Sono Tornato

 

Mi sembrava il momento giusto per vedere il remake italiano del film tedesco Lui è tornato, del 2015 (ne ho parlato qui), e così ho fatto. Nell’originale, tratto a sua volta da un romanzo, si ipotizza il ritorno di Hitler, scampato miracolosamente alla morte e ricomparso ai nostri giorni, dove vive un incredibile ritorno di popolarità.
Facile capire dove poteva andare a parare la versione italiana, opera di Luca Miniero.

Nel 2017, Benito Mussolini cade dal cielo a Roma davanti alla Porta Alchemica senza essere invecchiato di un solo giorno e credendo di essere ancora nel 1945; inizialmente disorientato da una società molto diversa da quella che conosceva, poco dopo incappa nell’aspirante regista Andrea Canaletti, da poco licenziato dal canale My Tv per cui lavorava e stava girando un film senza successo davanti alla porta magica dove era caduto il dittatore.

Intenzionati a sfruttarsi a vicenda, Canaletti e Mussolini (che viene creduto, da Canaletti e non solo, un semplice attore che recita la parte) iniziano un viaggio per l’Italia, il primo per girare un documentario in grado di renderlo celebre, il secondo per saggiare lo stato d’animo degli Italiani nella speranza di poter un giorno riprendere il potere.

Cominciamo col dire che, a differenza del film su Hitler, Sono Tornato fa ridere pochissimo. Sarà anche che Frank Matano, nel ruolo del reporter che lavora al documentario sul Duce, è un cane totale, un attore che all’epoca d’oro del cinema italiano non avrebbe nemmeno fatto il figurante. Sarà che i dialoghi sono deboli e che Massimo Popolizio, che interpreta Mussolini, ha troppi alti e bassi.
Comunque siamo sempre lì: il film non è divertente.

Ma in teoria Sono Tornato non dovrebbe far ridere, bensì far riflettere attraverso la commedia.
Miniero riesce almeno in questo intento?
Mah.
C’è una lettura sociale che, attraverso il redivivo Duce, ci mostra quanto gli italiani, almeno a livello teorico, siano prontissimi ad accogliere una nuova dittatura (“purché sia morbida, eh!”, commenta un pizzaiolo disgustato dai vecchi politici che non combinano nulla).
Canaletti/Matano raccoglie interviste spontanee, a spasso per l’Italia col Duce. Giovani e meno giovani sbraitano contro i troppi stranieri, contro la democrazia, che tanto votare non serve a nulla, visto che tanto quelli là a Roma fanno quello che vogliono. Qualcuno, baldanzoso, cita i vecchi muti di Benito e si dichiara pronto a fare la rivoluzione, ma magari fra un mese, che settimana prossima si sposa mia figlia (con un negro, ma di quelli buoni, che sa guidare un trattore e lavorare nei campi).

Si dà ampio spazio ai cavalli di battaglia del Duce.

Eravate un popolo di analfabeti, dopo ottant’anni sono tornato e siete ancora un popolo di analfabeti.
Siete privi di sogni, impegnati a fissare un telefono tutto il giorno. (…)
Chi vorrebbe mettere al mondo dei figli in questa Italia, se poi la loro massima aspirazione sarebbe quella di fare i cuochi? (…)
Avete bisogno di un messaggio WhatsApp per avvertirvi che il paese sta sprofondando?

Etc etc.
Frasi apparentemente di buon senso, pronunciate da un grande comunicatore, dotato di un carisma eccezionale.
Frasi che trovano appiglio proprio in quell’analfabetismo (funzionale, nel nostro caso) in cui siamo immersi, in cui a colpa è sempre dell’altro, in cui la miseria in cui ci troviamo a galleggiare è dovuta ai poteri plutocratici che ci opprimono.
O magari ai bantù coi labbroni che stanno prendendo il nostro posto (cit).
Mai nostro, per carità.
Mai di ciascuno di noi, di me, di te, di quello che ti siede accanto mentre stai leggendo questo inutile post.

Ma dunque il film fa pensare? Ci offre uno specchio in cui cercare un po’ di autocritica?
Non particolarmente.
L’intento di denuncia di Sono Tornato è debole. Il fatto che la grandissima parte degli italiani del film credano che il Duce reload sia un comico che interpreta Mussolini confonde un po’ le acque (volutamente), come faceva Lui è tornato, con Hitler.
Per il resto trovo che il film sia piuttosto ambiguo nel parlare del fascismo.
Espone una semplice realtà: se Mussolini tornasse, magari fingendo di essere soltanto un commediante, ma rispolverando i suoi veri cavalli da battaglia, l’Italia sarebbe pronta a riabbracciarlo di nuovo.
Non TUTTA l’Italia, ma una buona parte sì.
Fantascienza?
Non so, seguendo le fasi costitutive del nuovo governo io qualche brutto pensiero l’ho fatto. E mi limito a dire questo, perché non voglio che questo post parli di attualità politica.

Sono Tornato è un film che, come l’originale tedesco, intende forse (e dico forse) raccontare l’Italia populista e ignorante, ma che lo fa in maniera semplice, tanto da risultare – come già detto – ambiguo. Miniero tende quasi a rivalutare il lato umano del Duce, raccontando quanto Mussolini sia – ora come allora – l’interprete dell’animo profondo degli italiani. In questa spiegazione involontariamente indulgente c’è, secondo me, il fallimento del film.


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Un commento

  1. A prescindere dai meriti o demeriti di un film, peraltro in questo caso per me mediocre, la differenza vera tra il film tedesco e questo è il tessuto sociale con cui si rapportano. In Germania c’è una memoria condivisa per quanto riguarda il nazismo, condivisa nel senso che appartiene a tutte le classi sociali. Esiste perché è stato fatto un lavoro a partire dagli anni ’50 per cercare di impedire anche solo l’idea di ritornare in quella direzione. Non a caso, i gruppi di estrema destra tedeschi sono quasi tutti più radicati nei territori dell’ex DDR dove questo tipo di lavoro non è stato fatto con la stessa efficacia.
    Il confronto con l’Italia, a partire dal non aver avuto l’equivalente dei processi di Norimberga, diventa impietoso sia per la cosiddetta “tolleranza” esercitata per decenni verso l’estremismo di destra, sia per l’abbandono di simboli fondamentali da parte della nostra intellighenzia. Se si lasciano cose come la bandiera, il rapporto con le FFAA e il concetto di patria nelle mani di personaggi schierati a fianco dell’estremismo extra parlamentare, poi non ci si deve stupire dei risultati.

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