Un anno da Ray Donovan

Ho iniziato a vedere Ray Donovan per caso, cazzeggiando su Netflix. Cercavo qualcosa di poco impegnativo, da tenere come sottofondo mentre scrivo.
Ebbene, Ray Donovan (d’ora in poi RD) mi ha conquistato fin dalle prime puntate, tanto che in meno di due mesi mi sono sparato quasi tutte le sei stagioni, avvertendo un po’ di stanchezza solo sul finire di questa maratona visiva.
Non voglio recensire la serie TV di cui stiamo parlando. Dopo anni di blogging credo che a volte sia più utile e immediato dire, con poche parole, che è un prodotto potente, riuscito, ben recitato, ben scritto e assolutamente coinvolgente. Qualcuno preferisce le serie britanniche, perché sono più “asciutte” e meno dispersive.
Io, invece, adoro una serie come RD, perché riesce a farti entrare nei guai, nella vita e nelle famiglie dei protagonisti.
Ovviamente l’immedesimazione deve essere scatenata da qualche trigger emotivo, e nel mio caso è andata proprio così.

La storia di RD è piuttosto semplice (almeno apparentemente).
Ray è un “faccendiere” di Boston, di sangue irlandese, ma trapiantato da anni a Los Angeles, dove si occupa di risolvere i guai di attori, cantanti, agenti del mondo dello spettacolo, paparazzi e di altri soggetti del jet-set hollywoodiano (e dintorni). In pratica è una sorte di mafioso indie che opera ai limiti della legalità (MOLTO ai limiti), aiutato da due collaboratori: Avi, ex agente del Mossad, e Lena, tuttofare lesbica con grossi problemi a gestire la violenza.
La famiglia Donovan è però il vero regno di Ray. Ha due fratelli, uno dei quali da ragazzino è stato molestato da un prete (fatto che ha segnato la sua psiche). L’altro, ex pugile dotato di grande sensibilità, durante le sei stagioni subirà diverse vicissitudini e sfighe, che non sto a spoilerarvi in questo post. La moglie di Ray, Abby, è l’unico elemento che riesce a trasmettergli una certa serenità, anche se Ray non riesce a esserle mai fedele fino in fondo. Ci sono poi i due figli, Conor e Bridget, tanto diversi tra loro da completarsi.
C’è infine il padre di Ray e dei suoi fratelli. Si chiama Mickey (interpretato da John Voight), è appena uscito di prigione ma non smette di combinare guai, tanto che Ray lo tollera a stento.

Questa è, molto per sommi capi, la trama di RD.
Non esiste una netta divisione tra giusto e sbagliato, in questa serie. Il marcio del mondo dello spettacolo risulta assai più sporco di ciò che fanno Ray e soci, pur considerando che si tratta di un lavoro quasi sempre illegale.
Ray e suo fratello Bunchy portano le cicatrici psichiche degli abusi subiti quando erano chierichetti (ops, credo di aver spoilerato!), il che complica notevolmente le loro relazioni con le persone, con le donne in particolare.

Ray, che ha volto e recitazione di un monumentale Liev Schreiber, è un personaggio in cui mi sono identificato moltissime volte.
No, non ho subito abusi, grazie a Dio. Tuttavia, proprio come lui, soffro di quella particolare patologia mentale che spinge le persone a tentare di avere sempre tutto sotto controllo. Senza riuscirci, ovviamente, perché è impossibile badare a tutte le varianti, a gestire gli imprevisti, piccoli o grandi che siano.
Ray vuole controllare i suoi cari con l’intento di proteggerli, ma così facendo spesso scavalca le loro volontà, imponendo la sua. Nella maggior parte dei casi non riesce a esprimere i suoi sentimenti, ma talvolta è capace di gesti di purissimo altruismo, inframezzati in una quotidianità violenta e turbolenta.
Ancora: Ray è la sua famiglia, la cosa più preziosa che ha costruito nella sua vita. Eppure ne è al contempo prigioniero, perché il doversi occupare dei moglie, figli, fratelli e di un padre che odia condiziona notevolmente la sua vita.

In campo lavorativo – per così dire – Ray è apprezzato per quel che sa fare, tanto che tutti lo cercano, anche quelli che lo disprezzano come persona. Lo cercano perché Ray è in gamba, perché si è fatto da solo, senza leccare culi, senza vendersi a un solo padrone. Eppure alcuni non capiscono questo semplice dato di fatto e considerano Ray un concorrente, un avversario, quando invece lui si occupa soltanto dell’incarico del momento, senza badare alle inutili chiacchiere di contorno.
Ray tratta allo stesso modo l’attore famoso che si rivolge a lui per risolvere una faccenda di puttane trans finite in overdose e la modella semisconosciuta che cerca qualcuno che la protegga da uno stalker. Il lavoro è lavoro, la stima umana è qualcosa che va oltre i titoli roboanti (e va anche oltre il lavoro stesso). E sì: anche il denaro è denaro, e il lavoro è una faccenda antipatica, che quindi va retribuita. Ok, a volte può essere appagante, a volte può sembrare quasi una droga, ma non lo so si fa mai gratuitamente.

Infine, ma non ultimo per importanza, Ray è un uomo che ha rischiato più volta di perdere tutto. Anzi, è un uomo che a un certo punto della sua vita ha perso moltissimo, quasi ogni cosa. Perché i vincenti totali, alla fine, sono assai poco credibili.
Spesso queste perdite sono causate da qualche cosa che Ray ha fatto. Perché è brutto incolpare sempre gli altri di tutto il male che ci capita. Quasi sempre la colpa di ciò che ci capita è nostra e, quando ce ne accorgiamo, non possiamo fare altro che tentare di rimediare.
Ecco, come Ray anch’io nel 2018 ho rischiato di perdere cose molto importanti, e spesso è stata colpa mia. Nel mare più tempestoso sono riuscito in qualche modo a rimettere in sesto la barca. Al momento sto ancora navigando a vista, ma tengo botta, in cerca di acque più tranquille, che ahimè sono ancora lontane.

Per tutta questa serie di motivi Ray Donovan è uno dei miei personaggi di fantasia preferiti.
E, sì, questa è una specie di post di Natale/fine anno. Il massimo che riesco a fare, non sopportando più da tempo le feste in questione (anzi, le feste in generale).

Devo però necessariamente ringraziare chi, in questi mesi, mi ha sostenuto professionalmente e come amico, magari anche senza che ci si conosca di persona. Questo nonostante io abbia un carattere introverso e lunatico. Ovvero un carattere di merda (proprio come Ray – citiamolo fino in fondo). Ogni piccolissimo gesto vale qualcosa. Anche un apprezzamento per un mio libro che avete letto, un pensiero che mi lasciate su Facebook o via Telegram, un regalino per compleanno (quest’anno me ne avete fatti tanti, tanto che mi sono quasi commosso), una foto di Elisabetta che mi postate in bacheca 😉
A volte sono proprio queste accortezze a salvare la giornata, soprattutto quando è particolarmente buia. E a volte siete voi, che nemmeno ho mai incontrato dal vivo, ad azzeccare il modo giusto per farmi sorridere. E che non giudicate gratuitamente, anche se magari avreste il motivo per farlo.

A voi, soprattutto a voi, auguro buon Natale e serene feste. Dai, che passano alla svelta.

Slàinte.

 

La stagione 1 di Ray Donovan, in DVD e Blu-ray.


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