C’è un passaggio, nell’intervista che mi ha fatto il blog Liberi di Scrivere, che immagino abbia fatto storcere il naso a qualcuno. Ve lo riporto:
Quali sono i generi letterari che maggiormente pratichi, quali ti danno un maggior riscontro anche a livello di vendite?
– Io sono orgogliosamente un autore del fantastico. Scrivo al 90% per intrattenere (e la ritengo una nobile arte). Nel restante 10% potete trovare impegno “sociale”, messaggi da veicolare, pensieri che mi appartengono. Ma si tratta comunque di concetti ben nascosti in storie di mostri, d’avventura, d’azione.
La faccenda dell’intrattenere l’ho già trattata diverse volte su questo blog. Correva, per esempio il settembre del 2015 quando scrivevo:
Succede che un paio di giorni fa un amico mi fa leggere l’intervista a un blogger che un tempo si occupava di fantastico.
In questa intervista, dove si parla di tutto e di niente, il soggetto in questione ci tiene a ribadire di aver superato la fase infantile in cui si occupava di narrativa di intrattenimento (in particolare di horror), perché ora che è grandicello (credo viaggi verso i 50 anni) preferisce la letteratura in grado di suscitare vere emozioni e di lasciare qualcosa dentro.
Vedete, non succede praticamente mai che io parli delle cose di cui scrivo, nella “vita reale”.
Non ho amici con cui vado al bar e che mi chiedono – per esempio – “ma il Basilisco incontrerà mai un supercattivo con poteri derivanti da un simbionte alieno?”
Per carità, ci può stare che certi argomenti siano off limits, in una società in cui si fa fatica a stare dietro a tasse da pagare, a scadenze, affitti, malattie, disoccupazione, crisi politiche etc etc.
Non ho la pretesa di creare gruppi di lettura naif, in cui parlare di navi spaziali, pirati, supereroi e kaiju.
Sarebbe bello – magari un po’ nerd – ma non è nei miei progetti.
In compenso ogni tanto mi capita la situazione inversa.
Premessa: io non mi presento MAI come “scrittore”. Al momento non è il mio lavoro principale, quindi spacciarmi come tale sarebbe solo un gesto vanesio, come quelli che su Facebook si fanno chiamare “Pietro Rossi Scrittore”.
Però, ecco, quando salta fuori questa faccenda che scrivo e vendo libri, c’è quasi sempre l’immancabile sveglione che mi chiede: “ma tu cosa scrivi, esattamente?”
Visto che non c’è ragione di mentire, io rispondo snocciolando i generi di cui mi occupo.
Al che l’espressione dello sveglione diventa qualcosa a metà tra il perplesso e il disgustato, e replica più o meno così: “ma scrivi anche di altre cose, o solo di queste?“
Il “di queste” lascia intendere ovviamente “di queste stronzate”.
Che, di nuovo, ci sta che a uno non piacciano i generi di cui mi occupo. Magari sono gli stessi che però a casa si sciroppano tutte le settimane The Walking Dead, Agents of SHIELD, The Flash, Stranger Things e altri serial al 100% in linea con le tematiche che affronto io, come autore.
Tra l’altro questa considerazione mi fa venir voglia di tornare sul concetto del “abbiamo vinto” (inteso come appassionati del fantastico), e sull’incompatibilità tra media diversi.
Ma forse ci torneremo in un’altra occasione.
Io continuo a essere molto orgoglioso di quello che scrivo, anche dei racconti e dei romanzi in cui la componente di puro intrattenimento è soverchiante rispetto ad altri elementi, o a un presunto “messaggio” da trasmettere ai lettori.
Da quando sono ragazzino sono stato soccorso da molti, validissimi intrattenitori (scrittori, fumettisti, registi), che mi hanno portato nei loro mondi, salvandomi da tutte quelle bordate che la vita, severa maestra, mi ha sparato contro (succede a tutti, lo so).
Piuttosto che drogarmi o darmi all’alcool ho preferito viaggiare con la fantasia. Non so se esiste un percorso terapeutico basato sull’immaginazione, ma io so di aver percorso – e di percorrere tutt’ora – qualcosa di simile.
Se, come scrittore, riesco a regalare momenti di svago, di relax, di fuga, a qualche centinaio di lettori, non ritengo di aver bisogno di altro.
Né di giustificarmi, né di cercare lo sdoganamento da parte del lettore casuale, secondo cui gli unici autori degni di questo titolo sono i vari Gramellini, Murgia e compagnia.
Quindi, signori, non sparate sull’intrattenitore.
Grazie.
(Articolo di Alex Girola – Seguimi su Twitter)
Eh no, proprio non ci sto a sentire che qualcuno pensi che scrivi stronzate.
Ho cominciato a leggere Girola perché con Milano Doppelganger (https://www.amazon.it/Milano-Doppelganger-Alessandro-Girola-ebook/dp/B00FG1S654/ref=sr_1_53?s=digital-text&ie=UTF8&qid=1484120404&sr=1-53&keywords=alessandro+Girola) ho trovato un genere che mi mancava da tanto scritto in maniera eccezionale.
Ognuno può pensare quello ciò che vuole degli altri ma invito solo queste persone a leggere uno qualsiasi dei tuoi racconti o romanzi più o meno lunghi per capite cosa e soprattutto COME scrivi.
Ciao
Max
Grazie dei complimenti 🙂
In realtà io non me la prendo più da anni, per questo genere di considerazioni sulla narrativa del fantastico. Però a volte mi piace tornare sull’argomento, per incoraggiare tutti quelli che si vergognano ad ammettere che leggono (e magari scrivono) prettamente libri e racconti di intrattenimento.
Non c’è da stupirsi, Alessandro, se agli occhi dei più l’horror, il pulp, il weird o la bizarro fiction siano generi “dedicati a una certa nicchia”, come a voler dire “dedicati a chi piace la spazzatura”: da lettore di fumetti vedo la stessa reazione sul volto di queste persone quando si parla (poche volte e mai seriamente) di fumetto…
Ma alla fine “queste persone” a cui mi riferisco, magari, sono le stesse che dicono “sono un forte lettore: mi precipito in libreria appena Fabio Volo mi dice di farlo in TV” 🙂
Quindi, amico (non ci conosciamo, ma permettimelo), non ti preoccupare se l’opinione della maggioranza ti sembra questa, perché è semplicemente il mondo in cui viviamo. Pensa, al contrario, a tutti quelli che, invece, riesci a raggiungere e intrattenere grazie a blog e social vari!
(adesso scappo, scusa se c’è qualche frase scritta a caso, ma volevo lasciare un mio pensiero e sono di fretta)
No, non mi preoccupo granché 🙂
In realtà la mia è una difesa della categoria, e non personale.
Ed è anche un augurio che che certi pregiudizi vengano messi da parte, per poter avere più spazio di manovra, sia come scrittore che come lettore.
Quindi, stando a questo modo di pensare, un libro sul fantastico o di genere non può contenere messaggi sociali, offrire spunti di riflessione sulla nostra società? Questa è una menzogna, anzi molto spesso il fantastico ha toccato temi anticipando analisti e saggisti con qualche decade di anticipo, penso a temi come la bioetica, il controllo delle nascite, etc.
Fermo restando che intrattenere “e basta” non è una colpa, ma bisogna saperlo fare
C’è gente che non sa nemmeno cosa vuol dire parlare per metafore. E spesso la narrativa del fantastico è ricca di metafore.
E anche se non lo è, se a volte intrattiene e basta, svolge comunque una funzione terapeutica.
Quello che dovrebbe essere richiesto a una qualunque forma di espressione artistica è l’essere bella – poi, cosa si intenda per “bella”, è un altro discorso, ma in genere credo che un’opera d’arte sia bella se è in grado di suscitare un sentimento di gioia, pur mescolato con l’orrore o con l’abbattimento o con il sentimento appropriato in base al mezzo espressivo scelto, nel fruitore -, e solo accidentalmente, cioè come surplus, si può chiedere che sia anche impegnata (in senso lato, cioè che costringa a riflettere o che aiuti ad aprire gli occhi su determinati aspetti del reale. E’ comunque importante dire che entrambe queste cose conducano spesso alla sensazione di “bello” di cui parlavo poco fa). Insomma, in pittura, in musica, in scultura e in ogni altra forma d’arte, un’opera non è mai buona perché è impegnata, ma perché è bella. Se è anche impegnata, buon per lei. Solo in letteratura molti credono che il contenuto morale, per così dire, sia più importante del veicolo. Che idioti
Che poi quando il “contenuto morale” ti viene sbattuto in faccia – nello stile (per esempio) delle serie TV di Mamma Rai – di solito fa venir voglia di sghignazzare e basta.
Sarà banale, ma se uno scrive in modo autentico credo sia addirittura difficile, se non impossibile, nascondere quelle parti di sé che esulano dal puro intrattenimento, separandole dal resto. Se quello che scrivi fosse solo frutto di un lavoro razionale, non intratterresti nessuno. Ma il bello è che ognuno lascia la sua impronta unica, con tutto quello che vuole veicolare. Se così non fosse, leggere sarebbe di una noia mortale, non importa cosa. Non c’è niente di peggio che leggere scritti, anche levigati e ben costruiti, nei quali avverti l’intento pedagogico dello scrittore (che si prende troppo sul serio), Intrattenere è un nobile lavoro fatto con apparente leggerezza e non è detto che la morale debba arrivare al lettore stile incudine perché l’opera abbia una sua dignità. Anzi.
Sono completamente d’accordo.
Prendersi troppo sul serio dà sempre l’impressione di una forzatura. E, anche quando non lo è, risulta legnoso, noioso, improbabile.
Non posso che essere d’accordo con te, soprattutto per aver più volte apprezzato la valenza terapeutica della letteratura d’intrattenimento, compresa la tua. Buon proseguimento!