Negli ultimi giorni si è fatto un gran parlare di questo libro, tanto che sono stato quasi obbligato a leggerlo.
La Stanza Profonda, di Vanni Santoni (Laterza editore) parla di giochi di ruolo. Anzi, per essere più precisi parla dell’epoca d’oro dei giochi di ruolo in Italia, ovvero quel ventennio (scarso) che va dalla seconda metà degli anni ’80 ai primi anni 2000.
Ho letto pareri opposti sul romanzo di Santoni (perché di romanzo si tratta, anche se è scritto come se fosse un’autobiografia). Il mondo degli appassionati si è diviso tra chi l’ha trovato un affresco piuttosto realistico del movimento GDR italiano, e chi lo definisce come uno specchio deformante del medesimo.
Io partirei con qualche dato oggettivo, per poi passare a una valutazione personale.
I dati oggettivi:
- Santoni conosce l’argomento, quantomeno a livello tecnico. I giochi vengono citati con una certa precisione, sia riguardo i loro regolamenti, che i moduli che ne fanno parte, sia ai modi in cui era possibili reperirli qui in Italia, alla periferia dell’Occidente. Emblematico il caso delle scatole Master e Immortal di Dungeons & Dragons, che da noi arrivavano solo in fotocopia. Ma questo è solo un esempio: anche i casi del gioco di carte Magic e di altri GDR sono esaminati con dovizia di particolari.
- L’autore è cronologicamente accurato nel ricostruire la diffusione, l’affermazione e il declino dei GDR in Italia. Al pari, Santone cita con altrettanta accuratezza il progressivo successo dei videogiochi di roleplaying, che contribuirono in parte a ridurre i giocatori di ruolo di vecchia generazione.
- Infine Santoni è credibile nel ricostruire (senza però gli adeguati approfondimenti) la substruttura sociale dei ragazzi di quegli anni lontani, in cui un’attività “aliena” come il gioco di ruolo veniva vista con diffidenza, perché esulava dal ciclo vitale accettabile: studio –> sport –> lavoro. I primi roleplayers erano anomalie, in primis per i loro coetanei, che non comprendevano le dinamiche e l’utilità di quel riunirsi a un tavolo a lanciare dadi. Tutto ciò portava, almeno all’inizio, a una certa ghettizzazione, che per fortuna non è stata però eterna.
Una specie di recensione
A me il libro La Stanza Profonda è piaciuto abbastanza, pur avendo dei difetti che non lo fanno andare oltre un ipotetico voto di 6 su 10.
Inizio col dire che lo stile dell’autore è poco affine ai miei gusti, con le frase lunghissime e spesso contorte, di cui fa uso abbondante. Non si può però dire che sia scritto male, quanto piuttosto che abbia una struttura molto particolare, di quelle non lasciano spazio a giudizi intermedi: o piace o non piace. E a me il suo stile non è piaciuto.
Il contenuto, invece, rappresenta una questione spinosa da affrontare.
I giocatori descritti da Santoni sono essenzialmente dei losers, spesso dei veri casi umani, se non addirittura dei derelitti, con grandi difficoltà a rapportarsi col sesso opposto, con la società, col mondo degli adulti.
Lo stesso protagonista, colpito da un caso acuto di “sindrome del master”, riesce a sentirsi se stesso solo quando crea campagne di gioco, studia nuovi regolamenti, assembla gruppi di role playing.
Ma il mondo dei giocatori di ruolo era davvero così?
Posso rispondere soltanto tramite la mia esperienza personale: era così, ma soltanto in parte.
Sono stato master e giocatore per circa vent’anni e giudico questa lunga esperienza di vita con estrema positività.
Ne ho già parlato altre volte e non posso far altro che ribadire che i GDR mi hanno insegnato molte cose: cultura generale, capacità di scrivere e di narrare, la lingua inglese (la maggior parte dei manuali erano proprio in inglese), abilità di organizzare un lavoro su piani molteplici (chi, come me, ha progettato interi mondi o lunghe campagne di gioco, sa cosa voglio dire).
Ho conosciuto anche validi compagni di strada, con cui sono letteralmente cresciuto, trascorrendo delle giornate indimenticabili.
Non posso però negare di aver incrociato anche giocatori monomaniaci, sociopatici, nerd all’ultimo stadio, persone che ancora oggi, a quarant’anni, vivono più in mondi immaginari che non in quello reale, e che quindi hanno difficoltà a recarsi in un ufficio postale, da un meccanico, o a salutare una donna.
Quindi sì: i casi umani elencati da Vannoni fanno parte anche della mia esperienza da “ruolista”, anche se non rappresentano la maggioranza dei giocatori con cui ho avuto a che fare.
Per fortuna non ho mai conosciuto casi davvero estremi, come per esempio ragazzi che si sono suicidati per i GDR, o cose simili.
La Stanza Profonda si è comunque rivelata una lettura interessante, purtroppo rovinata dal prezzo vergognoso dell’ebook (vi consiglio, a questo punto, l’acquisto del cartaceo), che non ha la pretesa di essere sociologica o demagogica.
Consigliato a chi, tra i 30 e i 50 anni, è cresciuto a dadi, schede del personaggio e carte di Magic.
Sai, ogni volta che scendevo nella stanza era davvero come trasfigurarmi. Non era tanto il mettermi nei panni di una strega o di un assassino, no. Né l’evasione. Era il fatto che qua sotto il codice custodito nei manuali e nelle schede diventava mondo. Proprio come la realtà al cospetto di chi la osserva.
Il resto, la tattica, la strategia, pure l’interpretazione, erano il contorno. Qui si creava. Si può essere certi che le cose immaginarie abbiano meno peso di quelle reali?Una piccola città di provincia, un garage. Un gruppo di ragazzi che ogni martedì si incontra per giocare di ruolo. Per vent’anni, mentre fuori la vita va avanti, il mondo cambia, la provincia perde di senso e scopo. Desiderio di fuga o forma di resistenza? Quel continuo tessere mondi prende i contorni dell’opposizione a una forza centripeta che, come il ‘Nulla’ della Storia infinita, divora il fuori, vaporizza la città, il paese, le relazioni, le vite.
Un romanzo ibrido, tra il memoir e l’affresco sociale, per raccontare la storia di un passatempo nato esso stesso in un garage e arrivato a gettare le basi non solo di un immaginario divenuto egemone ma anche di una parte consistente della realtà che viviamo ogni giorno semplicemente usando Internet. (Dalla quarta di copertina)
La Stanza Profonda, disponibile su Amazon in cartaceo o digitale.
Articolo di Alex Girola: https://twitter.com/AlexGirola
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Io ci ho pensato su parecchio, a questa questione dei casi umani, perché anch’io sono un giocatore di lunga data, e del gioco di ruolo alla fine ho fatto un lavoro.
E leggendo la tua frase “monomaniaci, sociopatici, nerd all’ultimo stadio, persone che ancora oggi, a quarant’anni, vivono più in mondi immaginari che non in quello reale”, mi è venuto da chiedermi… ma non ne abbiamo incontrati altrettranti sul mondo del lavoro, all’università, al bar a parlare di sport e di donne che non hanno mai avvicinato… nel campo stesso del blogging, e della scrittura, e per dire, nela vita di tutti i giorni?
Perché io conosco gente che conosce a memoria ilsistema di avanzamento di D&D, ma anche gente che sa a memoria tutte le formazioni del campionato di serie A del 1976 – perché ilprimo è unnerd sfigato e il secondo è “uno sportivo”?
[nota: faccio l’esempio del calcio ma potrei usare cinema, storia, profilati metallici o mobili dell’IKEA]
Io farei delle differenziazioni.
Di monomaniaci ne ho conosciuti in più ambiti, come dici tu.
Nello sport (calcio, soprattutto), tendono a essere aggressivi, l’archetipo dell’hooligan, per capirci.
All’università (per seguire il tuo esempio), ho visto molti casi umani, ma in linea di massima si trattava di cazzeggioni all’ultimo stadio, senza alcuna voglia di crescere, e per questo dedicati completamente ai rituali aperitivi-feste-donne (quest’ultime più immaginate che reali).
I casi umani da bar sono a loro volta più aggressivi che altro. Di solito sono iscritti al massimo a gruppi tipo caccia/pesca, e spesso queste attività sono il massimo delle loro occupazioni extralavorative.
I casi umani da GDR che ho conosciuto io si distinguevano per un’intelligenza potenziale superiore alla media, ma anche per una serie di problematiche (in famiglia, caratteriali etc) che li spingevano a essere ossessivi nel gioco per… mah, una ricerca di un mix tra evasione e regole che dessero senso alla loro vita.
Comunque, voglio ribadirlo, si tratta di una percentuale piccola dei tanti giocatori che ho conosciuto.
Infine, sempre seguendo il tuo discorso, non posso far altro che confermare che i giocatori erano senz’altro visti peggio rispetto ad altri casi umani. Lo sportivo è più accettabile, idem per chi parla solo di figa, o per l’eterno fuoricorso.
Come dicevo nell’articolo, i GDR erano percepiti come qualcosa di alieno alle attività più comprensibili dalla plebe.
Ma, se ti consola, qui da me erano visti come alieni anche quelli che si occupavano di teatro o di poesia.
Interessante 👍
a me i personaggi della Stanza Profonda sono sembrati molto realistici e MENO sociopatici di me stesso e del mio gruppo di giocatori 🙂