Dove c’è wi-fi c’è casa

Wi-Fi

Nove giorni trascorsi oltreoceano mi hanno dato l’ennesima conferma del fatto che il concetto di “casa” è molto fluido.
Casa mia, per quei nove giorni, sono stati i due appartamenti presi in affitto, rispettivamente a San Francisco e New York. C’è voluto poco per entrare in sintonia con l’idea che quei posti, finora sconosciuti e alieni alla mia vita, mi avrebbero offerto rifugio, calore e affetto. Mi sono occorse sì e no un paio d’ore per metabolizzare queste sensazioni.
C’è voluto ancor meno tempo per comprendere che, anche lì, avrei potuto tranquillamente gestire buona parte dei miei lavori, sia quello “ufficiale” (gestione e analisi dati) che quello di blogger e autore. Appurata l’esistenza di una valida connessione wi-fi, avrei potuto darmi da fare anche per ore, probabilmente in condizioni ambientali più tranquille e produttive rispetto a quelle dalla mia residenza, qui in Italia.
Avrei potuto guadagnarmi il pane, gestire il blog e continuare a scrivere gli ebook che ho in lavorazione. Forse non avreste nemmeno notato la differenza, se non per il fuso orario di certi aggiornamenti di Facebook.

Questo episodio, non certo il primo che mi capita, non fa altro che confermare la mia idea su quanto la società sia diventata fluida, nomade e pronta a una vera rivoluzione in campo lavorativo.
Buona parte delle attività che un tempo richiedevano un ufficio, spesso molto distante dal luogo di residenza, potrebbero essere svolte comodamente da casa. Non tutte, ma un 80% sì.
Io, quantomeno, potrei farlo.
Potrei lavorare dal mio studio, senza sorbirmi il traffico, i mezzi pubblici strapieni, i costi di gestione dell’automobile, lo stress di spostamenti frettolosi che causano enormi perdite di tempo. Ammortizzerei anche le spese di gestione dei locali della società per cui lavoro, a cui probabilmente basterebbero un paio di uffici di rappresentanza, da usare solo nelle occasioni in cui è strettamente necessario la presenza di persone fisiche.

Telelavoro

A maggior ragione, le attività di blogger e scrittore non necessitano di particolari spazi fisici.
Un luogo tranquillo, connesso e sereno bastano e avanzano. Inoltre, limitando gli spostamenti derivati dall’attività principale (ricordo a tutti che in Italia “scrivere non è un vero lavoro, perché lo fai come passione“), si guadagnerebbero molte ore da dedicare alle “attività creative” (che qualcuno ritiene – appunto – soltanto ricreative).

Ci sono poi delle questioni strettamente soggettive che mi fanno intendere il concetto di casa in maniera assai diversa dai miei avi.
Casa non è un posto di cui vantarsi per l’ampiezza di metrature o per la bellezza del giardino. Non se tutto ciò ha il prezzo di mutui trentennali in cui rimanere intrappolati praticamente a vita.
Casa non è un posto da servire, bensì un luogo, magari anche molto piccolo, in cui sentirsi protetti e amati.
Casa non è un obiettivo finale della vita di un essere umano, bensì un concetto transitorio o quantomeno fluido (come ho detto a inizio articolo).

Ok, nell'home working ci sono anche alcuni rischi :)
Ok, nell’home working ci sono anche alcuni rischi 🙂

Spero di non leggere i soliti commenti demagogici del tipo “pensa ai poveretti che non possono comprarsi casa!
Va da sé che il mio è un discorso più ampio, che non intende offendere nessuno.

Un’amica mi dice sempre che noi scrittori abbiamo la mente troppo svagata e poco concentrata sui problemi e sulle questioni concrete.
Probabilmente ha ragione. Io tendo a usare la mia immaginazione – l’unica cosa buona che ho – in tutti i campi, e non solo per scrivere racconti del fantastico. Sicché mi piace pensare a come potrebbe essere un mondo diverso, partendo dalla quotidianità, da un concetto nuovo di società, che sarebbe poi realizzabile nel giro di una decade o due, se solo venissero accantonati certi preconcetti oramai più che obsoleti.
Ma il problema in fondo è sempre lo stesso: la risposta standard che viene data – quantomeno in Italia – a ogni idea lontana dall’ortodossia.
Tale risposta suona più o meno così: “Qui non potrebbe mai funzionare“.
Oramai ci credo anch’io.

A volte anche la casa non è strettamente necessaria...
A volte anche la casa non è strettamente necessaria…

– – –

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15 commenti

  1. Intanto una tirata d’orecchie virtuale: Te ne vai in vcacanza e pensi a lavorare??? 🙂

    Detto questo, io sono “casadipendente”.
    Vivo in affitto, non cerco chissà che lussi in una casa, ma ho costante bisogno di un luogo dove rinchiudermi e lasciare fuori il resto del mondo.

  2. Mah, nella mia realtà il lavoro è sempre e solo associato a un luogo dove devi presentarti ed essere controllato, caso mai ti venisse voglia di dormire. Magari, anche se hai concluso tutto in 4 ore, devi rimanere alla scrivania comunque altre quattro, a fare niente – ma pur sempre presente come un bravo soldatino. E’ un concetto arcaico ma purtroppo è ciò che ancora vedo. Cambierà, ma non credo che la svolta sia dietro l’angolo.

  3. Sì, credo sia soprattutto una questione di routine e di abitudini.
    Sul concetto di “ritmi naturali” sono invece molto dubbioso. Cos’è naturale, e cosa no?

    1. Non mi sono spiegato: come dicevi tu qui da noi la questione del controllo è ancora molto sentita. Il mio accenno al mettersi a dormire era sarcastico. Il senso è che se anche svolgi il tuo lavoro in un tempo inferiore allo stimato devi cmq rimanere al tuo posto per tutte le ore previste. Cosa poco sensata. Senza contare che ridurre una sede significherebbe abbattere tante spese. Ma oggi – almeno stando a quel che vedo io – questi discorsi sono guardati con sospetto, come se tu in realtà intendessi solo fottere la tua azienda.

  4. Anche io potrei lavorare da casa, per l’attività che svolgo. L’unica controindicazione la vedo per quei compiti che sono più facilmente risolvibili con la compresenza, senza scordare che uno stile di vita meno sano è dietro l’angolo (anche se a casa mangerei meglio). Il principale ostacolo è il controllo, soprattutto se l’interesse ai risultati è tale solo a parole e interessa solo che ti chiuda otto ore o più a far finta di produrre qualcosa (c’è chi è molto bravo in questo).

    1. In realtà nella mia unica esperienza di lavoro prevalentemente a casa (part time) ho avuto tempo per dedicarmi all’attività fisica, cosa che non mi riesce col lavoro d’ufficio.
      Quindi, se potessi gestire il mio tempo, forse riuscirei a mantenere uno stile di vita sano. Certo, occorre un poco di predisposizione mentale.

  5. Io ci sto pensando da un po’: a me basta carta, scanner e wifi per lavorare, potrei tecnicamente farlo ovunque e nemmeno sempre nello stesso posto. Se le cose vanno benino a fine di quest’anno potrei permettermi anche io una vacanzalavoro *^*

  6. Io a tutti gli effetti lavoro da casa – da un posto dimenticato da dio, con una connessione internet aggiornata allo standard di vent’anni fa, ma da casa.
    Funziona.
    Non comporta particolari complicazioni.
    Io lavoro da casa perché al momento il mio lavoro (che richiederebbe un laboratorio e/o un’aula) si è estinto, ed ho trasformato gli hobby in lavori.
    E davvero, visto che ormai gran parte della mia scrittura è orientata al mercato anglofono, lavorare altrove mi aiuterebbe col fuso orario, come facevi notare tu uno dei fattori distintivi del luogo in cui ci si trova.
    A tutti gli effetti, potrei trasferire la mia attività altrove anche domattina, e non cambierebbe nulla – salvo forse che a Katmandù la vita sociale sarebbe più intensa, il costo della vita più basso e la connessione al web più veloce e stabile.
    E davvero, ci sto pensando.

  7. Anche io lavoro da casa e funziona, sia quando sono in Italia, che altrove…
    Funziona benissimo ma con delle controindicazioni:
    – quanto descritto nelle vignette avviene davvero 🙂
    – rischi di lavorare più del dovuto e di non separare più vita privata da lavoro
    – perdi un po’ di presa sociale; quando lavoravo in ufficio c’erano i colleghi con cui ridere, cazzeggiare e andare a prendere caffè chilometrici; da casa sei sempre solo, con l’illusione di parlare con la gente via social media.

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