No, non sono i metri scalati durante le mie vacanze estive, bensì le parole che ho scritto in poco più di tre settimane di ferie, a cui vanno necessariamente sottratti i cinque giorni e mezzo trascorsi in Polonia.
Proprio durante le ferie è nato Il Diavolo della Pioggia, che sarà il primo romanzo vero e proprio del progetto Italia Doppelganger. Inizialmente doveva essere qualcosa di più corto, diciamo sul mio standard (18-22.000 parole), poi ho voluto fare un’eccezione e “allargare” la scrittura, dando maggiore spazio all’intreccio, ai personaggi e ai comprimari.
La domanda che mi faccio è: 36.000 parole (completamente da editare) sono poche o tante, in venti giorni di lavoro?Non lo so.
Non credo esista una risposta standard. Per molti saranno tantissime, per altri saranno poche.
Per me è un buon risultato, soprattutto perché le ritengo parole ben scritte (non è immodestia: se non lo penso io che le ho create, perché dovrebbe farlo un lettore?), divertenti ma non banali.
Diciamo che il risultato finale dovrebbe attestarti sulle 45.000 parole, quindi la meta non è lontanissima.
Scrivere d’estate è facile?
No. Odio il caldo, mi toglie le energie, mi innervosisce, mi fa dormire male e spesso causa rallentamenti anche nei device elettronici, che si surriscaldano facilmente.
Per fortuna ho goduto del vantaggio di scrivere in cantina, al fresco (relativo, ma comunque quasi paragonabile a quello di un condizionatore di media qualità), in compagnia dei miei cani.
La mia work station era (è) sommaria, ma funzionale: un tavolo, il portatile, una bottiglia di tè freddo, il tablet. Quest’ultimo lo utilizzo sia come radio, sia per recuperare parte dei millemila film e telefilm di cui ho letto le recensioni in autunno e inverno, ma che non ho avuto occasione di vedere prima.

Quante ore al giorno ho scritto?
Un paio alla mattina e un paio al pomeriggio. Raramente ho aggiunto un’ora alla sera. Arrivavo troppo stremato e accaldato, per potermi concentrare adeguatamente, quindi preferivo fare altro.
Tra questo “altro” ci metto la documentazione per il romanzo, lavoro svolto prevalentemente su tablet, smartphone e su libri cartacei. Ho studiato, tra le altre cose, la storia della stregoneria a Milano, la toponomastica cittadina e… un paio di vecchi volumi del Monstrous Compendium di Advaced Dungeons & Dragons (anche per smentire che giocare ad AD&D voleva dire soltanto fare combattimenti e arraffare tesori)
È un buon metodo?
Non lo so. Anche qui, la questione è soggettiva. Io mi sono trovato bene, e ha incrementato la mia produttività.
Durante l’hanno lavorativo è difficile essere altrettanto costanti e poter usufruire delle ore giornaliere di scrittura con la medesima libertà.
Questo è uno dei motivi, tra i tanti, che dovrebbe far rivalutare la necessità di trasformare la scrittura in un lavoro a tempo pieno. Ma non è facile e sappiamo il perché. Sono i soliti discorsi e non mi va di tediarvi, ripetendomi.
Però prima o poi ci torniamo, magari prendendo il discorso da un’altra prospettiva.
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No no no no no.
Non ci hai messo venti giorni.
Ci hai messo mesi, anni.
Ha “lavorato di lima” su ogni parola.
Hai riscritto dieci, venti, trenta volte la stessa frase.
Hai sofferto e pianto esorcizzando i tuoi demoni.
Hai invocato la musa, hai sanguinato sulla pagina come diceva Hemingway.
Questo hai fatto.
O qualche piccolo semianalfabeta che legge di norma solo Tex verrà a dirti che scrivi troppo in fretta e ne risente la qualità.
😉
È la dura vita dell’autore, in un paese in cui pochi leggono ma tutti pretendono di poter parlare di scrittura.
Ma solo chiacchiere restano…
Io ho approfittato delle (brevi) vacanze per raccogliere un po’ le idee perciò guardo al tuo traguardo di 36.000 parole con molta, molta invidia.
Ho cercato di capire cosa scrivere e in che modo farlo complici alcune camminate ad alta quota che mi hanno portato qualche idea in più (oltre che grappoli di vesciche).
Sorrido perché tra le varie epifanie da carenza di ossigeno, la più importante è la volontà di rimettere in piedi un tavolo di D&D (o AD&D o una delle sue declinazioni), e Ravenloft è sempre stata la mia ambientazione preferita. Per qualche tempo, secoli fa, ho persino adottato il nick Strahd. 🙂
Aver pubblicato qui il Manuale dei Mostri ti rende in parte responsabile se davvero ricomincerò a far rotolare dadi da 20.
È una bella responsabilità e ne porterò il peso con piacere 😉
Ravenloft è anche il mio setting preferito, per il suo essere più atmosfera che non “mazzate”, pur senza rinunciare al sistema di AD&D, che secondo me in quegli anni era ottimo.
Ho già l’acquolina in bocca