
Non ho letto tutta la saga fantasy di Robin Hobb, quella dell’apprendista assassino, ma quel che ho letto l’ho trovato ottimo.
Al momento c’è il volume 1 (L’Apprendista Assassino, appunto) in download gratuito, per chi ha l’abbonamento a Kindle Unlimited. Anche il volume 2, L’Assassino di Corte, è praticamente in regalo, con un prezzo di copertina di soli 1,99 per la versione ebook.
Se cercate un fantasy raffinato, che unisce cospirazioni di corte, una certa introspezione dell’animo umano a una gestione molto ben regolata del sistema magico, la saga di Hobb fa per voi.
Il protagonista principale è Fitz, un giovane apparentemente senza alcuna qualità specifica che, pagina dopo pagina, dimostrerà il suo valore, le sue vere origini e il suo talento.
Uno di questi è la magia dello Wit, ovvero la magia dello Spirito, che permette a chi ne è dotato di entrare in sintonia telepatica con gli animali, fondendo la propria mente con essi, in modo molto profondo e potenzialmente irreversibile, se non si cerca di limitarne l’utilizzo.
I detrattori di questa forma di potere lo chiamano “la magia bestiale”, per sottolineare quanto chi ne fa uso rischia di assumere dei comportamenti animaleschi.
Si tratta però anche di un potere molto utile e profondo, che attinge all’atavico legame tra uomo e animale.
Fitz, in particolare, ha un legame con lupo Nighteyes, e crea con lui un rapporto che dura per anni. Rapporto per certi versi più profondo di quelli nati con gli altri esseri umani con cui l’apprendista assassino si circonda.
Ok, parliamo di una saga fantasy, e la faccenda del Wit resta un concetto di pura immaginazione.
Tuttavia è facile pensare che Hobb (pseudonimo di Margaret Astrid Lindholm Ogden) si sia ispirata all’antico rapporto che lega l’essere umano al lupo.
Originariamente le due specie erano concorrenti, per non dire addirittura ostili. Entrambe cacciavano per cibarsi, il che le portava a scontrarsi per questioni di territorio e di prede. Tuttavia, già nella notte dei tempi, c’erano delle popolazioni che consideravano questo animale in modo differente.
Secondo alcune culture orientali, per esempio, il lupo era un naturale alleato, che dava la caccia agli erbivori che minacciavano le coltivazioni umane. Ciò si estremizzava in tribù che lo veneravano come una creatura quasi divina.
Il rapporto di ostilità tra lupo e uomo era viceversa più marcato tra le genti che vivevano soprattutto di allevamento, e che quindi vedevano minacciato il loro bestiame proprio dai lupi.
Da questi due estremi sono nate poi situazioni in cui alcuni cuccioli di lupo sono stati “adottati” dai cacciatori umani, inserendoli quindi nel loro “branco”, fino a trasformarli in preziosi e fedeli alleati. Grazie a questo processo, riassunto molto sommariamente per ragioni di brevità, che si è sviluppata la pratica dell’allevamento di cani ai fini di guardia, di pastorizia, e infine di compagnia.
Secondo un articolo pubblicato su National Geographic, i legami emotivi più antichi tra umani e lupi risalgono addirittura al paleolitico.
Nel 1914, un gruppo di operai scoprì una tomba a Oberkassel, un sobborgo di Bonn, in Germania. Al suo interno furono rinvenuti i resti di un cucciolo di cane, di un uomo e di una donna, oltre a una grande quantità di oggetti decorati realizzati a partire da corna, ossa e denti, risalenti al Paleolitico, a circa 14 mila anni fa.
Si tratta della più antica tomba in cui esseri umani e cani sono sepolti insieme, che fornisce alcune delle più antiche evidenze di domesticazione.
Adesso, un nuovo studio dimostra come quel cucciolo di cane non soltanto era stato addomesticato, ma qualcuno probabilmente si era preso cura di lui. (…)
Il cucciolo aveva circa 28 settimane quando è morto. Alcuni segni sui denti rivelano che il cane aveva probabilmente contratto il cimurro a circa 19 settimane di vita e che potrebbe aver sofferto di due o tre periodi di grave malattia della durata di cinque-sei settimane ciascuno.
Fra i primi sintomi di cimurro, ci sono febbre, inappetenza, disidratazione, letargia, diarrea e vomito. Nel corso della terza settimana, possono inoltre verificarsi disturbi neurologici come le convulsioni.
“Poiché il cimurro è una malattia che mette a rischio la vita, ed è caratterizzata da tassi di mortalità molto elevati, probabilmente il cane ne è stato colpito in modo grave fra le 19 e le 23 settimane di vita”, spiega Liane Giemsch, curatrice del Museo archeologico di Francoforte, fra gli autori dello studio. “È probabile che sia riuscito a sopravvivere solo grazie all’intensa e prolungata assistenza e cura da parte dell’uomo”.
Assistenza che prevedeva, forse, il fatto di provvedere al nutrimento del cucciolo con acqua e cibo, alla sua pulizia e di tenerlo al caldo; se non fosse stato curato in questo modo, concludono gli autori, il cucciolo non sarebbe sopravvissuto.
Articolo di Alex Girola: https://twitter.com/AlexGirola
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