È un periodo in cui diverse cose vanno storte, quindi sono più irritabile del solito. Metteteci anche che sto per invecchiare, il che contribuisce ad aumentare il mio nervosismo.
Oggi voglio dunque violare una delle mie regole da blogger (“non fare più alcuna polemica legata al settore della scrittura/editoria”) per prendermela con una precisa categoria di scrittori: i finti minimalisti.
Li distinguete perché pubblicano spesso degli status del genere:
A me non piacciono le chiacchiere dei miei colleghi, i litigi, il mettersi in mostra. Non mi piace chi cerca di imporsi come autore, di creare un brand pseudo-imprenditoriale. La scrittura è una cosa solitaria e intima, d’ora in poi quindi non parteciperò più a discussioni del genere.
Il che, tutto sommato, ci potrebbe anche stare, se non fosse che questi finti minimalisti ripetono la cosa tre, quattro volte a settimana, per mesi.
È evidente (o almeno lo è ai miei occhi) la ricerca di consensi e di plausi da parte dei propri lettori. Plausi che, in effetti, arrivano.
Arrivano perché tutto sommato va di moda prendersela con chi cerca di lavorare sui/coi social – scrittori compresi.
I social network vengono visti sempre più spesso come fonte di tutti i mali, come colpevoli di aver creato molti mostri mediatici, ovvero dei perfetti sconosciuti che si credono star del web dopo aver ricevuto una manciata di like.
Tale colpa esiste ed è reale. Questo non lo nego. Viceversa sono tra i primi a notare la cosa e a condannarla. Molti YouTuber, per esempio, andrebbero messi al muro e fucilati come nemici del popolo. Anche tra gli scrittori ci sono un sacco di imbecilli che spacciano migliaia di copie vendute, che comprano followers su Twitter e per la pagina autore su Facebook. Gente inutile che merita la gogna, non c’è dubbio.
Però il finto minimalista sa bene che gli autori che lavorano per costruirsi una reputazione, per rafforzare il loro brand, non sono tutti quanti degli inutili chiacchieroni pieni di sé. Semplicemente gli fa comodo fingere (e dire) che sia così, per rimarcare quanto lui è diverso, quanto rifugge le luci della ribalta e le orribili dinamiche dell’editoria moderna.
Questo comportamento, oltre a essere mentalmente disonesto, va contro la concezione della scrittura in qualità di lavoro.
Il finto minimalista si appella alla “passione” e quindi annuncia urbi et orbi di essere pronto a rifugiarsi in una baita di montagna per scrivere a racconti senza che il mondo lo sappia.
Tralasciamo per un momento l’ipocrisia che spesso implicano (ma non sempre) tali dichiarazioni e concentriamoci sul lato pratico delle cose.
Il tuo lavoro è scrivere? Con la scrittura paghi le bollette? La tua passione si coniuga con una giusta retribuzione?
Se la risposta a queste tre domande è sì, sai anche che utilizzare i social per promuovere il tuo lavoro è indispensabile, sia che tu sia un autore indie, o un autore pubblicato con una casa editrice tradizionale.
Lo stesso discorso vale per il famigerato brand personale. Che male c’è a promuovere in modo onesto, costruttivo e magari anche divertente la propria attività? Nessuno, se uno vuole farlo. Anzi: è indispensabile farlo bene, proprio per spiccare nel grande oceano di chi si spara le pose, di chi finge di essere chi non è etc etc.
Brand non è una parolaccia, come non solo sono “social network” e “social media”.
Chi lancia strali DA Facebook CONTRO Facebook è un imbecille, non un saggio.
Chi ritiene che la scrittura debba PER FORZA essere solo passione, perché commerciandola la si “violenta”, è un ipocrita, oppure una persona col culo parato a sufficienza per campare con altre attività, fingendo di fare lo scrittore come il più classico idiota bohémien di un paio di secoli fa.
Per contro – e concludo – esistono anche dei veri minimalisti.
Io ne conosco parecchi: scrittori professionisti che non amano (per indole o per scelta personale) parlare di scrittura sui social, né coltivare/promuovere la loro immagine pubblica. Di solito delegano tutto ciò ad altri professionisti, e di certo non passano il loro tempo a scrivere su Facebook quanto siano idioti i colleghi che si comportano diversamente.

Articolo di Alex Girola: https://twitter.com/AlexGirola
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Che poi, scrivere certi status come quello che hai usato come esempio, è veramente un tristissimo modo di attirare l’attenzione. Farsi pubblicità, solo in modo falso. Arriveranno pure i consensi dei (finti) like e commenti, ma tanto poi, alla fin fine, rimangono degli autori che non ce la fanno. Ma che si sparano le pose. 🙂
Esatto. Sono solo attention whore che si attribuiscono un’inesistente profondità etica, perché non si mischiano con la presunta plebe.
Sentenze da vanitosi che mi ricordano quelle sulla contrapposizione immaginaria tra e-book e cartaceo, roba per fare derby tra tifosi da tastiera ma sostanzialmente inutili (al netto di riflessioni articolate che persone più preparate sono in grado di fare). Quando il problema non è la qualità dei testi ma il mezzo che utilizzi per fruirne oppure quando o dove li crei o come li promuovi credo che siamo in presenza di qualcuno che ha ben poco da dire e quindi sposta il focus.
Esatto, sono questioni di lana caprina, polemiche per la visibilità, senza nessun rimando alla qualità, che invece dovrebbe essere l’argomento principe di scrittori e altri creativi.
Si passa da una critica ai litigi e al mettersi in mostra e ‘imporsi’ in discussioni “del genere” (che non conosciamo qui) alla tua risposta un po’ piccata sul fatto che sia indispensabile esistere sui social per vivere di scrittura.
Esistere sui social non coincide con litigare sui social. State parlando di due cose diverse?
Sono assolutamente d’accordo con te (anche perché è tuo il parere esperto), ma immagino che la tua risposta riguardi una polemica molto più ampia di quello che compare qui, altrimenti non ci sarebbe questa distanza di temi tra la presunta critica del ‘finto minimalista’ e la tua risposta veemente.
Molto più semplicemente, diffido dal dare fiducia e credito a chi vuole ergersi sopra la plebe, prendendone apparentemente le distanze, ma continuando a rimarcare il fatto sui social (o più in generale sul Web). L’autoincoronarsi in qualità di “persona migliore” è spesso solo una vanagloria. Chi vuole sparire o tenere un profilo molto basso lo fa, senza rimarcarlo per giorni e giorni, risultando così più presenzialista dei veri presenzialisti.
Sicuramente fa lo stesso lavoro che fai tu, e probabilmente sa di essere notato di più se non viene (cit.) 🙂
“il finto minimalista sa bene che gli autori che lavorano per costruirsi una reputazione, per rafforzare il loro brand, non sono tutti quanti degli inutili chiacchieroni pieni di sé”
… e lo sa perché spesso li ha tampinati per anni, quegli autori, in attesa di essere in qualche modo “miracolato”, salvo poi trovare un’altra strada (che spesso significa lavorare gratis) e trasformarsi in antifan, uno che si siede e guarda e vuol vederti fallire. E intanto rivela al mondo che chi si fa pagare per scrivere è una persona disgustosa, non ha passione, è un bieco approfittatore.
Così per dire, eh.
Me ne ha parlato un amico, di gente così.
Sì, in linea di massima sono dei rancorosi, anche se si atteggiano a santoni.
Sullo schifo per la pecunia guadagnata scrivendo non commento perché sarei volgare. Dico solo che certe cretinate le dice proprio chi ha provato a guadagnarci, senza ottenere nulla.
La volpe e l’uva etc.