L’idea era quella di non aggiornare più il blog fino a fine agosto, o addirittura ai primi di settembre.
Sono esausto e, sebbene abbia idee per realizzare nuovi video e per scrivere nuove storie, non ho le forze per farlo. Ammetterlo è perfino liberatorio. Quindi, come ho già detto altrove, in questo agosto troverete nuove puntate del Plutonia Publications Podcast (preregistrate) nuovi post su Telegram e su Instagram, null’altro.
Poi però è successa la disgrazia che tutti, nell’ambiente della scrittura e della letteratura, già sapete: è morto Stefano di Marino. Si è suicidato. Fa male anche a scriverlo, ma è così.
Stefano è stato il primo scrittore professionista a leggermi, molti anni fa, quando mi affacciavo a questo mondo. Sono cose che ho già accennato qui, inutile ripetermi. Perciò mi limiterò a dire che Stefano era una persona generosa, gentile, disponibile, come pochi altri scrittori (assai meno famosi di lui) sanno essere.
Oggi volevo spendere due parole su un argomento che altri suoi amici e sodali hanno analizzato meglio di me.
Premessa: non so di preciso quali siano i motivi che hanno spinto Stefano a fare ciò che ha fatto. So che passava un momento difficile, che occuparsi dei genitori anziani e malati è una cosa che ti prosciuga di ogni energia.
Lo fin troppo bene, ahimè.
Poi, come dicevo, c’è chi pensa che ci sia anche una componente professionale, nello scoramento che l’ha colpito.
Stefano “Il Prof”, era uno dei pochi scrittori italiani in grado di vivere con la sua arte. Ossia con la scrittura.
Prolifico, capace di saltare tra più generi, saggista, traduttore… Impossibile ricordare in poche righe la mole enorme di lavori che Stefano ha gestito e a cui ha collaborato. Probabilmente era uno degli autori italiani più venduti e letti, eppure non capitava quasi mai che i grandi media parlassero di lui.
Non veniva intervistato in TV, finiva sporadicamente sui giornali a tiratura nazionale, non veniva recensito dagli youtuber di ultima generazione, che spesso si spacciano per competenti in determinate materie, ma la cui conoscenza delle medesime copre soltanto ciò che è uscito negli anni recenti. Ovvero ciò che viene reputato “cool”, mentre il resto non esiste.
L’affetto dei lettori nei confronti di Stefano è sempre stato enorme e trasversale. Anche perché lui, come dicevo, non si è mai tirato indietro dal chiacchierare con gli aspiranti scribacchini, coi semplici appassionati, con chiunque.
Però venire scientificamente ignorati dall’ambiente, dagli addetti ai lavori, fa male.
Scrivere è un’attività solitaria.
Sì, ci si confronta coi colleghi, coi lettori, ma alla fin fine si è soli davanti alla pagina Word.
Si è soli per ore, giorni, settimane, mesi.
Scrivere è anche un lavoro che non paga granché, anche se la percezione dei profani è differente.
Quando ci accorgiamo che spesso monetizzano di più degli streamers che realizzano video di gente che rutta, beh, vi assicuro che anche il più gioioso tra noi perde un po’ di speranza nel futuro.
Ma questa è la società moderna: lamentarsi non serve a nulla, così come nessuno ci obbliga a fare gli scrittori, come mi disse un giorno un mio ex amico, dimostrando grande empatia.
Quando tutti questi elementi si mischiano, si crea un cocktail velenoso.
Solitudine, l’obbligo di doversi occupare di famigliari malati o non autosufficienti, la scarsa considerazione verso quei mestieri che, in Italia, vengono percepiti come “passioni”. Ce n’è abbastanza per tramortire un toro.
E noi siamo esseri umani, non bovini.
Siamo umani a cui spesso non è consentito dimostrare debolezze, perché in questo mondo 2.0 bisogna sempre essere sul pezzo, bisogna essere sempre cazzeggioni e felici.
L’ammorbante cultura della positività tossica blocca la possibilità di sfogarsi, magari di chiedere aiuto. Perché, ehi! Tu non hai limiti, puoi arrivare dove vuoi, basta lavorare duro e non frignare.
Assurdo?
Sì: assurdo. Però questo è l’andazzo.
Lavorando sui social so che il messaggio che va per la maggiore deve essere questo. Sempre positivi, sempre su di giri, anche se dentro stai di merda. O al limite, in alternativa, sposa qualche causa sociale (di cui magari non ti frega nulla) e cavalcala. Ma guai a parlare dei tuoi problemi concreti, spicci, di tutti i giorni. Ti prenderebbero per un debole.
E le debolezze reali non sono più concesse.
A me Stefano mancherà, anche se non posso definirlo un amico fraterno, né un collega (era anni luci migliore di me).
Mancherà perché per quindici anni è stata una presenza fissa della mia vita da scrittore, e perché in pochi gli hanno riconosciuto di essere un “big” della letteratura italiana.
Le celebrazioni postume da parte della critica, beh, a me generano solo disgusto.
Ci si rilegge fra qualche settimana.

Non lo conoscevo, ma anche a me ha fato male saperlo …. Ciao!
È stato un colpo tremendo. Stefano, oltre a essere una grandissima persona e un incredibile scrittore capace di affrontare qualunque genere con la massima professionalità, era un duro, uno che combatteva.
Ma essendo umano, come tutti noi, era anche soggetto a momenti di scoramento.
Non so cosa sia successo esattamente, perché abbia scelto questa via definitiva. Vorrei non lo avesse mai fatto.
Lascia un immenso vuoto, umano e professionale.
Non posso considerarmi esattamente un suo amico, ma nel periodo di Altrisogni ci siamo frequentati tanto e gli sono grato di averci dato fiducia e un paio dei suoi racconti da pubblicare. L’ho sempre stimato molto.
Come ha scritto il suo amico Andrea Carlo Cappi: Stefano era l’ultimo dei giganti.