Segnale interrotto, segnale perso

signal

A qualche settimana di distanza dal post di Davide Mana, provo ad aggiungere due parole sulla faccenda del “segnale interrotto”.
Tanto per ribadire: per “segnale” intendiamo quel processo spontaneo che porta dei prodotti indipendenti (libri, ebook, mp3 o altro) a un traino promozionale autonomo e virale. Come? Attraverso la condivisione sui social network, per esempio, o con simili forme di passaparola.
Personalmente ho sempre fatto questa distinzione: il segnale è importante per quei brand (o prodotti, appunto) che sono slegati a figure commerciali intermedie, vale a dire case editrici, discografici etc.
Il segnale permette dunque di far vivere, e magari anche di far vivere bene, dei progetti indipendenti meritevoli, seppur non sdoganati dai grandi media.
Il segnale è – o dovrebbe essere – meritato e meritorio. Si trasmette per cose di un valore più o meno oggettivo. Esiste anche un segnale-ombra, che copre tutta l’inquietante faccenda delle recensioni combinate e cose simili, ma oramai sono mezzucci che i blogger e gli esperti di social marketing riescono a scoprire in tempi abbastanza brevi.
Ok, fatta questa premessa: è possibile interrompere il segnale?

La risposta purtroppo è sì.

Anzi, diffondere il segnale è sempre più problematico, perché i punti in cui va in corto circuito sono sempre più numerosi. Con l’aumentare delle interruzioni si creano dunque fasi a singhiozzo che, sul medio periodo, spengono del tutto il segnale.
Non starò a lamentarmi o frignare, ma credo sia utile cercare di capire perché qui da noi questo accade più spesso che altrove. Sì, con “qui” intendo dire in Italia. E ok, so che in questo discorso c’è anche un po’ del detto “l’erba del vicino è sempre più verde”, ma non si può sempre ridurre ogni critica a questa semplificazione, giusto?
Dunque, i possibili motivi per cui il passaparola fallisce:

  • Il progetto/brand/prodotto è meno interessante del previsto.

Che tra le tante spiegazioni è quella poi più accettabile. Magari riponevamo grandi aspettatevi su un prodotto – mettiamo un ebook – che pensavamo potesse avere più presa sul pubblico. Invece le cose sono andate diversamente, perciò pochi ne parlano e il segnale è debole. Ci sta, anche se non è mai piacevole.

  • Il pubblico di riferimento è apatico

Questa invece è l’ipotesi che considero più plausibile, nonché più triste. Il segnale si interrompe perché buona parte del pubblico, pur avendo apprezzato il prodotto X, non ne parla, non condivide post su Facebook, non dà alcun feedback. Si tratta di una concezione in puro stile anni ’80-’90, in cui l’usufruitore di prodotti e servizi era totalmente passivo. Peccato che le cose nel mentre siano cambiate non poco.

  • Il pubblico di riferimento è concorrenziale

Un caso emblematico è quello del settore del self publishing. I lettori sono spesso anche scrittori, quindi credono che, facendo pubblicità a un autore che apprezzano, rischino di rimetterci in visibilità e in vendite. Chiaramente è un discorso molto egoista e in buona parte insensato. Il pubblico non è monotematico, specialmente se parliamo di ebook, né un singolo autore può essere tanto monopolizzante. Anzi, segnale genera segnale, perciò diffondere la buona abitudine del passaparola non disonesto non può che fare bene a tutti quanti.

  • L’usufruitore medio si sottovaluta

Mantenendo il nostro esempio sugli ebook, uno dei motivi per cui il segnale si ferma è perché il lettore “medio” pensa di non potere essere determinante a cambiare le sorti del romanzo/racconto che ha appena letto, quindi non muove un dito… “Tanto cosa cambia?“.
E invece no. Parlando di mercati di nicchia, quali sono quelli indie, una recensione in più può fare la differenza. Cinque stelline in più possono essere determinanti. Una condivisione su Facebook può raggiungere potenziali lettori che nemmeno ci immagineremmo. Quindi inutile sottovalutarsi: ciascuno può fare la differenza.

segnale

Chiudo con una provocazione: e se all’italiano medio mancasse semplicemente la mentalità altruista e/o l’interesse etico e psicologico di fare qualcosa del genere?

– – –

(A.G. – Follow me on Twitter)

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24 commenti

  1. La colpa forse è del tabù del nuovo millennio, la Fatica. La Fatica è la minaccia suprema che non si può più nemmeno concepire. Tutto dev’essere comodo, fattibile senza sforzo, dalla macchina che parcheggia da sola all’affare che arrotola e chiude automaticamente i pannolini, tra navigatori e app di tutti i tipi e tosa erba robotizzati wireless. Ormai costa fatica qualsiasi cosa non sia immediata e automatica. Scrivere una recensione? Non c’è un’app che lo faccia automaticamente? Allora magari dopo, adesso non ce la faccio.
    Esagero? Forse sono perfino fuori tema, ma sta cosa della fatica mi irrita molto.

    1. La Fatica è senz’altro una componente… non esageri affatto.
      Ti faccio un esempio su cui sto riflettendo da tempo: gli internauti più giovani (diciamo gli under 30) stanno disimparando a usare i bookmark dei browser. Aspettano che i link gli passino sotto il naso, dai social network. Troppa fatica (appunto) controllare manualmente gli aggiornamenti dei blog e dei siti che seguono di solito.
      Una pigrizia dilagante…

  2. Penso che Banshee abbia colpito la testa del chiodo, come dicono gli americani. Me ne accorgo pure io, piú avanza il software, piú diventiamo pigri. Tutto é gratificazione spontanea. Nel mio settore, quello dei giochi tradizionali di miniature e di ruolo, il concetto di “studiare un regolamento” per meglio goderne, cosa normalissima fino agli anni 90, é diventata la piú importante barriera alla fruizione. “Che palle, per giocare mi devo leggere un intero manuale di 36 pagine!.? Meglio accendere la playstation, pensa a tutto lei.”

    1. Ah, sicuro!
      L’ho visto con gli ultimi concorsi di scrittura che ho organizzato… oltre il 50% dei partecipanti non si è dato la briga di leggere per bene un bando di 600 parole (sì e no tre paginette stampate), andando ovviamente fuori tema e causando l’annullamento dei concorsi medesimi.
      Tutti hanno voglia di dire la loro, ma in maniera totalmente anarchica e slegata da un contesto collettivo.

  3. Tutte motivazioni alla cui base c’è una giustificazione, buona o brutta che sia, meno che la terza. che, purtroppo, è quella più diffusa: Chiunque pensi che passare parola porti via lettori, specie nel campo degli ebook, è stupido.
    Stupidità nata dalla paura di essere incapaci, forse, e bravi fino a che c’era solo il cartaceo o fino a che i propri lettori non leggano altro.
    Vigliaccheria, stupidità e autocoscienza di non essere tanto in gamba come si vuol far apparire all’esterno, un mix letale.

    1. C’è anche poca voglia di scoprire cose nuove, ammettiamolo.
      Ci si adagia su poche presunte certezze.
      E dire che il web dovrebbe stimolare proprio la curiosità, il “chiacchiericcio” propositivo.

  4. e se all’italiano medio mancasse semplicemente la mentalità altruista e/o l’interesse etico e psicologico di fare qualcosa del genere?

    “this”, come si dice sull’internet.
    Oltre alla poco simpatica “balcanizzazione” della blogsfera, al ragionare “per bande” e per “culti/sette”, così se io appartengo alla tribù del crostaceo al vapore non condivido (per principio, per antipatia, per disprezzo o per conformismo a determinati “valori” – o percepiti come tali) un prodotto che non sia “di scuderia”.

    E questo, purtroppo, generando un clima di sfiducia nel lettore “casuale”, affossa irredimibilmente ogni ipotesi di promozione “spontanea” dell’opera. Segnale interrotto. Elettroencefalogramma piatto. Chiamate il coroner. Ora del decesso ….

    1. La tua analisi è più spietata della mia, ma altrettanto corretta.
      In effetti sono i lettori casuali, o meglio, quelli NON interessati a diventare a loro volta scrittori, a pagare il peso di questo sistema.
      C’è però da aggiungere che i lettori-lettori sono sempre meno. Ciascuno sembra avere un interesse per vendere qualcosa di suo. Si fatica perfino a credere ai complimenti “disinteressati”.

  5. Concordo con Anacroma. La tua provocazione non è tale, ma è purtroppo la triste realtà del paese in cui viviamo. Aggiungiamo inoltre la mentalità retrograda che identifica tutto ciò che ha a che fare con l’arte, dalla musica alla scrittura, non come un lavoro, ma come un semplice passatempo e che quindi rende la promozione superlflua. D’altronde, non è in italia che la valuta con cui si pagano le collaborazioni è la visibilità?

    1. Sì, è un discorso fatto più volte, da quando bloggo (più o meno dal 2006, sotto varie piattaforme etc).
      Non è mai cambiato nulla, mentre il resto del mondo è andato avanti.

  6. Un’altra cosa terribile, credo inerente, è lo “shock da pensiero”. Vedo persone, per lo più ragazzini ma anche adulti, che non sono in grado di stare un attimo lì tranquilli per i fatti loro. Ovunque si trovino se hanno un momento di vuoto lo devono riempire, altrimenti arriva lo shock. Da qualche anno la tecnologia ha messo a disposizione di costoro il telefonino, e il telefonino (bello, lucido, facile, sempre in tasca, collegato con il tutto e il nulla) li ha atterrati, appiattiti. Perché fare gli addominali come Leon quando posso sculettare come Matilda?

  7. Che dirti… secondo me la situazione è un po’ più complessa.

    Escludendo il punto 1 e presupponendo che il prodotto sia buono, non dovrebbero esserci difficoltà per lo “spread the world”, in questo senso Facebook ne è la prova schiacciante, con il fiorire delle condivisioni e like. Ammetto lo frequento poco, ma con sincerità: non ho mai visto tutte queste condivisioni spontanee e sincere di ebook e libri… ergo probabilmente il segnale a cui fai riferimento potrebbe in realtà non essere mai partito.

    Il fatto che il segnale invece, sembra aver preso inizialmente piede, è una sensazione che potrebbe essere mitigata, dai rilanci di persone a te vicine: amici, autori, blogger affini e così via. Pertanto non avendo a disposizioni potenti mezzi di controllo per il marketing “targettizzato”, escluderei anche l’apatia generalizzata e quindi anche il punto 2.

    Il punto 3 invece mi fa riflettere: ho conosciuto e acquistato alcuni dei tuoi libri perché il genere che tratti, è molto simile a quelli che piacciono anche a me. Anche io piano piano mi sto avvicinando al mondo della scrittura e da virtuale tuo “concorrente” (risata incontrollata) non mi trovo d’accordo sulla tua affermazione, in quanto se il tuo libro mi è piaciuto lo dirò sul mio blog e lascerò una recensione positiva su Amazon. Questo perché in un certo senso “brandizza” pure me, ovvero mi caratterizza e fa capire a chi mi segue che le cose che mi piacciono, sono anche quelle di cui scrivo. Giustamente questo porta pubblicità gratuita anche a te, ma alla fine chissenefrega… magari un giorno farai altrettanto con me, oppure mi ringrazierai e mi offrirai un caffè!

    L’ultimo punto secondo me è quello più credibile: da blogger, si è attivamente portati a condividere, far conoscere, chiedere suggerimenti e avanti così, tuttavia secondo me gli utilizzatori medi che definisci tu, non sono così CONSCI delle potenzialità di cui sono in possesso e di conseguenza sprecano l’opportunità inconsapevolmente.

    Forse per non far morire il segnale, è opportuno riparlarne ogni tanto, magari testando altre piattaforme di comunicazione sia online, ma anche offline… fossi in te con tutti i tuoi titoli proverei a organizzare qualcosa nella zona in cui vivi… non so una sorta di galleria ebook dove i visitatori (reali) attraverso schermi touchscreen possano saggiare le tue qualità.

    Un saluto.

    1. Riguardo al punto 1 ti posso dire per certo che il segnale non parte (o parte raramente), perché nel settore dell’editoria e del self publishing si sono raggiunti dei livelli di competitività folli.
      Sicché non esiste quasi più un pubblico, bensì una vastissima mandria (parola non scelta a caso) di competitor. Che quindi si vedono come antagonisti.

      Vedo da quel che dici a proposito del punto 3 che tu la pensi diversamente…. per fortuna! Ma ti assicuro che il sentore generale è opposto. Il che crea rivalità un poco ridicole (molto ridicole, se viste da fuori) e totalmente prive di ragioni reali.

      1. Peccato per queste inutili e dannose rivalità. Invece di far fronte comune e di organizzarsi con strumenti ancora più potenti, in modo da abbattere barriere, con questi atteggiamenti purtroppo se ne creano sempre più… forse è anche per questo che il segnale è debole.

  8. Concordo più o meno con tutto l’articolo, tuttavia le mie esperienze mi portano a pensare che ci sia un altro motivo per cui il segnale possa interrompersi.

    Io gestisco una webzine sul mondo del metal e del rock duro, che ha tra i suoi obiettivi principali quello di valorizzare i gruppi di tali generi italiani, specie se sconosciuti ma meritevoli. Mi capita quindi di andare a caccia di questi gruppi online, e di andare a contattarli per chiedergli l’invio del disco: spesso la risposta è positiva, ma altre volte succede che la band in questione o non mi risponde nemmeno, quasi schifandomi, oppure mi fa richieste assurde, del tipo di 15 euro per mandarmi il CD (per carità, giusto pagare un CD, ma se devo pagare solo per fare una recensione come le mie, approfondite e che richiedono quasi una settimana di lavoro, ossia pagare per lavorare e per fare pubblicità a qualcuno, allora preferisco lasciare perdere e concentrarmi sui promo delle case discografiche, che ovviamente non si sognano nemmeno di farti pagare).

    Ecco quindi che il segnale si blocca all’origine, perché lo stesso che lo ha emesso ne limita la diffusione auto-danneggiandosi. Non so perché ciò succeda, forse perché anche la “fonte” sottovaluta le possibilità di diffusione degli utenti o dei blogger medi (ossia di quelli che non hanno il successo delle grandi webzine), il che non è vero, come hai detto (e del resto se band anche di una certa notorietà ormai mi contattano spontaneamente, un motivo ci sarà, no?). Quindi, oltre ai motivi che hai elencato, credo che anche l’auto-danneggiamento dell’artista di turno sia una causa per cui il segnale si blocca.

    Personalmente, comunque, ho sempre cercato, piuttosto inconsciamente a dire il vero, di evitare quei punti, con la mia webzine, condividendo i post dei blog che mi piacevano e scrivendo qualche articolo sul mio blog personale. Non credo riuscirei a farne a meno, la mia vita altrimenti sarebbe vuota, e non riesco a capire come la maggior parte degli utenti di internet riesca a passare il suo tempo, anzi.

    1. Ciao Mattia.
      Commento interessante, il tuo.
      Sicuramente esiste una casistica di personaggi (artisti, musicisti, scrittori) che si considera già arrivata ancor prima di partire. Si comportano da star e bloccano il segnale col loro carattere a dir poco bizzoso.
      Quando mi imbatto in certe risposte (sulla fattispecie di quelle che citi tu), di solito evito proprio di continuare la corrispondenza. Quindi il segnale lo blocco direttamente io…

  9. Sono convinto che il problema derivi da un insieme dei fattori da te citati, che nella variopinta gamma dell’utenza internettiana si possono adattare in maniera trasversale. Anche il fattore della fatica già citato, non è da sottovalutare. Conosco tante persone, anche amici che non hanno ancora bene chiara la concezione di internet 2.0, ovvero magari usano facebook o twitter ma sui blog o youtube non ci pensano neanche a commentare o a mettere un semplice mi piace. Ho cercato di capire il motivo di questo comportamento, ma in realtà è difficile perchè dipende proprio da tanti motivi, menefreghismo, “fatica”, vergogna(!). In alcuni casi poi secondo me, è perchè la gente proprio non sa cosa e come scrivere. Non ha idee e se le ha non sa esprimerle, che, se fosse così, è davvero preoccupante.

    1. No, guarda, è proprio così.
      Sempre più persone non sanno cosa scrivere, o addirittura cosa pensare. Non ci sono nemmeno più dei validi parametri per imparare a giudicare una cosa con un minimo di lucidità.
      Mala tempora…

  10. I punti proposti sono tutti plausibili. Credo che forse sia verosimile soprattutto il sottovalutarsi, il pensare che dare un giudizio positivo pubblico su un prodotto indipendente sia pressoché inutile, meglio tenerlo come un’esperienza individuale (e qui si passa al punto precedente dell’apatia).
    Comunque, è vero ogni punto proposto.

  11. Secondo me il mercato del libro, compreso quello digitale, è più che saturo. In questo caso non è che il segnale si interrompe, ma piuttosto è disturbato. Disturbato al punto tale da confondersi con altri mille o diecimla. Io la chiamo l’invisibilità della folla: sei lì, in mezzo a tutti gli altri, ma allo stesso tempo sei invisibile. Ciò che è visibilissimo, rumoroso perfino, è l’insieme, cioè la folla stessa. Qual è la soluzione? Ce ne sono fondalmente tre: 1. urlare di più; 2. inventarsi una nuova piazza in cui, inizialmente, si è soli; 3. farsi baciare dalla Dea Fortuna.

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