Così anche a Milano è arrivato Eataly.
La società che si occupa di alimentazione made in Italy, fondata da Oscar Farinetti, ha fatto un giro molto largo, ma alla fine è approdata anche nella città in cui mi sembra collimare meglio col target aziendale.
Mi era capitato di visitare il punto vendita Eataly di Manhattan, sulla Quinta Strada. Un bell’impatto, in una città che adoro, ma che non fa della ristorazione il suo punto di forza. Quindi trovare del buon cibo – prevalentemente italiano e di qualità – nel cuore di NYC, è stato bello.
A Milano Eataly ha preso il posto del Teatro Smeraldo, in fondo a Corso Como, meta trendy di varie specie umani autoctone (e non). A vederlo da fuori sembra un misto tra un Apple Store e un outlet di moda. Entrando ci si trova invece in un’atmosfera a metà tra il centro commerciale e il villaggio vacanze. Tutti i dettagli sono curati, la varietà di merci in vendita è piuttosto ricca, i ristoranti interni sono di ottimo impatto visivo.
Eataly Milano ha aperto il 18 marzo e finora è un successo di pubblico con pochi precedenti, almeno in questo settore.
Sembra quasi che gli italiani (i milanesi) abbiano scoperto solo ora l’esistenza del cibo.
Di sicuro lo staff marketing del dottor Farinetti ha fatto un gran bel lavoro.
Vedere gli addetti che impastano la pane e la pasta dietro delle vetrine, pensate appositamente per il pubblico, è una trovata molto furba. Ottima per attrarre chi crede che certi alimenti crescono direttamente sugli scaffali, come per miracolo. Vi assicuro che ce ne sono, di persone così.
Anche gli interni, la disposizione degli alimenti e tutto il resto sono ideati per creare un colpo d’occhio a effetto. I prezzi non sono bassi, ma sicuramente il cliente medio è invogliato ad acquistare, passando davanti a tanto ben di Dio. E poi vuoi mettere, arrivare alla cassa e ricevere un sacchetto con il logo Eataly? Come se questo rendesse più buono il medesimo formaggio che avreste comprato nell’Esselunga di quartiere.
Ma nulla di male, per carità. Ogni cosa nuova che nasce nella mia città serve a riesumarne un poco il cadavere. E a me Eataly, come catena, sta senz’altro simpatica.
Però non riesco a smettere di riderci su: sembra davvero che i milanesi abbiano appreso solo ora dell’esistenza dell’industria alimentare.

Per contro, dieci giorni fa, a Barcellona, ho mangiato in una vecchissima trattoria di quartiere, senza alcun abbellimento estetico: tavolacci di legno, tovaglie di carta, muri spogli (a tratti sporchi), un bancone vetusto privo di orpelli acchiappa-turisti. Per un prezzo assai modesto io e la mia compagna abbiamo mangiato una paella buonissima, fatta davanti ai nostri occhi, con ingredienti comprati poco prima al mercato rionale posto dietro il ristorante.
Chissà quanto l’avrebbe fatta pagare Eataly, una paella così.
I gusti son gusti e non si discutono, eppure io di trattorie e osterie di questo genere ne conosco parecchie, qui in Lombardia. Luoghi in cui, specialmente a pranzo, ti puoi riempire la pancia spendendo sì e no dieci euro. Certo, magari ti tocca mangiare in un locale senza musica fighetta, senza etichette con un lettering perfetto, senza stampe d’arte alle pareti e senza vista su qualche quartiere “in” della città. Però, vuoi mettere la soddisfazione…
Che poi a me, pensando a Eataly, viene in mente la “mentalità da Feltrinelli”. Luogo in cui molti italiani sembrano accorgersi dell’esistenza dei libri.
E sì: mi capita di sentire dei discorsi davvero strambi, nei negozi Feltrinelli. Settimana scorsa ho origliato due trentenni, entrati per prendersi un caffè, che ironizzavano sul fatto che nessuno dei due aveva più comprato un libro dai tempi delle scuole superiori. La proposta del tizio che sembrava meno sveglio dei due era quindi quella di “acquistarne uno a caso“, per vedere se “leggere è così impossibile come mi ricordo“.
Ma vabbé, c’è anche chi in Feltrinelli compra, e pure parecchio. Certo: compra quello che vede, pescando dalle pile centrali di best seller del momento, o dai banchi delle novità, che sono tatticamente piazzati vicino alle casse, alle scale, e agli ascensori.
Potrei dire che sì, purché si legga, va bene anche utilizzare un solo referente per procurarsi i libri.

Esistono però alcune alternative, posti oramai più che altro virtuali (le vecchie librerie sono state quasi tutte fagocitate), che sono più o meno come le trattorie di cui vi parlavo. Meno belle a vedersi, meno pubblicizzate e situate in luoghi (o non-luoghi) che vanno cercati, perché è difficile finirci dentro per caso.
Passando di lì, il lettore curioso potrebbe trovare varietà di materiale, prezzi competitivi, un’atmosfera magari un po’ meno trendy, ma più ruspante, e del personale simpatico e competente.
Solo che oramai l’italiano frequenta posti, che siano per comprare cibo, libri o vestiti, con la mentalità da social network: più gente ci va, più gente attirano. Perché quello che fa la maggioranza deve essere per forza il top, giusto?
Una tendenza che, tra le altre cose, va contro i trend economici del resto dell’occidente, in cui va forte chi riesce a crearsi una sua piccola tribù, particolare e unica. Certo, magari rischiando un po’, ma almeno fingendo di essere vivi e liberi di scegliere.
Seth Godin docet.
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Concordo su tutta la linea e sono esattamente le motivazioni per cui non ho ancora messo piede nell’Eataly di Bari nonostante sia aperto da tempo. Personalmente la trovo una cosa che ci potevamo risparmiare ma visto il successo è un tipo di struttura evidentemente in linea con questa italia, un ipermercato della ristorazione ma a prezzi da boutique d’alta moda.
Che poi ripeto: Eataly è pensato e realizzato molto bene. Mi fa solo sorridere che, secondo alcuni, pare abbiano scoperto il buon cibo solo ora.
Frequento quando sono a Torino, la sede storica di Eataly. Devo dirti che in questo caso il contesto è davvero ben studiato, inserito in un vecchio edificio ben ristrutturato. Gli ambienti sono piccoli, molto ben curati, pare di essere in un vecchio mercato di Parigi. L’atmosfera è cordiale e di paese. A vedere le immagini di Milano sembra davvero un apple store!
Quello che dici sulle librerie è vero: la cara piccola libreria con il proprietario sempre intento a leggere un libro ( e che lasciava a malincuore per servirti), ricca di vecchie edizioni, di pochi bestseller e tanta piccola editoria, manca.
Eh, a Milano immagino volessero qualcosa di più trendy… Vai poi a sapere perché.
Comunque il posto è bello, forse è la massa di Milanesi in transumanza che lo frequenta, a perplimermi..
Se l’effetto è quello di Aber Crombie ( lo lascio volutamente scritto come mi viene, così i miei figli rideranno come sempre) me ne starò alla larga! Ci sono i verdurieri a petto nudo che si fanno fotografare?
La prima volta che sarò a Milano, vedrò di perplimermi anch’io, poi ti dirò.
Ciao
Eataly è studiato molto bene dal punto di vista del marketing, ma mi dava l’idea di essere pensata più per turisti o stranieri con voglia di cibo e prodotti italiani DOC, ma non avrei mai pensato che avrebbe potuto avere tutto questo successo.
Credevo che vendere cibo italiano agli italiani a prezzi maggiorati sarebbe stato come il classico frigorifero agli eschimesi. Chapeau a Farinetti
Sicuramente ogni aspetto dell’operazione Eataly è stato curato con grande attenzione.
Io sono stato all’inaugurazione la settimana scorsa, facendo piu fila che per entrare in Vaticano sotto Natale (neanche 5 minuti). Il posto è sicuramente bello, molto “d’impatto” e ben studiato e nonostante il caos si riusciva a girare quasi tranquillamente (mentre a quello di Roma un paio di anni fa, in piena estate, c’era da spararsi, pareva la Rinascente a Natale). Detto questo, ho mangiucchiato solo un trancio di pizza alla panetteria e due dolcini alla pasticceria. Squisito tutto e costavano poco. Ma solo quelli. Il resto aveva prezzi assolutamente folli (come già dal concorrente Eats in Duomo). Eppure tanta gente aveva il carrello pieno. La crisi ? mah. Sabato scorso ero in giro per Libracci sul Naviglio e ti assicuro che ogni singolo locale aveva la sua bella coda fuori e gente incazzata perchè non riusciva a trovare un posto senza aver prenotato…
Comunque ci son tanti posti dove mangiar bene e spendere poco, tutto sta a informarsi un po’ e a non farsi infinocchiare dalle mode (tipo le stroncature unanimi della pizza di Franco Pepe da Princi o del nuovo locale di Cracco)…
Mmm… facendo un po’ di psicologia spiccia, tendo a dire che il milanese non vuole perdere l’apparenza della bella vita, perciò locali etc vanno sempre abbastanza bene.
È anche vero che la crisi, pur innegabile, secondo me ha colpito soprattutto chi economicamente stava già in equilibrio precario.
Gli altri piuttosto si indebitano un po’, ma rinunciano a poco.
Io sono stato a quello di Bologna e passo tutti i giorni davanti a quello di Roma mentre vado e torno dall’ufficio. Devo dire che mi fa una pessima impressione.
La qualità del cibo è sicuramente buona, in alcuni casi ottima, ma il rapporto qualità/prezzo è veramente scadente.
E’ una catena che spero apra punti vendita in ogni città del mondo, ma in Italia è superflua. Tant’è che nel 90% dei casi il suo successo è legato a quanto va di moda più che alla qualità del cibo.
Sì, i prezzi sono piuttosto alti, anche su prodotti che trovi tranquillamente all’Esselunga, pagandoli 20-30% in meno.
Eataly è un interessante paradosso – una megastruttura corporativa messa in piedi da quelli che dicono che bisogna valorizzare le piccole realtà locali, un sistema idustriale standardizzato ISO gestito da quelli che non fanno che parlare di artigianato e semplicità, un grande magazzino che ammazza i ristorantini e le trattorie che dice di voler difendere, un franchise che si spaccia per bottega.
Sì, lo odio, Eataly.
Da Torinese ricordo come è nato, dai tempi di Slow Food e ARCI Gola, e ne ho visto l’evoluzione nefasta – lo considero buono, artigianale e sano come il Mulino Bianco, ma senza Banderas e la sua gallina.
L’artigianato massificato. In effetti è un bel paradosso.
Ripeto: ha senso all’estero, dove l’alimentazione italiana risulta davvero una chicca.
Qui da noi preferisco le trattorie.
“Dove con venti o trenta euro ogni sera puoi mangiare il cibo semplice ma dignitoso degli operai”, come disse il fondatore di Eataly… è anche questo atteggiamento elitario e neofeudale, che me li rende particolarmente odiosi.
In effetti è una dichiarazione abbastanza disgustosa.
io lavoro nell’agroalimentare coltivando trasformando e commerciando i cibi direttamente dalle realtà contadine facendo si che il prodotto sia ottimo io e il contadino guadagnamo di più e il cliente paga di meno.
come d’altronde per l’editoria l’italiano medio va per moda non avendo in genere una cultura letteraria , anche per il cibo spesso non ha una cultura alimentare corretta di saper differenziare veramente le cose buone dalle cattive e valutare il giusto prezzo quindi prendendosela in quel posto!
tanto di cappello all’imprenditore perchè ci ha rischiato ci ha investito ed è stato premiato ma questo affollamento di questo tipo di negozi dimostra la scarsa mediocrità dell’italiano medio.
Hai colto in pieno il parallelismo che faccio tra cibo e libri (in Italia).
Quasi gli piacesse mangiare l’immagine, il concetto figo, più che il cibo. Che strani gli esseri umani!
Preferisco di gran lunga i posticini un po’ nascosti, quelli anche un po’ trasandati, ma che ti fanno i piatti boni a pochi soldi (o a un prezzo giusto, senza dover pagare il marchio)!
Di certo piace più l’immagine, o il poter dire “sono stato a mangiare nel posto figo di cui parlano in tv”.
Fa niente se poi una birra te la fanno pagare otto euro…
Il fatto è che quando si tratta di cibo, l’immagine colpisce più della sostanza. È così da milioni di anni. Quindi un uso sapiente di luci e simili invoglia il cliente. Magari è utile per i turisti che mi chiedono dov’è la Torre di Pisa mentre sono in via Dante, soprattutto con ‘sto expo, non per chi è disincantato (io ho la nonna ex contadina, per esempio, quindi Eataly non arriverà mai in casa mia). So solo che in posti Feltrinelli/outlet muoio male, io. Per cui tendo ad evitarli sempre e preferire la piccola libreria o il negozietto.
Vero.
Senza contare che negli ultimi anni la cucina, il cibo, sono diventati glam. Basta guardare quante trasmissione televisive esistono, in materia alimentare…
Comunque Eataly a Milano c’era da qualche anno, mi sa che hanno aperto una sede nuova e più fashion. Io ci andai diversi anni fa, era nei piani sotterranei di una Benetton (o simili).
Sul discorso generale, mi sembra un po’ troppo severo. Uno può amare le trattorie e apprezzare la possibilità di vedere quante cose ci sono a Eataly – dove più che mangiare si compra, cosa che in trattoria non fai, e aspetto che mi sembra non consideri.
Anche solo per scoprire qualcosa di nuovo. Si, a volte si è pigri, ma non è semplice e forse fattibile essere “esperti di tutto”.
Ma in realtà non ho bocciato Eataly, se leggi bene. Semmai mi fa un po’ ridere l’afflusso abnorme di gente. Per vedere del cibo, ricordiamo sempre.
Che il milanese medio (e sospetto l’italiano medio) non sappia mangiare lo so da molto tempo; basta vedere le porcherie che si vendono in supermercati e discount e che a chi ha un minimo di occhio critico fanno voltare gli occhi (io sono valsassinese e ti garantisco che chi conosce un minimo il taleggio riconosce la porcheria a occhio, tipo il formaggio che si affloscia nei banchi frigo) e che vanno a ruba.
Mi viene il sospetto che molta gente mangi solo perchè è necessario mangiare e poi quello che ti cacci in bocca va sempre bene. E non parlo di questi tempi di crisi dove la gente cerca di risparmiare sulla spesa, questa tendenza esisteva già in tempi non sospetti.