
C’è un modo piuttosto comune di esprimersi online, da parte degli scrittori più o meno noti. Oddio, anche da quelli ignoti, a dire il vero.
Memori della massima “Comportati sempre come se fossi un figo, perché la gente ti tratterà come un vincente” (ed è una massima vera, che trovate su quasi tutti i manuali motivazionali), gli scrittori si atteggiano come star.
Partecipano a fiere dove – dicono – li attendono folle adoranti di fan.
Escono belli freschi da lunghe sessioni di scrittura, tanto da farsi dei selfie come se fossero modelli di Armani.
Hanno sempre tutti i loro libri in ristampa, o esauriti.
Creano dei “casi letterari”.
Ma sarà davvero così?
Magari per qualcuno. Per pochi, a dire il vero. In un paese che si vanta del suo disamore per la lettura è difficile credere che un autore di narrativa faccia una vita come quella degli scrittori immaginati nei film americani.
La verità è che la vita media del medio scrittore italiano non è proprio uno spasso. Per esempio…
Lo scrittore nella realtà
- A uno scrittore capita spesso di organizzare dei reading, o degli incontri coi lettori in fiera, e di trovarsi da solo. Se va bene attira qualche persona interessata al buffet gratuito, più che a parlare di libri. Gli incontri e le fiere servono indubbiamente a piazzare qualche copia, ma non immaginateli esattamente come dei bagni di folla. E bisogna considerare le spese per organizzare eventi simili (non sempre le copre la casa editrice).
- Scrivere è doloroso, ma non per i demoni interiori. Fa male per la postura, per i mal di testa, per le lunghe ore trascorse in una posizione scomoda, a litigare con le parole. Si rischia di arrivare a sera con occhiaie, dolori vari, con la schiena curva e vagamente spaesati. E spesso non si può rimandare a quando staremo meglio, a quando avremo più voglia, perché si sono scadenze da rispettare. Sì, ci sono anche gli autori indie, come il sottoscritto.
- I libri, più che andare esauriti, vanno al macero. La vita media dei libri si è abbassata drasticamente. Nelle librerie vengono sostituiti dalle nuove uscite nel giro di poche settimane, a meno che siano dei bestseller. Ma anche la vita di quest’ultimi si è accorciata. Sono dati, non chiacchiere, e se ne parla già da anni. Quindi un libro, se non vende subito, fa andare in perdita il suo autore.
- I “casi letterari” arrivano quasi sempre dagli Stati Uniti. Ogni tanto da UK, Francia, e dalla Scandinavia, per quel che concerne i gialli. Per quanto starnazzino gli uffici stampa di alcuni editori nostrani, è raro che qualcosa del genere abbia origine in Italia. Qui di solito si cavalcano i trend esteri, e spesso lo si fa anche con troppe settimane di ritardo. Quindi i titoloni sugli autori nostrani che si inventano generi e tematiche sono spesso esagerati. Per non dire inventati.

Ma perché regalare queste perle di antipatia?
Perché le favole sono belle, ma non rendono onore al vero lavoro dello scrittore. Che è un lavoro di fatica, una parte del quale contempla il fare a pugni con un potenziale pubblico sempre più ristretto (e sempre più disinteressato).
Perché spesso un autore fatica a tirare fuori una parvenza di uno stipendio, altro che lussi e record di vendite. Far passare un messaggio simile spinge sempre più gente a chiedere loro collaborazioni gratuite – “tanto tu già guadagni con le vendite”.
Non è finita: se davvero si fa credere ai lettori che quasi ogni libro diventi un bestseller, questi saranno sempre meno invogliati a fare del passaparola spontaneo, a lasciare dei feedback che generano vere vendite.
Insomma, per farla breve: una doccia di realtà fa più bene di un sacco di pie illusioni.
E comunque scrivere si conferma un’attività eccezionale, al netto di tutte le difficoltà che è giusto ribadire, almeno di tanto in tanto.

Articolo di Alex Girola: https://twitter.com/AlexGirola
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Sono perfettamente d’accordo. Punto Su Punto (PSP)
Stavo per dire che si tratta di uno dei problemi legati al mondo social, quello di fornire una visione distorta della realtà. Poi pensandoci meglio mi sono accorto che non è affatto così perché quella ad essere distorta è la percezione che abbiamo della vita altrui vista tramite i social. Se un tizio posta esclusivamente foto del laptop con sfondi mozzafiato (anche fake, bastano dieci minuti di photoshop), selfie filtrati a manetta che ringiovaniscono di vent’anni, aperitivi e piatti che sembrano sculture, la prima cosa che mi viene da pensare è: cazzo, che bella vita fa questo! Poi si creano i paradossi che indichi nel post: essere fichi per vendere attraverso l’insana equazione bella vita = soldi = vende un casino = prodotto di qualità. Che può stare bene se mi occupo di moda ma se sono uno scrittore o un musicista che senso ha? Puoi essere un gran fico e fare una vita meravigliosa, ma se scrivi merda, merda rimane. Purtroppo quello che per noi è pura logica (non puoi giudicare un prodotto sulla base di un profilo social) sembra non esserlo per la maggior parte dei consumatori.