Mollo tutto! E faccio solo quello che mi pare

Bello come proposito vero?
Un po’ troppo da immaturi e utopistico, vi sento che lo state bisbigliando davanti al monitor del vostro computer.
Eppure questo non è un mio personale mantra, bensì il titolo di un interessante saggio scritto da John Williams e pubblicato in Italia da De Agostini, anche in formato digitale. Per inciso è uno dei libri che ho letto durante il mio viaggio oltreoceano. Cercavo qualcosa del genere da tempo, purché non sconfinasse nelle porcate new age da poveri illusi, cose del tipo “Diventa miliardario in soli sette giorni”.
Ecco, direi con col libro di Williams siamo decisamente sulla buona strada. Innanzitutto perché l’autore è il primo ad aver fatto un percorso come quello citato nel titolo, abbandonando il classico posto fisso per diventare un freelance della parola scritta. Col tempo ha cambiato altri lavori, si è prestato a più campi, tenendo però un solo punto fisso ben chiaro in testa: fare solo quello che gli piacere, ed essere pagato per farlo.
Tra l’altro Williams parte da un presupposto che senz’altro irriterà molti: la Crisi globale può essere la più grande opportunità di cambiamento della nostra vita. Stupiti? Infastiditi? Ebbene, secondo me ha ragione.

In un’epoca di grandi cambiamenti è auspicabile cercare di sfruttare al meglio le proprie risorse. Se abbiamo dei talenti è ora di sfruttarli. Se possediamo delle capacità che possono essere vendute, coniugando piacere e lavoro, è il momento di tentare questa strada.
Laddove i mercati classici stanno dimostrando tutta la loro fallibilità, perché non crearne di nuovi? Lo hanno fatto alcune persone citate in Mollo tutto!, dalla ragazza che si è reinventata cioccolataia itinerante, al blogger che ha messo in vendita la sua “reputazione” online per scrivere su commissione. Gli esempi sono tantissimi, le possibilità di combinare qualcosa di buono più alte del previsto.
Williams parte da due punti specifici:
– Trasformare il lavoro (definizione classicamente pregna di significati negativi) in gioco;
– Non sprecare più un solo minuto della nostra vita.
Partendo da questi due semplici presupposti si può tentare di tutto, imponendosi però una ferrea autodisciplina.

L’autore ci guida attraverso una sorta di questionario che può far capire a ciascuno di noi quali attitudini possono diventare lavoro/gioco, e attraverso quali passaggi. Punti semplici, superflui per chi sa già cosa piacerebbe fare per trasformare la propria vita in un un cammino più sereno (il che non vuol dire necessariamente più ricco!) e più soddisfacente.
Tuttavia, anche nei passaggi scontati, è un bel leggere. Williams sottolinea alcune cose forse ovvie, ma esaminandole sotto punti di vista particolari.
Esempio: “Nelle nostre esplorazioni all’insegna della libertà ci capita di inciampare nei tabù degli altri. Siamo più tolleranti della media, e anche più completi. Siamo creature politiche, emotive, sessuali e sappiamo come usare tutto questo per ottenere i risultati più eclatanti.
Come non riconoscersi in una definizione del genere? Io la trovo adorabile.

Il processo di autoconsapevolezza della propria forza inizia da un semplice esercizio: prendete una penna, aprite un taccuino e  scrivete tutto, ma proprio tutto, quello che fareste in dodici mesi di lavoro/gioco libero.
Sembra un esercizio sterile ma non lo è, perché secondo Williams il problema è che molti hanno dimenticato perfino le loro attitudini e le loro passioni. Quindi il passo primario da fare, prima di trasformarle in un lavoro, è riscoprirle.
Un altro aspetto che l’autore sottolinea riguarda i blocchi mentali che ciascuno di noi si mette davanti per giustificare la mancanza di un tentativo di fare davvero ciò per cui siamo tagliati. Per esempio la mancanza di una formazione lunga e costosa, o l’estrema utopia “o il sogno o niente”, dimenticando che esistono gli step intermedi e la possibilità di muoversi per gradi.

Williams propone anche soluzioni pratiche estremamente interessanti, come il coworking, una sorta di raduno in spazi flessibili (case private, locali), organizzato da persone che trascorrono la giornata lavorativa insieme, pur occupandosi di cose differenti. Lo scopo? Dividere i costi, passare il tempo con individui che hanno scelto di fare un percorso di vita simile, e che quindi hanno presumibilmente molto in comune.
L’idea, per esempio, di due freelance newyorchesi è riassumibile così: “Noi ci mettiamo sedie e divani, connessione wi-fi e persone interessanti con cui parlare, collaborare e scambiarsi idee. Voi portate un computer (o qualunque cosa vi serva per lavorare) e un atteggiamento amichevole.” Ha funzionato? Sì, ha funzionato.
Chi ha un senso della comunità profondo può diventare membro di tantissimi ambienti lavorativi/creativi condivisi, che offrono una postazione a un prezzo fisso orario o mensile, garantendo in cambio dei brainstorming senza precedenti, e un ambiente dinamico in cui operare (una settimana potreste trovarvi a lavorare sulla Broadway, un’altra in un caffè a Little Italy, un’altra ancora, magari d’estate, a Bryant Park).

Insomma, questo libro è un catalogo sconfinato di spunti, idee e suggestioni. Parliamoci chiaro: essendo italiani è probabile che molte delle ottime cose citata da Williams siano improponibili. Eppure chissà, forse è il momento provare comunque a smuovere le acque. A ogni modo Mollo tutto! E faccio solo quello che mi pare è comunque un’ottima lettura che ritempra lo spirito.
Più che consigliato.

29 commenti

  1. che dire sono d’accordo in pieno, forse sono un po’ scettico con certe pratiche comuni che toccano la sfera personale, ma riuscire a pensare e ragionare veramente così – senza scadere in certi luoghi comuni coma hai evidenziato new age e altre baggianate simili – è un toccasana. Credo ci voglia una personalità fortissima per farlo:-)

    1. Sì, concordo con quel che dici.
      Anche riguardo ai libri che promettono miracoli. Secondo me bisogna distinguere quelli pratici da quelli pubblicati per promettere facili ricette 🙂

  2. Ok, scaricato e messo in lettura. A suo tempo lessi “Adesso basta”, sorry ma non ricordo l’autore, in cui affronta le stesse tematiche avendo lui stesso mollato tutto perchè stanco di vivere per far soldi e non godersi gli attimi della vita. E devo dire che dopo quella lettura il mio modo di affrontare lavoro e vita è in parte cambiato. Ma ancora non sono uscito dalla crisi 🙂 Ci sto lavorando.

      1. Titolo consigliato, anche perchè chi scrive è italiano e ha fatto sua la vita “slow”. Gli argomenti trattati alla fine sono gli stessi del libro da te letto, magari visti in maniera meno lineare e schematica.

    1. E’ di Simone Perotti, parecchio noto fra downshifters e minimalisti:
      http://www.simoneperotti.com/ 😉
      Per quel poco che so di lui avendolo letto (sul blog) e sentito parlare (l’hanno invitato ad una puntata di ‘Cambio casa… cambio vita’, mi pare si chiami) è uno che con un po’ di fortuna e tanto tanto mazzo ha fatto della sua passione il suo lavoro; ciò di cui si discute qui, ed è evidente anche ad un profano della vela e del mondo lavorativo in genere che non è un sognatore fatuo.

  3. Interessante lettura che però mi pone delle domande, prima di tutte “non è che tutto questo suoni un pò utopico?”.
    Non fraintendere, sono un cultore del portare avanti i propri sogni, comunque e dovunque, ma è davvero possibile? Per tutti?
    Lo so, suona male, ma non posso fare a meno di guardarmi attorno e notare molte impossibilità, per alcuni, di poter buttare tutto e ricostruirsi una vita.
    Spero di sbagliarmi, davvero…

    1. Per tutti? Potenzialmente sì, ma è ovvio che non è così.
      Diciamo quindi che queste ricette sono più adatte a chi ha lo stimolo per cambiare. Mi sa che il numero è più esiguo del previsto, se ovviamente escludiamo tutti quelli che vogliono cambiare vita solo come sfogo a parole, o giocando al superenalotto…

  4. Ciò che spesso, quel genere di libri, non racconta è il famoso: “com’è andata a finire?”. A mollare tutto e reinventarsi ci vuole coraggio e iniziativa. Però, con gli amenicoli, lo si può fare.
    Un’ altra faccenda è riuscire a sopravvivere per lunghi periodi. Spesso si parla di qualche ragazzo/uomo/ragazza/donna che ha mollato tutto per avviare (con successo) una attività artistica etc etc.
    Poi, dopo tre anni… nessuno ci viene a dire se questa persona è ancora sulla cresta dell’onda, se è fallita, se è tornata alle origini.

    Conosco una ragazza che ha mollato tutto per avviare il proprio sogno. Coraggiosissima, non si è fermata di fronte ad alcuna avversità (compresa quella che il famoso “prestiti d’onore”, a lei, non spettava! – le hanno suggerito di aprire una pizzeria d’asporto, o un kebabbaro… ma per ciò che voleva fare lei, una libreria, no!). E’ sopravvissuta per tre anni. Poi ha dovuto rinunciare per non essere affogata dai debiti. Ed è tornata a lavorare in un ufficio.
    Un’altra mia amica ha mollato tutto ed è andata in Argentina. Nessun progetto. Voleva cambiare “aria”. L’ultima volta che l’ho sentita faceva la cameriera, ma era felice…

    Insomma… ben venga alimentare questa voglia di cambiare. Ma le testimonianze devono andare oltre ai primi mesi di intraprendenza. Personalità e coraggio sono fondamentali… ma buttarsi allo sbaraglio gridando “geronimo” non sempre paga. Viviamo all’interno di un ambiente pieno di trappole che… posso dirlo… spesso vengono sottovalutate.

    Per dire una cosa: Questi autori di libri che insegnano a cambiare vita, lo hanno fatto? E come? Forse pubblicando per l’appunto quel libro? I manuali vendono più dei romanzi! Quanti sono i libri di cucina scritti da persone che non sono cuochi professionisti? E quanti quelli che propongono di diventare scrittori professionisti?
    Oggi esistono manuali per qualsiasi cosa… compreso, pure, il cambiare vita!
    Spesso il nostro bisogno di evadere trova risposta in questo tipo di libri. Gli autori ne sono consci, così come sono consci che molti (quasi tutti) i lettori del libro non faranno nulla di ciò che leggono… per cui hanno la coscienza pulita, e non hanno il timore di rovinare delle famiglie, o delle persone per via di ciò che hanno scritto.

    Non sono scettico per principio… ma le ricette pronte non mi sono mai andate a genio probabilmente perché preferisco sbagliare da solo, piuttosto che dando retta a estranei.

    1. Beh, Glauco, in questo caso sì: l’autore è stato il primo a cambiare vita, da qui è nato il libro.
      E, ancora, il libro riporta esempi di persone che ce l’hanno fatta. Attenzione: non si parla mai di diventare ricchi, solo di cercare di assecondare la propria indole.
      Non mi pare una cosa tanto campata per aria, visto quel verbo, “cercare”.
      Poi va da sé che su dieci che ci provano uno soltanto ci riesce. Ma gli altri novanta che non ci provano “perché tanto non funziona”? Allora che si lamentano a fare?
      Non dico che il libro sia vangelo, ma secondo me una buona dose di positività fa bene, specie se ponderata.
      Come ho scritto l’unico vero difetto è che certe cose sono poco applicabili per l’Italia.
      Non è poco, lo so.

  5. Ho letto un paio di libri simili, e seguo da tempo Chris Gallibeau, il blogger che ha fatto dell’approccio non tradizional al lavoro la propria professione.
    Il mio unico vero problema con questi manuali è che sono sempre orientati al mondo anglosassone, e propongono una serie di opzioni che in Italia non sono praticabili, vuoi per il castello burocratico che circonda il mondo del lavoro, vuoi per la mentalità tipicamente italiana che vede nella mobilità e nella flessibilità (quelle vere) solo un segno di scarsa serietà e affidabilità.
    “Cosa ci vuoi fare, ha cambiato casa e lavoro una decina di volte…”

    E forse il principale lato positivo di questi manuali è proprio quello di far passare l’idea che sia possibile, e lecito,e bello vivere facendo un lavoro “non canonico”, che sfuggire alla routine del “dalle 9 alle 5” non è segno di disonestà o turpitudine morale, che ricavare da vivere da ciò che ci piace e non da ciò che dobbiamo accettare nonostante ci faccia schifo è un nostro diritto.

    1. Esatto: lo stesso limite che noto io. Sono consigli e dritte che funzionano per una società più evoluta e più giovane (diciamolo) di quella italiana.
      Qui la vedo dura seguire alcuni degli esempi indicati nel libro che ho letto… Vuoi anche per la diffidenza atavica verso chi non fa il classico lavoro 9.00/17.00, proprio come dici tu.

  6. Bicchiere mezzo vuoto: più dell’80% delle attività nate in questo periodi di crisi da persone che hanno cambiato attività (perché messi in mobilità e/o in disoccupazione) non hanno superato il primo anno (fonte: Banca D’Italia, report di Luglio 2012).
    Bicchiere mezzo pieno: al netto degli obblighi (vedi cause riportate sopra) le nicchie di mercato incui muoversi, specialmente in relazione con l’estero, non solo esistono ma sono tra le poche cose che stanno portando posti di lavoro e redditività (fonte: CGIA Mestre, report di Maggio 2012).
    Sunto mio: è fattibile cercare sia canali alternativi che diverse professioni rispetto alla propria originale ma la cosa va pianificata stile sbarco in Normandia.

    1. Appunto (non a te, bensì generale): è proprio questa estrema pianificazione, leggisi burocrazia, che in Italia blocca buona parte dei progetti più innovativi.
      Un cane che si morde la coda.

  7. Se si vuol cambiare, bisogna essere pronti a essere quelli che nella mischia vengono schiacciati. I primi a esserlo, sono quelli che non avevano le capacità (a volte il sostegno economico) per farlo, e si sono sopravvalutati prendendo la cosa alla leggera. Quelli che invece devono proprio star fermi, sono quelli che hai citato nella risposta a Paolo, cioè quelli del Superenalotto et similia. Che stiano pure ad aspettare…
    Io sono pronto per la corsa, e non mi fermo di sicuro ad aspettare che le proposte siano d’oro e d’argento, con garanzie di successo. Troppo comodo e troppo impossibile.
    Alex, mandiamoli in pensione i dubbi e informiamoci su tutto quello che potrebbe diventare un lavoro con la L maiuscola.

    1. Ogni cambiamento comporta grossi rischi, è vero.
      Anche in amore, nelle amicizie… Non solo nel lavoro.
      Ma si sente così tanto la voglia di cambiare si vede che non stiamo poi tanto bene. Quindi occorre fare la classica tabellina coi pro e coi contro e poi decidere.

  8. Non ho letto il libro in questione, ma ne ho letti di simili di cui non ricordo il titolo. Non sono uno molto coraggioso in questo senso, ma sto cercando di “mollare tutto” adagio, pianificando, aiutando e seguendo il mio socio. Si fa una specie di sbarco in Normandia, per citare Angelo.
    Dal mio punto di vista, ha ragione Davide Mana, perché dice che questi libri sono buoni, ma ciò che dicono di applicare è adatto al mercato e allo stile di vita anglosassoni.
    Qui certe cose non riesci a farle e quindi quando le leggi ti suonano stupide e dici “see vabbè”.
    Niente, bisogna pianificare ‘sto sbarco.

    1. Rivelazione: nemmeno io sono coraggioso 😀
      Poi alla lunga subentra però una volontà che ci porta a evolverci o a morire.
      Non tutti, per carità! Per fortuna c’è chi sta bene con quel che già fa…

  9. Difficilissimo cambiare totalmente quello che si fa, visto che è già difficile trovare qualcosa da fare. Forse la molteplicità delle competenze a livello avanzato può essere la chiave per inventarsi qualcosa. Tipo: medicina+ esperienza musicale; matematica+fumetti;arte+cucina e magari architettura +diploma di parrucchiere. Inutile dire che le competenze possono sommarsi e contaminarsi a volontà. Es. immersioni subacquee+ikebana+informatica+fotografia+intaglio artistico verdura.

    1. Già, è difficile trovare qualcosa da fare, ma non sempre. La settimana scorsa al tg han parlato di una grossa fabbrica nel bergamasco che deve rinnovare buona parte del personale perchè quello storico va in pensione, e in un anno di annunci non si è presentato nessuno. Nemmeno una persona. Il lavoro era anche ben pagato e con possibilità di trasferte all’estero. Certo, non era figo: fare il saldatore o l’operaio specializzato non è come dire “organizzo eventi” o “food blogger”.
      Idem la notizia di ieri, concorso da guardia medica andato praticamente deserto perchè il lavoro è troppo faticoso, e infatti si sono presentati perlopiù stranieri.
      Tra le cose da cambiare in questo paese c’è anche la mancanza di umiltà di certi giovani che preferiscono continuare a campare sulle spalle di mamma e papà piuttosto che sporcarsi le mani…

      1. Perdonami ma sento l’odore per me sgradevole dei luoghi comuni.
        Conosco molti ragazzi, anche giovanissimi, disposti a fare umili lavori nella speranza di pagarsi gli studi, o di mettere da parte un gruzzolo per lanciarsi in qualche attività in proprio.
        Tre diciannovenni di mia competenza sono appena andati in Australia a fare gli stallieri, con l’obiettivo di riuscire ad aprire un loro maneggio entro un paio d’anni.

        A parte questi esempi per me è del tutto lecito ambire a un lavoro che si ama. Non è detto che tutti riescano, ma per me è sacrosanto provarci.
        Pensiamo piuttosto a tutti quelli che si fanno il mazzo sui libri per cinque o sei anni, laureandosi magari in ingegneria per poi finire in un call center, sottopagati e umiliati da miserabili impiegatucci che hanno dalla loro soltanto la gerontocrazia data dall’età. Cosa dovrebbe fare? Bearsi di essere così umile che pur di non morire di fame ha accettato un lavoro di merda?

      2. Ogni tanto i media ripropongono queste storie di figure ricercate e di giovani poco umili. E’ dell’altro giorno la notizia (ricorrente) che in Italia non si trovano figure nel campo dell’informatica, parlo di questo perché è un settore che conosco bene. In Italia ci sono tutti gli informatici che servono e purtroppo anche di più. Cosa manca? Semplice: esperto JAVA, C#, .NET, Oracle con conoscenze di programmazione WEB e in grado di gestire autonomamente architetture Unix Based e reti CISCO. Si richiedono almeno 10 anni di esperienza età massima 28 anni, stipendio base 800 euro più incentivi.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.