Ho ammazzato il guru

Uno degli argomenti ricorrenti su questo blog è la disamina della figura dello scrittore nei tempi dell’iperconnessione.
Nell’epoca in cui ciascuno di noi ha la necessità di rivendicare la sua esistenza su molteplici social network, lo scrittore, in quanto comunicatore, può limitarsi a pubblicare le sue storie, sperando di essere apprezzato unicamente per quelle?
Questa è la domanda che mi sono posto – e che vi ho posto – più di una volta.
Uno degli articoli che spesso mi capita di riproporre è questo, risalente al 2012, ma ancora attualissimo.
Di tempo ne è passato parecchio, tuttavia la situazione è più o meno la medesima: uno scrittore che rifiuta il ruolo di comunicatore a 360° fatica parecchio a ottenere una visibilità degna di questo nome.
Il che va a discapito della meritocrazia: sempre più spesso vendono quegli autori con un carattere tale da spingerli a essere dei paraculi sui social, ma che magari non hanno poi tutto questo talento o fantasia, in ciò che scrivono in quanto autori.

Ogni giorno mi capita di leggere tweet e status di colleghi scrittori che dissertano su ogni cosa: dall’ultima puntata de L’Isola dei Famosi alla notizia di cronaca del momento, dal rigore regalato alla Juventus al gattino che “ha commosso il web” facendo le fusa alla vecchietta moribonda in ospedale.
Ci sono due modi in cui uno scrittore affronta questi argomenti e io – così come chiunque sia un minimo esperto di comunicazione digitale – so riconoscerli senza margine di errore:

  • Modo naturale
  • Modalità guru

Il modo naturale si spiega da sé: lo scrittore parla di questi argomenti in quanto privato cittadino e non in qualità di autore. Lo stesso ragionamento vale per altre categorie: esistono cantanti e attori che parlano di una gran quantità di tematiche perché amano stare sui social, e non per coltivare la loro immagine.

Viceversa la modalità guru serve proprio per questioni di immagine, di esposizione, di visibilità.
Lo scrittore (o cantante, attore, sportivo) che vuole essere sicuro di raggiungere un ampio bacino di utenze si prende la libertà di scegliere gli argomenti più di discussi della giornata (esempio: i trending topic su Twitter). Lo fa perché sa che verrà commentato e “condiviso”. Poi, diciamo in media una volta ogni dieci tweet o status di facezie varie, ci infila un link a qualche suo lavoro, o al suo blog, alla sua pagina autore su Amazon, etc etc.

Diciamo subito che la modalità guru non è nulla di illecito o di truffaldino. Trattasi soltanto di un metodo suggerito dai guru per allargare il proprio bacino utenti.
Ne ho fatto uso anch’io, di tanto in tanto, anche se mai seguendo un vero e proprio piano di assalto ai social network. No, non sto vantando una particolare moralità, bensì ammetto la mia scarsa pazienza nel discutere di argomenti poco interessanti, solo per coinvolgere persone che ipoteticamente potrebbero acquistare un mio libro.

I rischi della modalità guru sono essenzialmente tre:

  • Rendersi ridicoli (tipo gli opinionisti di programmi come Buona Domenica, che discutono di ogni cosa con una sicumera insopportabile, ma che alla fine vendono soprattutto se stessi).
  • Annullare ogni minima distanza col lettore (che quindi si sentirà autorizzato a trattare l’autore-tuttologo come se fosse il suo migliore amico, spesso in modo invadente e maleducato).
  • Venire assediati da richieste di aiuto di ogni natura (articoli gratuiti per webzine e blog, consigli tecnici per l’impaginazione e la pubblicazione di ebook, richieste di recensioni “benevole” etc etc).

Qualcuno riterrà tali rischi ragionevoli, se il guadagno ottenuto è un vero, effettivo allargamento del proprio potenziale pubblico. Tutto dipende dal carattere di ciascuno di noi.
Ebbene, io sono in quel momento della mia “carriera” da autore in cui non ho alcuna voglia di atteggiarmi a tuttologo, né di interagire con sconosciuti a cui non interessa quello che scrivo, bensì i possibili favori che potrebbero ottenere da me.
Per questo da settimane utilizzo poco Facebook, vado sui social per parlare solo di cose inerenti al mio lavoro (come autore e come blogger) ed evito di rispondere al 99% dei messaggi privati.
Una scelta un po’ estrema, lo so, ma sono sereno, quindi per ora va bene così.

Il mio atteggiamento da autore indie bisognoso di fare pubblicità a ciò che pubblico non si discosta molto da quanto ho scritto nel saggio Come pubblicare su Amazon e sopravvivere agli stronzi: I ronin del self publishing. Finora ho ottenuto dei risultati soddisfacenti e, soprattutto, continuo a guardarmi allo specchio senza provare una sensazione di nausea.
Scusate se è poco.


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4 commenti

  1. Sulla questione della distanza tra autore e lettore, io sto cominciando a convincermi sempre più che per nove lettori su dieci la questione non è leggere le storie, la questione è poter interagire con un “personaggio”.
    Non sono pochi i lettori che assediano autori popolari ma della loro produzione hanno visto si e no un quinto – non gli interessa più leggere, gli interessa avere a che fare, relazionarsi, interagire con “quello là che scrive i libri”.
    Il che spesso significa che autori “popolari”, con un sacco di fan, alla fine vendono poche copie.
    E anche, naturalmente, che se non sei il personaggio che il pubblico si aspetta, ne avrai una reazione negativa, che potrebbe danneggiarti. Si potrebbero creare degli aniti-fan, gente che ti segue solo per vederti fallire.
    È una situazione complicata.

    1. Sì, esatto, è proprio quello che intendevo io.
      Vendono il personaggio e solo occasionalmente ciò che scrive.
      L’annullamento delle distanze e la scarsa capacità del pubblico di apprezzare un’opera a prescindere della personalità di chi l’ha scritta (o composta, girata, disegnata etc) non fanno altro che aumentare questo trend.
      Che, sinceramente, trovo alquanto avvilente.

  2. È interessante questo discorso. Ammetto di aver apprezzato alle volte prima lo scrittore per la sua personalità (almeno quella pubblica) e le sue opinioni e poi per quello che ha scritto (Davide Mana e Uriel Fanelli). In alcuni casi è successo il contrario, ossia ho scoperto che lo scrittore aveva blog e presenza online solo dopo aver letto alcuni libri (Alessandro Girola). In altri, non mi interessa e non ho quindi ancora controllato se esiste una presenza online dietro allo scrittore che invece mi appassiona (con alti e bassi) per ciò che scrive. (James Rollins, Warren Faye, fra i recenti).

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