Un tempo gli scrittori erano quasi del tutto avulsi dai loro lettori.
Tranne per qualche presentazione dal vivo non c’erano rapporti diretti, se non tramite le lettere inviate alla casa editrice che rappresentava l’autore in questione.
Con Internet – in particolare nella sua versione 2.0 – i rapporti sono cambiati. Ne abbiamo già parlato parecchie volte, per esempio qui. Blog, social network, forum… Resto dell’idea che uno scrittore non possa esimersi dal contatto diretto col pubblico, pena l’oblio pressoché immediato.
Non dico che sia giusto, dico che è inevitabile. Tranne qualche eccezione, tutti gli scrittori sono oramai contattabili su Facebook, su Twitter, oppure sui blog personali, dove parlano di scrittura, di libri e di molti altri argomenti correlati.
Il che ci porta direttamente alla questione di oggi: quanto incide il carisma di uno scrittore sul suo successo professionale?
Tanto.
Potremmo fermarci direttamente qui. Vediamo invece di spendere qualche parola in più.
Lo scrittore deve essere un buon comunicatore, ma questo è insito nel mestiere che fa. Tuttavia, come dicevamo, non basta più essere bravi a scrivere racconti o romanzi. Occorre anche intrattenere il pubblico, ricordandogli che esiste (in qualità di scrittore) anche quando non è in promozione con questo o quel libro.
Al lettore 2.0 interessano i making of, i dietro le quinte, ma anche i consigli per gli acquisti del suo scrittore di fiducia, sia che si tratti di altri libri, di film o di fumetti.
Inevitabile dunque che gli strumenti ottimali per gestire tutto ciò siano i social network e i blog.
C’è un secondo livello di esposizione, più affascinante e più pericoloso. Lo scrittore potrebbe esprimersi con pareri netti e decisi su argomenti meno “leggeri”. Per esempio sul (mal)funzionamento dell’editoria, tema che oramai appassiona più i lettori che non gli autori stessi.
Sbilanciarci è però sempre pericoloso. Con un ragionamento del tutto italiano potremmo inanzitutto dire che si rischia di farsi molti nemici. In una paese meno monopolizzato il problema non si pone nemmeno, ma qui tutti – scrittori, editori, editor, distributori – sembrano legati da un sottile filo d’Arianna. A me, fiero autoprodotto, non importa nulla, ma immagino che per molti la faccenda sia più complicata.
Secondo: si rischia di diventare dei guru in permanente chassis da battaglia. Le acclamazioni popolari danno alla testa e alla fin fine ci si trova a guidare crociate magari ideologicamente giuste, ma che rischiano di colpire nel mucchio, a casaccio. Un po’ come l’antipolitica.

A parte questi eccessi, ci sono scrittori che possiedono un carisma naturale. In qualche modo, con poche parole e con interventi mirati su Twitter o sui loro siti, riescono ad accendere gli entusiasmi dei lettori. Senza raccontarci favolette dobbiamo ammettere che la preparazione (specifica nella materia di cui scrivono), la competenza e la cultura fanno la loro parte nella costruzione del personaggio. Come è giusto che sia.
Purtroppo c’è anche il fenomeno contrario: scrittori, specialmente giovanissimi, che sono più che altro personaggi, e che solo incidentalmente scrivono romanzi di successo. I titoli ve li lascio indovinare, non è difficile. Mi consola constatare che il loro successo è però effimero. Alla lunga anche i lettori più giovani e stolti crescono, e non gli basta più leggere qualche massima rubata qua e là e ficcata in un romanzo idiota.
Nel mentre però vendono. Che volete farci? Il mondo va da sempre all’incontrario.
– – –
Il parere di Bruno Bacelli in merito a questo tema.
Caro Alessandro, vendono tutti se adeguatamente promozionati ma vivere con la propria arte lo si fa dopo anni ed anni di pane e cipolla, quando arrivi alla massa critica dei clienti vendi piu’ tu in due giorni che le meteore nella loro vita.
Mi sa che però siamo un po’ OT dal mio post 😉
L’importante è che non si sbilancino troppo, finendo per parlare di politica, per esempio. In quela caso, mi perderebbero come scrittore. Intendo, nel caso specifico, che apertamente prendano parte in una corrente politica.
È un po’ il caso di Dan Simmons, che da quando ha espresso le sue simpatie si è attirato l’odio di molti lettori.
Io, ti dirò, fin quando non ravviso militanza nei libri bado poco a queste cose.
Certo però che se si parlasse di politica italiana farei fatica a ostentare seraficità 🙂
Consiglio di andare a vedere The Words… il commento è off topic, ma neanche troppo. Insegna molto sull’editoria, sugli emergenti, sul destino dei manoscritti… e poi è una bella pellicola! ^_^
L’immagine dello scrittore solitario, isolato nella sua torre d’avorio, appartiene decisamente al passato. L’interazione coi lettori è non solo caldamente consigliata, ma essenziale: il che non vuol dire essere sempre lì a rispondere a domande ed esaudire richieste, ma appunto diventare una sorta di “guru” attivo nei social network o in un apposito blog. Consigliare letture e film, lanciare qualche anticipazione succosa, ringraziare per le recensioni (positive, almeno) altrui, sparare qualche battuta fulminante su Twitter, cose così. I lettori apprezzano questa dimensione “umana” degli artisti. Io per primo! Quanto bello è scrivere di Brian Keene e ricevere un grazie con anticipazioni bonus via Twitter? 😀
Condivido tutto, ovviamente.
So che a molti scrittori l’idea di essere “social” proprio non va giù. In fondo li capisco: avere a che fare col prossimo può essere estenuante, non sempre gradevole.
Eppure è così che vanno le cose. Allo scrittore si chiede di più che non soltanto belle storie.
Un esempio è il blog personale: oramai è quasi obbligatorio averne uno, se si bazzica questo settore. E, di nuovo, non è detto che sia sempre un bene, ma è così!
Ormai si vive in un’era dove è possibile condividere ogni singolo pensiero, con il mondo, nel giro di pochi attimi. E’ chiaro che la gente si aspetti questo anche dai propri idoli, sia letterari che non, ma soprattutto dai primi visto che è nella loro “natura” di comunicatori, come Alex dice giustamente.
Il rinchiudersi, l’isolarsi, ormai è controproducente. Volenti o nolenti, i V.I.P. devono apparire “social” se vogliono che la gente li ascolti, legga, guardi. Anche perché così si rendono più umani, meno inavvicinabili e più ammirabili per quel che fanno e valgono.
@ Giobblin: io sto amando Adam Christopher, è una persona magnifica e sempre super disponibile, sia via tweet che mail 🙂
Valerio, visto che tu sei del settore puoi forse confermare che anche agli editori si chiede interazione?
Cosa che tra l’altro poche CE italiane fanno.
Vero, tutto vero. Ma ormai lo si chiede alle CE come lo si chiede a qualsivoglia “produttore” di beni, dal marchio di automobili al gestore telefonico, ovvio che un editore si spera sia più portato a scrivere e parlare di se. Ma come sempre in Italia la strada è lunga, negli States ormai molti customer service lavorano molto con twitter e fan page di facebook. Non sono più visti, giustamente, come corollari pubblicitari fini a se stessi, ma un modo per fidelizzare il cliente. Io ce la metto tutta per stare al passo 🙂
Ecco, hai detto tutto tu 🙂
I siti e le pagine FB di moltissimi editori italiani sono dei monoblocchi statici con zero possibilità d’interazione. Viva gli anni ’80! 😀
Confido molto nel potere dal basso 🙂 Speriamo di riuscire a portare un po’ di cambiamento.
Ho notato suloa base delle mie interviste che sono spesso gli scrittori stranieri ad essere sempre molto piú disponibili degli italiani (con le dovute eccezioni, naturalmente).
Quando scrivo chiedendogli se sono disponibili a rispondere a qualche domanda di solito non solo accettano subito,ma mi ringraziano .
Cioè LORO ringraziano ME sconosciuto blogger di un paese assolutamente minoritario in termini di vendite.
Poi anche lí ci sono sia quelli che mi rimandandano l’ intervista con le relative risposte il giorno stesso,sia quelli che – purtroppo- mi fanno aspettare settimane intere.
Però, vi assicuro che una volta preso l’ impegno la maggior parte lo onora senza nessun tipo di puzza sotto il naso o divismo.
Da non credere….:)
Sono belle cose. Abitando in Italia non do mai scontata la disponibilità e la gentilezza. Lo dico a tutte le persone “celebri” con cui mi capita d’interagire e che si dimostrano particolarmente cordiali.
Meno male che esistono!
Un esempio sciocco – io ho avuto per molti anni un serio problema a un ginocchio (no, no, aspetta, è on topic, credimi)…
Un giorno, sul blog di uno dei miei autori preferiti, l’autore cita come un certo regime di esercizi gli abbia risistemato un ginocchio malandato.
Io nei commenti gli scrivo che ho lo stesso problema, e che la sua soluzione pare interessante – ne parlerò al medico.
E lui mi risponde, e on-line, nei commenti del suo blog, mi delinea un regime di esercizi, suggerendo soluzioni e alternative, e spiegandomi a cosa fare attenzione, come gestire gli intoppi psicologici e quant’altro.
Pare follia.
Ma è poi solo un ulteriore motivo per idolatrare quel signore, al di là dei suoi ottimi romanzi.
Ed è un esempio – ci sono decine di autori (all’estero) che hanno una presenza web assolutamente aperta e molto poco artefatta.
D’altra parte, è ormai strategia di marketing consolidata anche da noi, quella di non vendere solo il libro, ma di vendere l’intera “esperienza”; il che include anche vendere l’autore come personaggio.
Poi, chiaro, ci sono quelli con l’immagine costruita a tavolino, e alimentata a base di ospitate in TV.
E ci sono quelli che hanno un blog, e che se ti fa male un ginocchio ti dicono loro come hanno fatto a farselo passare.
Qui da noi, temo, tira di più il modello televisivo…
A questo punto avrei anche la curiosità di sapere il nome dello scrittore che ti ha dato quei consigli 🙂
Detto ciò a me piace pensare allo scrittore 2.0 come a uno che sa di tutto un po’, senza tirartela. Uno che ti offre una visione ironica ma sincera delle cose, in virtù di buone doti d’osservazione (qualità che ritengo indispensabile per chi scrive).
Insomma, il radical chic che frequenta i salottini-bene non è il mio punto di riferimento.
M. J. Harrison, al momento forse la voce più raffinata nel campo del fantastico inglese.
E una gran persona.
Non è giusto, io voglio vivere del mio mistero misterioso, ammantarmi di ineffabile ineffabilità e passare per misantropo musone mentre percepisco royalties milionarie senza dover spiegare perché Tizio dice cosa e Caia fa quello che fa! Ah già, prima dovrei scrivere qualcosa da vendere.
Comunque, a parte gli scherzi (beh, mica tanto), questa cosa dell’autore disponibile non è male, anche se ha i suoi pro e i suoi contro, come il trollaggio e la persecuzione da parte di perfettini della fungia che fan perdere tempo, mentre dall’altra c’è un interessante scambio da ambo le parti. Come al solito, l’esito di una buona idea è in mano all’intelligenza di chi ne fa uso (il quale, se non se la porta da casa, non la riceverà certo dall’autore col cestino omaggio).
Il personaggio pubblico che diventa autore invece, forse sbaglio, ma io fatico a considerarlo scrittore. Per quelli ho una categoria apposita: VIPs che fanno auto-promozione imparando a scrivere (o facendosi scrivere) un libro alle spese del lettore. Poi magari viene anche fuori che uno è bravo, e allora passa di categoria, ma in generale li metterei sullo stesso scaffale con un bel cartello BEWARE: fake writers!
Peggio ancora l’autore che – magari va di moda e – diventa egomaniaco partendo con la crociata in del momento. Ecco, quello è l’istante in cui si trasforma in personaggio di pubblico intrattenimento, allora talk-show, ospitate, opinionista qua e là… magari politica? No, grazie.
Interagire col pubblico ha i pro e i contro che sottolinei tu. L’unico modo per evitarsi rodimenti di fegato è quello di adottare una moderazione cordiale ma ferrea. Troll e flame vanno bloccati, punto e basta.
Riguardo ai VIP che diventano scrittori non metto in dubbio che ce ne possa essere qualcuno di bravo (il romanzo dell’attrice Giorgia Wurth per esempio è molto carino), ma ovviamente nel 90% dei casi si tratta di robaccia, o di libri scritti da ghost writer. Non so qual è l’eventualità peggiore tra le due.
Condivido tutte le tue constatazioni su come è cambiato il rapporto tra scrittori e lettori.
Mi viene in mente un aspetto in più.
Ti è mai capitato di pensare, bazzicando soprattutto i blog di alcuni scrittori italiani, che alcuni post potrebbero essere stati scritti da terzi?
Una specie di ghost writers dei blog…
Ti dico così perchè su due o tre mi sono imbattuta in errori “strani”.
Per farti un esempio, come se tu scrivessi “… mi sono sentitA”…
Capisco l’errore di battitura…ma un errore così mi puzza un po’…
Ti è mai capitato?
Sì, mi è capitato 🙂
Così come spesso i loro account su Twitter o Facebook mi danno l’idea di essere gestiti da qualche galoppino delle case editrici. Il che è proprio triste, per dei comunicatori…
Se da un lato, questo costante contatto con il lettore crea un avvicinamento e contemporaneamente un doveroso bagno di umiltà che l’autore si ritrova a fare, confrontandosi faccia a faccia con chi ti legge (e quindi permette che tu possa continuare a esistere, editorialmente parlando) dall’altro, corriamo il rischio, assai pericoloso, specialmente in Italia, di creare un personaggio la cui presenza, il look, l’atteggiamento, creano un package estetico che sembra interessare più un discorso di marketing piuttosto che culturale, il che va a totale scapito di ciò che si scrive.
Mi rendo perfettamente conto che le mitizzate o vituperate “presentazioni” sono occasioni importantissime per la promozione e la vendita per proprio libercolo, io per primo non mi esimo anche se sottolineo sempre che alla fin fine è il libro che dovrebbe parlare per me e mi rendo sempre più conto che coltivare la propria attività, testimoniarla attraverso i social network è ormai un “must” al quale non ci si può praticamente sottrarre eppure… sento sempre il pericolo in agguato, quella puzza di bruciato che ti porta a sospettare e fare molta attenzione a come gestisci la cosa. Ho visto troppi casi di ottimi libri con autori all’apparenza anonimi che alle loro presentazioni ci si ritrovava in quattro gatti e eventi analoghi con autori ( o autrici) molto abili a giocare sulle loro figure con sale gremite. L’eterna lotta fra forma e sostanza…
E’ sempre un equilibrio complicatissimo da raggiungere.
Le presentazioni dal vivo sono poi un’arma a doppio taglio. Le facessi io avrei senz’altro più da perdere che da guadagnare 😛
For one, the person who is teaching you is a master of the language.
You can move to next challenge after that and can face other grammatical
problems. ESL students may need to take the TOEFL (Test
of English as a Foreign Language), to show colleges that they
have the English skills they need to keep up with their professors.