale scrittore anche se l’unica cosa che ha scritto è l’elenco della spesa.
Tra musica e narrativa ci sta un abisso in termini di immagine. Lo stesso abisso che separa una rockstar dal primo della classe.
Sicuramente funziona così.
Avendo studiato un po’ di marketing ti confermo che vende chi (già) più vende.
È l’effetto “se lo comprano tutti deve essere figo per forza”.
Che poi si traduce anche nella poca voglia di verificare l’eventuale contrario.
Non so, sono media molto diversi sia per come vengono fruiti sia per il rapporto che si crea con l’autore. Voglio dire, le presentazioni in libreria e i panel non sono proprio paragonabili a un concerto. D’altra parte, la presenza di un autore nei contesti giusti, anche online, può aiutare a costruire un brand o qualcosa che ci somigli. (Non so perché mi viene in mente Vespa, suppongo esistano esempi più edificanti!)
Diciamo soltanto che per un musicista è leggermente più semplice costruire un proprio brand, soprattutto perché la parola scritta richiede tempo per essere recepita, e quel tempo manca sempre più spesso alla gente.
Gli articoli sulla soglia di attenzione massima sono allarmanti…
Sicuramente sui primi 2 punti concordo(anche se uno scrittore che riesce a imporsi come personaggio ai lettori diventa brand egli stesso, ho almeno un esempio nel mondo del fumetto di un autore che si è sbattuto per diventare prezzemolino e, a prescindere dalla bravura che gli riconosco, la cosa ha avuto i suoi enormi riscontri) ma sul fatto che i fan siano più entusiasti nella musica secondo me non è vero(sicuramente esistono più fan di quest’ultima grazie proprio all’immediatezza che ha la musica rispetto alla letteratura). I fan sono fan a prescindere, ci sono quelli moderati e ci sono quelli oltranzisti sia per la musica che per la letteratura. Come ci sono quelli che riconoscono ad un autore che fa la svolta tutta la gavetta precedente e finalmente un successo anche monetario, ci sono anche quelli che diranno “Bastardo s’è venduto”. Un po’ come per le band
Cosa possiamo imparare dalle band? Che non bisogna sentirsi inferiori se DO IT YOURSELF. Gli scrittori che lo fanno, sono più punk di una band punk che pubblica per la Sony 😉
Ah, sì, il “bastardo si è venduto” è un classico dello zoccolo duro di diversi fan club 😀
Ripeto, io che ho bazzicato un po’ l’ambiente ho visto soprattutto un altro genere di fan (quello adorante), ma senz’altro ho incrociato anche il “duro e puro”, che non perdona la commercializzazione del brand.
Come se poi gli artisti debbano vivere di sola stima 😉
Be’, a parte pagare qualcuno per farmi pubblicità, son tutte cose che ho già fatto per molti dei miei ebook. Risultati pochi, ma senza un entourage alle spalle, o per lo meno un gruppo di appoggio, è anche difficile fare una buona promozione.
E poi… sì, mi è passata anche un po’ la voglia di sbattermi. Ho troppi problemi personali per trovare il tempo da dedicare a promozione etc etc, già è difficile trovare del tempo per scrivere… sigh!
Difatti sto tornando indietro, alle origini, a un profilo basso, quando scrivevo per dare sfogo alla fantasia, e scaricare lo stress, e divertirmi… quando (oddio lo so che questa espressione suona falsa a molti) scrivevo per me stesso.
Nei passaparola (positivi) i libri diventano più spendibili?