La tribù dei Digitali

I saggi di Domenico De Masi, sociologo italiano, classe 1938, andrebbero letti e riletti. Dai suoi trattati su lavoro, sul futuro del medesimo, sull’ozio creativo e sul progresso umanista si possono trarre tantissimi spunti di riflessione.
Studioso molto particolare, atipico per un paese che da decenni sembra immutabile, basato su tradizioni sempre più simili a catene che non a valori, De Masi si distingue come voce fuori dal coro. Le sue idee sulla necessità di ridurre le ore lavorative al fine di recuperare una dimensione umana più elevata vanno contro tutto ciò che i soloni del nostro paese predicano da sempre: sacrificio, sudore, sangue.
Nei suoi libri De Masi ci spiega come e perché questa visione della vita va contro il progresso e, al contempo, contro il nostro benessere. Soprattutto in un saggio, L’ozio creativo, il professore ci spiega come la nostra società va (o dovrebbe andare) incontro a un futuro in cui il lavoro sarà sempre più vicino all’indole personale e creativa dei lavoratori.
Utopia? Per ora senz’altro. Non a caso De Masi identifica il target di questa rivoluzione culturale in quella categoria di persone che chiama “i Digitali“, i quali già da ora si distinguono per una visione dell’esistenza moderna, duttile e positiva. E’ di loro che parliamo oggi.
Che poi (forse) saremmo noi.

I Digitali sono tutti coloro che sanno lavorare su Internet, che utilizzano il computer non come mero strumento d’esecuzione, bensì come principale strumento creativo, vuoi per sviluppare le loro passioni (musica, scrittura, cinema etc) vuoi per lavoro. Definizione semplice ma efficace, che abbraccia un crescente numero di persone.
De Masi – ammettendo di generalizzare – individua in questi Digitali creativi una serie di qualità comuni a buona parte di loro.

  • Non fanno particolari distinzioni tra le attività di studio, di lavoro o di tempo libero. La consuetudine alla disoccupazione li ha abituati a lavorare saltuariamente, alternando periodi di impiego ad altri di studio, di viaggio o di sviluppo di eventuali passioni.
  • Questo li porta generalmente a conoscere una o più lingue straniere, ma anche nuovi linguaggi non convenzionali: i “dialetti” del Web, la musica, le immagini, i neologismi dei social network.
  • Generalmente i digitali sono sensibili ai temi ecologici, sono favorevoli allo sviluppo sostenibile, accettano con entusiasmo la multirazzialità e la convivenza civile tra culture diverse. Non fanno nemmeno molta differenza tra giorni feriali e giorni festivi.
  • Leggono molto, sono attratti dalle novità in qualunque campo.
  • Sono informati ma al contempo non sono fanatici delle cosiddette “ideologie forti”.
  • Considerano la scienza e la tecnologia come elementi in grado di migliorare la loro vita.
  • Danno la giusta importanza al denaro, ossia né troppa né troppo poca.
  • Quando sono disoccupati – e la cosa capita spesso – non stanno mai con le mani in mano. Sperimentano, studiano, producono quella che volgarmente possiamo chiamare Arte, cercando di farla diventare lavoro.

Ovviamente i Digitali hanno degli strenui oppositori, in primis i custodi delle tradizioni più ortodosse. Essi vedono nei Digitali degli sfaccendati, incapaci di adattarsi ai lavori più umili, delapidatori di patrimoni altrui, intellettuali senza nerbo e senza rispetto per i diritti acquisti dai loro genitori.
I non-digitali temono che le novità e gli sconvolgimenti sociali porteranno a catastrofi di ogni genere e tipo, a partire da una vita “innaturale”, in cui il lavoro viene svolto in maniera nomade, oppure a casa, e non più nelle canoniche otto ore d’ufficio più due (1+1) di traffico. Essi non vedono nessun vantaggio in questi cambiamenti, bensì solo minacce a uno status quo in cui interagiscono da generazioni.

Di chi sarà dunque il futuro? Dei Digitali, come pare inesorabile, o dei difensori delle tradizioni?

(A.G. – Follow me on Twitter)

19 commenti

  1. Mah, mi sembra che l’autore del libro la faccia un po’ facile. E’ vero che le nuove generazioni “nascono digitali”, ma non hanno e non avranno modo di imporsi nella società in modo tale da cambiarla. Perchè il sistema vince sempre, e chi comanda ha tutto l’interesse a mantenere lo status quo. Se ci pensi, chi ha fatto il 68 poi è finito vent’anni dopo ad essere ciò che un tempo combatteva, idem chi ha fatto il 77 (chi non è morto di overdose o di sprangate rosse/nere). Chi è stato giovane (rampante ?) negli anni 80 ha poi contribuito a devastare questo paese peggio dei democristiani degli anni 60. Per cui, sarò pessimista, ma tra altri vent’anni non credo che la società in cui vivremo sarà retta da tanti piccoli Steve Jobs.
    Inoltre anche alcune affermazioni sulle caratteristiche dei digitali mi sembrano un po’ campate in aria…sulla conoscenza delle lingue specialmente (gente che sta a scrivere online per ore, magari ha l’ultimo tablet in commercio e fa il webdesigner ma non ha ancora imparato l’uso corretto dell’apostrofo nella lingua italiana, o strafalcioni da prima elementare -basta vedere un qualunque forum per rendersene conto-).
    Io sono pessimista di natura (o troppo pragmatico, come mi han detto di recente) però per me i “digitali” non esistono. Nel senso che sono persone identiche a tutte le altre, che però hanno il kindle in tasca, le cuffiette dell’ipod eternamente attaccate e spippolano perlopiù minchiate sul cellulare. Poi per carità, sempre felice di potermi sbagliare…

    1. Sì, ti confermo che sei senz’altro troppo pessimista 😀

      Ti do ragione quando dici che qui le cose cambiano molto lentamente, ma di certo i giovani d’oggi possono essere definiti digitali.
      Senz’altro non tutti diventeranno “Steve Jobs” (ne credo lo ambiscano), ma chi saprà studiare il momento storico e le opportunità che comporta potranno reinventarsi professionalmente e umanamente.
      Certo che se si parte dicendo “i digitali non esistono” ci si autoesclude da soli da ogni possibile cambiamento.

      Ecco, io sono un po’ cinico, ma non così pessimista.

  2. La prima cosa importante da far notare, è che l’autore del saggio è classe 1938, e mica uno “sbarbatello”. Questo non può che farmi piacere, confermandomi che il pensiero di nuove vie e frontiere, ostacolato di solito proprio da anziani e disillusi, non è solo nostro, ma di tutte le generazioni. Bello trovare certe conferme. Ottima segnalazione!

    1. Infatti, De Masi è diventato il mio nuovo idolo.
      Avere una certa età e certe idee, nel sud Italia, vuol dire suicidarsi socialmente.
      Infatti mi pare che molti hanno travisato quel che dice (sport diffuso in Italia, nel mio piccolo me ne sono accorto pure io, vedi i discorsi sulla dignità dei blogger).

  3. Mi suona familiare, nel senso che potrei aver letto qualche estratto tempo fa… ora vedo di recuperare il saggio completo! 😀 Per quanto riguarda la possibilità di un cambiamento del genere in Italia: succederà, prima o poi. Più per inerzia che per altro, ma succederà.

  4. DIscorso molto ampio, anche se a mio avviso i veri digitali sono/saranno i nati dal 2000 in poi, quelli nati prima come noi al massimo possono essere “digitali adattati” (mia personale visione) il cui adattamento è inversamente proporzionale al numero di anni.

    Detto questo c’è da dire che il “sistema che vince sempre” di cui parla Giulio Uggé è in realtà in cambiamento, anche se in Italia tali cambiamenti sono più lenti (tanto che il sistema stesso potrebbe implodere).
    Le attuali dinamiche economiche e dell’informazione, il lavoro flessibile/precario, le possibilità di lavoro on-line, la maggior conoscenza della lingua inglese e spagnola (grazie alla scuola ma anche grazie a internet) oltre all’eterno problema della sovrapproduzione di beni (vedi mercato dell’auto ad esempio) e della disoccupazione (per lavorare tutti bisognerebbe lavorare meno)… sono tutte spinte che plasmano il “sistema” (che può essere più o meno resistente/flessibile).

    E’ possibile che una parte sempre più consistente della forza lavoro opererà in questo modo, alcuni per forza, altri per convinzione, in molti paesi avanzati e moderni (penso a quelli scandinavi, alla Germania ecc…) questo sarà più facile e leggi e welfare state si adatteranno, in paesi più bloccati come l’Italia probabilmente seguiremo l’onda a distanza.

    P.S. Tempo fa su repubblica era uscito un articolo di uno studio OCSE che correlava ore di lavoro con la produttività, tra i due c’è una relazione quasi sempre inversa (più lavori, meno sei produttivo nell’ora di tempo).
    Questo dovrebbe fa riflettere i custodi delle tradizioni più ortodosse…

    1. Sì, il discorso è molto ampio e meriterebbe ulteriori approfondimenti (probabilmente tornerò a parlarne).
      Ribadiamo che quello che qui è utopistico altrove rappresenta una realtà già da qualche anno. Magari realtà minoritaria, ma consolidata e valida.

      Ottimi le tue osservazioni. Le condivido, soprattutto quando dici che forse l’Italia seguirà l’onda a distanza. Anche perché non vedo molte alternative. O meglio, forse ci sono, ma non sono auspicabili per noi.

  5. Ricorda molto il lavoro di Rhinegold, che è altamente consigliato – cose come Smart Mobs.
    E come in Rhinegold riconosco un entusiasmo che di solito fa storcere il naso ai cinici: è ovvio che non è tutte rose e fiori, che non è così facile, che ci saranno diecimila intoppi.
    Ma io sono abbastanza stanco di lavorare con persone che comunque, a prescindere, si danno per sconfitte fin dal primo lancio dei dadi.

    1. Sono stanco anch’io, infatti vado a cercarmi gente che può darmi entusiasmo e nuove idee, fuori dal modello standard.
      Gli altri continuino pure a ridere di noi e a leggere quel che vogliono in post come questi, sinceramente non mi cambia la vita.

  6. Non ho mai letto, ne tantomeno (ammettendo la mia ignoranza) conoscevo, il saggio riportato.
    Avevo letto, però, quello un altro saggio (Il lavoro manuale come medicina dell’anima di Crawford Matthew) che però ben potrebbe essere il suo “antagonista” in quanto, proprio come medicina, consiglia di tornare alla manualità e, piano piano, depurarsi dalla troppa tecnologia.

    Detto ciò credo che l’Italia, sia chi ci governa che i suoi abitanti, stiano sprecando delle occasioni che andrebbero cavalcate come l’onda e non, al contrario, farsi da essa portare.

    Io ho due bimbi piccoli, 2 e 5 anni, e spesso con mia moglie divaghiamo su come sarà il loro semplice futuro: io, da sognatore, vedo ad esempio dei piccoli scolari con tablet al posto delle cartelle strapiene di libri per ogni materia … lei è più tradizionalista … 😦 … sembriamo, quanto discutiamo, le figure descritte da De Masi.

    Giorni fa scrissi che noi italiani abbiamo una potenza: la creatività che, aggiunta alle tradizioni (quelle vere … quelle del sapere antico, quello di tramandare di generazione in generazioni, dei segreti dell’arte, non certo le tradizioni di status quo) può, forse purtroppo, potrebbe rendere questo paese unico e competitivo.
    Credo fortemente nel connubio tra tradizione, come sopra descritta, e nella tecnologia digitale e credo che proprio gli attuali infanti, se educati ad un uso corretto della tecnologia (cosa difficile in questi tempi … potrebbe nascerne un tuo articolo?) possano spingere la società, modellando il sistema, verso un futuro di collaborazione e coesione tra un passato di tradizioni che non possiamo permetterci di perdere ed un futuro tecnologico.

    Spero di non aver rubato tempo e ti ringrazio per questo illuminante articolo.

    1. Anch’io penso che questa situazione di crisi andrebbe cavalcata per attuare dei cambiamenti, delle vere e proprie rivoluzioni ideologiche, non tanto globali quanto individuali.
      Lodi a chi ci sta provando, tutti gli altri continuino pure a lamentarsi.

      Sulle tradizioni, i loro pro e i loro contro, avrei in effetti molto da dire e magari lo farò. Perché i due mondi – vecchio e nuovo – non sono inconciliabili come qualcuno pensa.

      Non hai rubato tempo, anzi! Passa di qui quando vuoi 😉

  7. Ho seguito, neanche troppo tempo fa, un ciclo di lezioni del professore in questione, nelle quali ha parlato proprio di questi argomenti. Tralasciando la sua esaltazione quasi da positivista ottocentesco per le meraviglie del postmoderno, che io risolverei con la cura David Hume («Alle fiamme») – sorry professore, ma i grattacieli a forma di cetriolo di Abu Dhabi sono abomini degni solo di una bomba atomica… – trovo che il difetto fatale di tutta la sua costruzione stia nel fatto che sottovaluta tragicamente millenni di storia che ci dicono molto sulla natura dell’uomo e sui meccanismi di come il “Vertice della Piramide” gestisce il potere.

    “Ozio creativo”, “progresso umanista”, vita a misura d’uomo da realizzare attraverso attività creative e, diciamo, generalmente “culturali” sono il bersaglio preferito dell’anatema del potere. Gente istruita, che pensa e opera “out of the box” è appunto gente che pensa, che può mettere in discussione, che minaccia gli status quo. Anche se queste idee potessero portarci verso una specie di età dell’oro (ed è assai discutibile che questo succeda: progresso nel XIX secolo e poi 2 guerre mondiali da età della pietra, giudicate voi) non sarebbero mai messe in pratica o incoraggiate. Anzi, semmai la tendenza è quella di cavalcare l’onda della lunga notte in cui viviamo da anni. Alla fine, il metodo resta sempre quello borbonico delle 3 F + 1 I: fame, forca, farina e ignoranza.

    1. Beh, ma a mio parere questi sognatori devono parlare, scrivere e divulgare anche se il Potere rema contro e li ghettizza. Cosa che effettivamente fa da sempre.
      A me poco importa delle rivoluzioni sociali o globali. Mi basta che messaggi fuori dal “modello standard” arrivino a me e a chi ha ancora le orecchie per sentirli.
      Ad altri forse le cose vanno bene così come sono, oppure sono troppo impegnati a rosicare su mille sciocchezze per non accorgersi nemmeno che un’altro modo di vivere è possibile.

  8. Premettendo che dovrò assolutamente recuperare De Masi, sono dell’idea che i cambiamenti sociali ai quali stiamo assistendo, rappresentino solamente la punta di un iceberg che probabilmente non possiamo vedere. Prendi un po’ di saggi storici, tipo sul Medio Evo oppure Umanesimo e Rinascimento, tanto per citare due epoche cardine della cultura occidentale. Ci accorgeremo che oltre agli accadimenti poitici e sociali, anche le percezioni del tempo, il rapporto dell’individuo col mondo visibile e invisibile che lo circonda si sono trasformati. Le percezioni degli uomini cambiano con i tempi che vivono e quello è un processo che generalmente è inconscio. Nel caso della nostra epoca, forse ci troviamo davanti a un paradosso: la virtualità tende a evidenziare cose che nel vivere tangibile quotidiano, forse si percepiscono meno. E il braccio di ferro, alla fin fine è sempre quello: barbarie e ragione.

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