Gestire un overload di umanità

Uno degli aspetti più inaspettati della mia quarantena è quello che mi sta portando a comunicare spesso e piacevolmente con un sacco di persone che oramai sentivo con una certa sporadicità.
La colpa del diradarsi dei contatti tra il sottoscritto e una fetta ampia del mondo esterno è da attribuirsi a me. Inutile girarci attorno: avere sempre molto (se non moltissimo) da fare sottrae il tempo alle relazioni umane. Questo però vale anche per buona parte delle persone che conosco, tra amici, clienti (etc).
Faccio però un distinguo: molte persone credono di avere un numero infinito di amici coi quali intrattengono fitte e profonde relazioni, ma in realtà non è così. La maggior parte di tali relazioni è superficiale, per non dire di mera apparenza.
Io appartengo alla minoranza di quelli che odiano i rapporti di circostanza, le uscite fatte per abitudine, le compagnie numerose che fa figo immortalare su Instagram. Non mi reputo migliore degli altri – della maggioranza – solo diverso. Preferisco trascorrere il tempo con me stesso, se reputo che l’alternativa non posso offrirmi nulla di veramente valido.
Poi è arrivata la pandemia ed è cambiato tutto. Per tutti.

Ne ho già parlato diverse volte, fin dall’inizio della quarantena: questo isolamento, dovuto dalla più grave emergenza sanitaria degli ultimi 100 anni, ha cambiato il mio modo di comunicare. Di aprirmi al mondo.
Ho anche letto che ciò vale per tante persone oltre il sottoscritto.
Mai come in questi giorni abbiamo tutti fatto la straordinaria scoperta: i cellulare servono per telefonare! O addirittura per videochiamare.
E dire che pensavo servissero soltanto per aggiornare i social, per ordinare merce su Amazon e per WhatsApp.
Ma non è tutto: per chi odia telefonare (io non sono tra i fan di questo modo di comunicare) c’è stata comunque la riscoperta di un modo di comunicare più lento: messaggi che non siano solo catene di Sant’Antonio o meme, discussioni sensate a status su Facebook altrettanto sensati.

I motivi di questo cambio di passo comunicativo?

  • Noia. Inutile girarci attorno. Molte persone sono chiuse in casa e non sanno cosa fare.
  • Paura. Abbiamo un folle terrore della pandemia e facciamo bene ad averlo. Quindi proviamo il bisogno di parlarne con qualcuno, di esorcizzare la paura.
  • Consapevolezza. Ci siamo accorti di aver sacrificato molti rapporti amicali sull’altare dell’iperproduttività (tipo me) o della movida di maniera (molte persone che conosco).

Il mix di questi tre elementi ci spinge dunque a riesaminare le persone che conosciamo, e ad accorgerci che alcune di esse ci mancano, che le abbiamo scartate troppo frettolosamente.
Oppure, e questo è ancora più strano, la quarantena ci spinge a conoscere – seppur virtualmente – nuove persone.
Un overload di comunicazione che ci fa bene e che promette dei cambiamenti, quando tutto andrà meglio.

Ma queste promesse verranno poi mantenute?
O, più verosimilmente, torneremo alle nostre vite ipercinetiche, iperproduttive, fatte di solitudini a comparti stagni (o di rapporti estremamente superficiali)?
Chi può dirlo.
Come autore posso però ipotizzare qualche sviluppo. In fondo uno scrittore osserva la vita per prenderne spunto (soprattutto uno scrittore del fantastico, che vi piaccia o no).

Innanzitutto penso che nulla tornerà esattamente come prima. Ce lo siamo già detto mille volte, lo ripetiamo anche oggi. Per qualcuno è una speranza, per altri un incubo. Verosimilmente sarà qualcosa che sta a metà tra le due cose.
I nostri rapporti “fisici” cambieranno. Il distanziamento sociale, seppur meno ferreo, ci accompagnerà a lungo.
Questo forse manterrà viva la necessità di comunicare con altri mezzi, e di farlo in modo costruttivo. Ovviamente sarà possibile anche il fenomeno inverso: costringete tante persone a usare tutto il giorno WhatsApp e otterrete uno tsunami di fake news, complottismo e meme idioti.

In ogni caso sarà il caso di rivalutare (finalmente!) l’utilità dei social media.
Mai come in questo periodo stanno dimostrando le loro potenzialità. Possono sostenere lo smart working, possono aiutare i progetti inerenti all’istruzione online, possono aiutare le piccole imprese a sviluppare una rete di commercio a domicilio (necessario, fin quando il distanziamento sociale sarà “consigliato”), possono dar da lavorare ai freelance (come me) e agli artisti (o agli artigiani delle parole – come me).
Possono – e questa è una funzione davvero alla portata di tutti – unire le persone, gli amici, le famiglie divise dalle restrizioni pandemiche e post-pandemiche.
Solo ora stiamo sfruttando tutto il potenziale di strumenti come Facebook, Instagram, Telegram (etc). Fino a qualche mese fa li consideravamo soprattutto momenti di cazzeggio, di promozione, di sfogo pseudo-politico.
Ecco, questo overload di comunicazione ci serva per capire quanto è importante avere la possibilità di discutere, di parlare, di confrontarci, e di poterlo fare anche a distanza.

Impareremo la lezione?
Non lo so. Con una punta di immodestia vorrei ribadirvi che da anni vi dico che i social non sono “il Male”, e che i rapporti che si costruiscono o che si sviluppano in modo virtuale non sono meno validi di quelli old style.
Forse se ne stanno rendendo conto in tanti.
Speriamo.


Un commento

  1. Un articolo molto interessante su come questa pandemia abbia cambiato la visione di ciò che ci circonda. Anch’io inizio a sentirmi un po’ di più con varie persone e soprattutto trovo molto più tempo per stare sul blog e leggere articoli molto interessanti. Diciamo poi che avevo un bel po’ di roba da completare che non sono mai riuscito a portare a termine (lettura, film, videogiochi, scrittura) ma che ora pian piano sto completando e sto trovando anche modo di pensare con più tranquilità al dopo.
    Comunque una cosa che in molti non sanno è che probabilmente, quando la pandemia sarà finita, non torneremo alla vita di prima. Questo Covid-19 ha mostrato a tutti noi le nostre debolezze in vari settori e penso che sia giunto il momento di migliorare tutti quanti.

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