Esprimersi a rutti

caccola

Oggi non volevo aggiornare il blog, per mantenere quello che è il nuovo “quasi palinsesto” di Plutonia Experiment, ossia 3-4 post settimanali, per risparmiare tempo da dedicare alla scrittura.
Poi però mi è venuta la malaugurata idea di informarmi a proposito di Snapchat. È da qualche settimana che vedo un crescente numero di persone – tra cui non poche celebrità – che pubblicano foto idiote grazie agli effetti speciali di questo social. Un tipo curioso come me non poteva lasciar correre.
Mi basta un’ora di ricerca mirata per scoprire che:

Snapchat è diventata l’app più popolare tra i teenager Usa. A rivelarlo è un’indagine condotta da Piper Jaffray che ha chiesto a 6500 adolescenti (14-19 anni) quale social network avesse maggiore importanza nella loro esistenza. Dalle risposte risulta che Snapchat batte tutti lasciandosi alle spalle Instagram, Twitter e Facebook. Ultimo in classifica, Google Plus che viene superato sia da Tumblr sia da Pinterest.

Il balzo in avanti di Snapchat è significativo, dato che lo scorso anno la creatura di Evan Spiegel, Bobby Murphy e Reggie Brown, era solo terza nell’indice di gradimento dei giovani americani. I quali sono particolarmente interessati a foto e video, soprattutto, e molto meno a contenuti centrati sul testo.

E qui mi fermo, saltando il resto dell’articolo preso da La Stampa.
Non voglio fare il vecchietto che si lamenta della modernità, anche perché di anni ne ho 40, e cerco di stare sempre al passo con gli aggiornamenti della tecnologia.
Però questa frase è agghiacciante:

I quali [i giovani] sono particolarmente interessati a foto e video, soprattutto, e molto meno a contenuti centrati sul testo.

Questa è una mia vecchia battaglia. Persa, sia chiaro.
Che la parola scritta sia condannata a una progressiva svalutazione è evidente e incontrovertibile. Dire che la gente legge meno solo perché non c’è un’adeguata campagna a favore della lettura è troppo semplicistico. Anche dare la colpa all’istruzione pubblica è limitante.
Ogni giorno siamo presi da mille pensieri piccoli e grandi, ma quasi sempre soggettivi ed egoistici. Ci preoccupiamo dei colleghi che ci trattano male, del capo che è uno stronzo, della bolletta che non ci siamo ricordati di pagare, dell’idraulico che costa troppo etc etc. Tutte cose sacrosante, ma che spesso ci fanno perdere di vista il quadro d’insieme, ossia che viviamo in un mondo in involuzione.

Lo diceva già Frankie...
Lo diceva già Frankie…

Parlo di involuzione del linguaggio, ma va da sé che il linguaggio è tutto, quindi non si tratta di un problemino secondario e trascurabile.
Ma chi se ne preoccupa, al di là degli addetti ai lavori?
Quasi nessuno.
Il fatto che le aziende di social media assecondino questa tendenza è in fondo logica, dal punto di vista del mero tornaconto economico. In fondo non tocca ai CEO di Facebook, Tumblr o Snapchat occuparsi di educazione e pedagogia.
Ma quali saranno gli effetti a lungo termine di questa destrutturazione della comunicazione?

Quando ho iniziato a utilizzare internet – era il lontanissimo 1997 – c’erano solo le mail e funzionavano già molto bene.
Vent’anni dopo, sempre meno persone sanno utilizzare una mail. Spesso le scambiano per delle messaggerie istantanee, alla stregua di Facebook e di WhatsApp. Mi capita di frequente che dei contatti lavorativi mi chiedano di inviare gli allegati tramite WhatsApp, piuttosto che via mail. Questo perché basta un click, magari un’emoticon, per sbrigare la pratica. Sì, a volte anche inserire l’indirizzo del destinatario e l’oggetto della mail viene ritenuto troppo impegnativo.
Ovviamente più l’età dell’interlocutore scende, più fenomeni del genere si moltiplicano.

Il fatto che l’analfabetismo funzionale stia dilagando non è poi questo fenomeno così inspiegabile, visto che da più parti si sta spingendo l’individuo a non comunicare in modo articolato e pensato, bensì solo tramite input semplici (foto, video). Con tutti gli strumenti che la tecnologia ci fornisce, noi siamo qui a privilegiare quelli apparentemente più comodi, che non contemplano una parte attiva, bensì un’inquadratura, un filtro scemo e un click su “condividi”.
Tutto purché non ci sia da faticare a mettere dieci parole di senso compiuto in fila.
E ancora dovrei star qui a scervellarmi sui motivi per cui la gente compra pochi libri?

Soluzioni?
Non ne ho. Qui si fa soltanto “resistenza”, e basta. Ma ovviamente il vento tira forte, e contrario.
Aspetto il prossimo social, in cui sarà privilegiata la comunicazioni con foto e rutti, senza la possibilità di aggiungere delle inutili righe di testo ai delicati gorgheggi.

back to the basic


(A.G. – Follow me on Twitter)

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17 commenti

  1. Beh c’è da dire che trovo divertente o quanto meno curioso far foto idiote coi filtri di snapchat. Ma la mia esperienza si ferma lì. E’ un’app che non ho ancora capito a fondo ed è vero che ”rivoluziona” il modo di comunicare (ancora una volta).
    E’ pensata per essere utilizzata semplicemente scorrendo un dito, senza mai digitare nulla ed essere intuitiva, eppure molti, me compreso, la trovano assolutamente complicata, specie all’inizio.
    Condivido il discorso sul modo di esprimersi, sull’abbandono della parola scritta, sui contenuti che vanno sempre più lontani dalla lettura. E’ interessante però la doppia funzione che (almeno per quanto ho percezione) hanno i social. Come dici non è compito delle aziende che li producono occuparsi di istruzione e pedagogia, loro assecondano un trend che percepiscono dal mercato. Ma sono abbastanza certo che dall’altro lato vadano oltre, ampliando il bisogno di adoperare il ”nuovo” modo di esprimersi e sdoganandolo.
    Ci sarebbe da ricercare un po’. Magari settimana prossima ne scrivo anch’io.

    P.s Avevo letto non ricordo dove purtroppo, che Snapchat lo utilizzavano anche dei contadini per tenere i loro affari. La funzione di post a orario limitato gli era congeniale 😀

    1. Per carità, sono il primo che si diverte, di tanto in tanto, pubblicando foto simpatiche sui social.
      Ma crearne uno appositamente mirato a limitare o a eludere l’uso della parola scritta, beh, mi sembra un’esagerazione.
      Oh, poi sarò io a essere troppo conservatore 🙂

  2. snapchat non lo uso, ma bisogna dire che ho ancora un blackberry di 6 anni fa che probabilmente non lo supporta, e sono molto restio a lasciare quella bella tastiera qwerty che ormai non fa più nessuno.

    però insomma, in una chiacchierata tra amici posso anche capire l’uso di un’applicazione “frivola”. quello che proprio non arrivo a comprendere è quando sul lavoro i clienti mi chiedono “mi dai un numero whatsapp che ti mando l’ordine?” ma che stiamo scherzando!?

      1. Forse, per Whatsapp e simili c’è il valore aggiunto di disporre di un recapito a cui rompere le balle a ogni ora del giorno e della notte, con l’app che ti avvisa se la persona ha aperto il programma (da combinare con “bastard*, non mi ha risposto!”). Whatsapp fa la spia, giusto? Io non ce l’ho, ho ancora il cellulare a carbone 😛

  3. Una volta c’era una pubblicità di un coso per fare le frittelle, che pomposamente recitava “se sai girare un pomello puoi usare (coso per fare le frittelle)!”

    Potremmo richiamare tranquillamente quello slogan con “se hai le capacità mentali di un australopiteco puoi usare snapchat!”, semprechè gli australopitechi non ne abbiano a male.

    1. Se ci pensi su molti prodotti ci sono avvertenze idiote, del tipo “non ingoiare il sacchetto”.
      Ulteriore indizio della demenza conclamata dell’uomo medio.

  4. La tragedia è che la pigrizia mentale è un cancro metastatico. Si diffonde a a rete come un frattale e più si consolida più prospera e mi sembra di assistere proprio a questo. E quando questa sorta di pigrizia (ma possiamo anche chiamarla “morte cerebrale” per me), colpisce anche le medie e alte sfere, allora capisci che si sta innestando uno status che mette non poco disagio. Quando ti ritrovi email di dirigenti (d-i-r-g-e-n-t-i) che a delle mie dettagliate comunicazioni ti rispondono con un “in breve?” capisci che il baratro è più vicino di quel che vorrei pensare

  5. Negli anni 90, più o meno, il mondo (come Ercole) è stato a un bivio. C’erano le condizioni per un miglioramento concreto ein egual misura per una pericolosa deriva. Oggi possiamo dire che è andata male.

  6. Sento nominare Snapchat per la prima volta ora (o magari ci faccio caso solo ora).
    WhatsApp l’ho usato un tre anni fa. Troppo invasivo. Disinstallato e mai più usato, mai rimpianto, nonostante tutti (o quasi) attorno a me lo usano.
    Però resto un fan degli sms. Intanto, si pagano: quindi, uno prima di scrivere cazzate, un attimo ci pensa. Hai il limite di 160 caratteri: sei costretto a sintetizzare, ma la sintesi talvolta è una virtù.
    L’email è asincrona, quindi è perfetta se non vuoi essere interrotto o la risposta ti interessa relativamente. Ammetto di usarla, ormai, solo per lavoro.
    La messaggeria di Facebook è abbastanza pratica, se non altro perché sei quasi certo che, nel giro di poco, il tuo messaggio sarà letto… ma la trovo scomodissima per le chat di gruppo. Ti distrai mezza giornata e devi recuperare cento messaggi.
    Skype ha quel tono personale che un po’ mi conforta, ma c’è gente che non lo apre per giorni interi. Va bene se non hai nessuna fretta o se trovi qualcuno on line fortuitamente.
    In tutto ciò… il telefono continuo a odiarlo.
    Ormai, sono più le volte che chi chiamo non mi risponde, e anch’io spesso lo faccio squillare perché sto facendo altro e non mi va di essere interrotto.
    Ma sto divagando, si parlava di comunicazione in caduta libera. Già.
    Magari mi ci soffermo la prossima volta.

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