Credi negli incubi che scrivi

alice

Da tempo affermo che la mia è una scrittura d’intrattenimento.
Rivendico questo diritto e lo faccio mio. Mentre là fuori i guru della letteratura continuano a dirci che i loro racconti ridefiniscono il genere, alzano l’asticella, disturbano, shockano (etc etc), io ribadisco che voglio soprattutto intrattenere il lettore. Voglio portarlo su una giostra dal fantastico, col numero di giri che dico io, nel modo che voglio io, e farlo divertire. Ho almeno ci provo.
Un po’ come al luna park.
Non ridefinisco una mazza, non uso comunicati stampa roboanti, che a volte sembrano usciti da un manifesto dello Juche, non pretendo di innalzarmi sopra colleghi o sodali.
Detto ciò, mi viene naturale fare qualche riflessione, dopo anni di scrittura, e dopo aver pubblicato una dozzina di ebook a titolo professionale (piaccia o meno ai detrattori, è così), regolarmente comprati e apprezzati da molti lettori.
La domanda è inquietante, anche se a molti parrà soltanto stupida, però io la faccio lo stesso: credo negli incubi che scrivo?

La mia produzione è divisa su due macrobinari: la fantascienza ucronica/steampunk e l’horror. Sono più prolifico in questo secondo genere, perché gli spunti da sviluppare sono più numerosi, soprattutto sulla lunghezza medio-breve (novelette e racconti).
Il mio horror, tra l’altro, è sempre di genere fantastico. Niente storie di serial killer, di abusi domestici, di real life. Ma tra questo “fantastico”, qualcosa di verosimile filtra, quantomeno nella mia mente.

Credo nell’esistenza di gruppi occulti di potere, che possono occasionalmente utilizzare metodi e linguaggi esoterici, per consolidare la loro influenza.

Credo nella megalopolismanzia, citata da Fritz Leiber in uno dei suoi capolavori. Credo che anche Milano, come altre città, sia una città viva e malata, che genera incubi e mostri.

Credo che la fortuna di certe grande famiglie di industriali nasconda segreti inconfessabili, con la collaborazione omertosa di chi, grazie a questa gente, ha campato felice per anni.

Credo che nei mari esistano più misteri che in ogni altro luogo del pianeta, e che questi misteri non portino mai notizie felici, per chi la la sfortuna di ficcarci il naso.

Credo che certi movimenti politici, ciarlando di concetti astratti quali la “democrazia diretta”, siano virtualmente pericolosi quanto certe ombre del passato, che insanguinarono il nostro ‘900, in nome di presunte rivoluzioni.

Credo che esistano diversi remoti angoli, nascosti da quella che noi chiamiamo civiltà, in cui leggi più antiche di quelle moderne impongono la loro forza su cose e persone.

Sono dunque un credulone, un complottista, un invasato?
Non mi definisco tale, proprio per niente. Anzi, spero di non risultare così, a occhi esterni.
Parlare in un linguaggio metaforico serve tuttavia a esplicitare certi concetti che, espressi in altra maniera, risulterebbero sciocchi o troppo tendenziosi.
Non farsi latore di alcun messaggio non vuol dire non avere dei concetti da esprimere.
Uno scrittore del fantastico non deve (non dovrebbe) fare proselitismo, ma può avanzare ipotesi, stuzzicare ragionamenti, far germogliare la curiosità.

Se anche solo uno di voi, cari lettori, leggendo un mio ebook si è poi lanciato su Google a cercare informazioni e concetti, incuriosito dalle mie parole, allora sì, posso dire di aver fatto un buon lavoro.
Senza ridefinire alcunché, anche in questo caso. Non credo ce se sia bisogno, quando sono le storie a parlare, e non le sinossi delle medesime.

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22 commenti

  1. Io credo che la mente umana sia molto di più di quello per cui abitualmente la usiamo. E credo che il mondo abbia molte più cose da raccontare di quelle che sono di dominio pubblico.
    Quindi si, credo anche io in quello in cui credi tu, e credo ai tuoi racconti.

  2. Mi piacerebbe molto scrivere qualche ebook, ed anzi direi che sono proprio intenzionato a farlo; tuttavia rispondendo al tuo quesito, penso più che altro che devi credere e aver paura degli incubi che scrivi, almeno fin quando li stai scrivendo… poi si vedrà 😉

  3. Secondo me, un buon scrittore dovrebbe “credere” negli incubi in cui scrive, perlomento quando li scrive.Meglio: a mio parere lo scrittore deve “immergersi” nel mondo che sta creando, perché il suo ruolo di subcreatore valga qualcosa.

    Detto questo, l’importante per me lettore è che lo scrittore “me lo faccia credere” mentre leggo, mi sommerga lentamente nelle acque limacciose e torride della sua storia, ed “emergere” a fine lettura nel mondo reale sia un po’ un “piccolo shock” che ti lascia per qualche attimo spaesato.

    Poi, per me lettore è indifferente che lo scrittore creda veramente ai cospirazionisti, ai gruppi di potere, ai coniglietti che domineranno il mondo o alla rivincita delle fatine. Quello che conta è che, durante la lettura, riesca a farlo credere a me 😉

    😛

  4. Avendo vissuto in prima persona vicende drammatiche , quando portavo una divisa , in Libano , Somalia , Kurdistan , africa equatoriale e altrove … , gli incubi li ho avuti per anni , posso solo ringraziare mia moglie che con pazienza mi ha sopportato , e talvolta lo fa ancora , quando mi svegliavo di notte gridando .
    Non li auguro a nessuno ma una parte di me , quella rimasta in qualche modo contaminata , e non mi illudo che non sia successo .. , applaude silenziosa.
    Leggo ciò che mi piace , horror e fantastico , mi piacevano trent’anni fa e mi piacciono ora , ma alcune volte li digerisco meglio , perché i veri incubi sono diversi , molto normali , molto istituzionali , molto ” era mio dovere farlo ” , ma sono quelli che non ti lasciano più, per sempre.
    Scusa lo sfogo , bel post !

    1. Il tuo commento è altrettanto bello.
      Non riesco a immaginare cosa vuol dire essere davvero in uno scenario di guerra. Di certo so che sono cose che non si dimenticano. Mai.
      Mio nonno a 82 anni ricordava ancora la campagna in Abissinia…

  5. Be’, come ben sai, uno dei miei libri di maggior successo è nato da un sogno. Per cui, sì, pure io credo nei sogni che faccio, scrivo, racconto… anche se a differenza di te, a volte sono più legati alla Real Life che al mondo del fantastico.

    E comunque la tua dichiarazione è degna di nota, perché mette in luce il background da cui nascono le tue storie, e lasciamelo dire: Non esiste storia ben scritta che sia nata da un autore che non crede in essa. E le tue son storie ben scritte! 😀

    1. Grazie mille Glauco!
      Inutile dire che condivido quanto dici. Se lo scrittore non crede a ciò che scrive (fosse solo anche per il periodo in cui si occupa di un determinato progetto) di certo parte con un handicap.

  6. anche a me spaventano i gruppi di potere occulti o meno, il problema è che chi se ne occupa spesso lo fa in maniera in maniera grossolana e paranoide, mettendoci dentro rettiiani e scie chimiche, haarp e quant’altro. Eppure senza volare troppo con la fantasia basterebbe unire i puntini tra fondazioni bancarie, parlamentari, ricche e influenti famiglie, religioni, etc., ma in fondo credo che ridurre la controinformazione in barzelletta o in sci-fi dozzinale in fondo faccia comodo a tanti

    1. Faccio dei distinguo. Un conto è occuparsene a livello di narrativa, anche in modo esagerato (come faccio io, con il famigerato “elemento fantastico”). Altro paio di maniche è fare documentari con un valore scientifico pari a zero. Sì, mi riferisco per esempio a Mistero.

  7. Assolutamente sì. Credo negli incubi che scrivo. Non è semplicemente il fatto di aver scritto un libro horror sulle Masche e credere alle Masche. Quella è la mia cultura. Credo al mondo che voglio raccontare, è il mondo che conosco e che vivo; che il mio occhio lo veda come scrivo, quella è una semplice ( si fa per dire) questione di interpretazione del reale e dei suoi piani di percezione.

  8. Un post scrittum per riallacciarmi alle esperienze di Dino. Anch’io sono stato per breve tempo in Africa, la massione ONU in Namibia, tre mesi prima che ritirassero i caschi blu. Un paio di scene me le sogno ancora adesso. Vero.

  9. É un buon spunto di riflessione. Io ultimamente mi sto impegnando su una novella mainstream che vorrei scrivere nel corso di quest’anno. Questa scelta del mainstream non è casuale, ma dettata dall’incapacità improvvisa di fantasticare o metaforizzare, sento la necessità di qualcosa di concreto…
    La cosa inquietante è che, contemporaneamente, sto perdendo la capacità di appassionarmi alle idee in se stesse… Come se, senza la fantasia dell’irrealtà, alla fine scompaia anche la creatività per scrivere storie connesse alla realtà… Forse sono stato un po’ contorto, non so se ho reso bene l’idea…

    1. Nel mio caso la realtà che ho attorno e fin troppo tangibile e squallida per ispirarmi la benché minima voglia di scriverci su qualcosa. Allora preferisco trasformarla in altro. Anche se sì, a volte è complicato farlo, soprattutto quando attraversiamo dei periodi no.

  10. Ariano, hai reso perferttamente l’idea. Alessandro parlava di intrattenimento, io userei anche il termine evasione. Evadere richiede pur sempre un buon piano, una buona idea. Forse è per quello che fatico ad apprezzare il mainstream. Molto difficile trovare buone idee.

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